Benvenuto a chiunque è alla "ricerca di senso nel quotidiano"



giovedì 9 agosto 2012

Alex Schwazer: nel passato grande campione, nel presente giovane distrutto, ma gli auguriamo uomo maturo e responsabile per il futuro...

Alex Schwazer è indifendibile. Imperdonabile, vergognoso, senza dubbio dopato. La lista degli aggettivi potrebbe andare avanti a lungo. Purtroppo se li merita, su questo tutti d'accordo. Ma la scoperta della sua truffa sportiva, di questo alla fine si tratta, ha prodotto un curioso e ormai consueto effetto collaterale. Potremmo definirla come una sindrome italiana, il piacere solo nostro di fare i piccioni sul monumento crollato.
Sui social media si leggono insulti e prese in giro davvero pesanti. Alcuni anche di sfondo razziale: «In fondo non è neppure italiano». E nel 2008 quando vinceva la marcia a Pechino di dov'era, di Bisceglie? Certe invettive non sono soltanto ingiuste. Sono anche stupide e sgradevoli. Non aggiungono nulla alla rovina auto procurata di un ex campione, ma denotano invece un piacere sadico, tanta voglia di infierire. 
Meglio ripeterlo ancora una volta: Schwazer ha fatto un errore gigantesco, tradendo la fiducia di tanta gente che vedeva in lui un paladino dello sport pulito. Ammettere la propria colpa, come lui ha fatto con un gesto in effetti poco italiano, non basta. Pagherà un conto salato, con la giustizia sportiva e non solo, come è giusto che sia. Ma infierire su di lui è soltanto sadico... 
Leggi tutto: Alex Schwazer «linciato» sul web: è la sindrome italiana di infierire

CONFERENZA STAMPA INTEGRALE

Nella triste vicenda che vede coinvolto Alex Schwazer, già campione a Pechino nella 50 km di marcia, a colpire in particolar modo è ciò che lo ha spinto a fare uso, in quasi assoluta autonomia (a quanto dice), di sostanze dopanti.
Cosa può portare un ragazzo di 27 anni, cresciuto in mezzo alla natura del Sudtirolo, che ha praticato atletica in modo pulito per oltre dieci anni, con già una medaglia olimpica in bacheca, ad acquistare e iniettarsi dell’eritropoietina? Com’è possibile che un atleta che per anni ha compiuto innumerevoli sacrifici allenandosi lontano dalla luce dei riflettori, arrivi a tradire la fiducia di allenatore, amici, fidanzata, parenti e tifosi?

Alex è cresciuto in una famiglia che gli ha insegnato il rispetto, prima di tutto per la verità, e non ce la faceva più a tenersi dentro questo segreto che gli bruciava l’anima e che forse ora manderà in fumo un pezzo del suo futuro. Alex sta male, ma un po’ di quel dolore dovremmo provarlo tutti, specialmente quelli che fino a ieri erano orgogliosi di professarsi suoi amici, i primi tifosi del campionissimo. 
Invece, un attimo dopo il suo autodafé, erano tutti lì, con il fucile puntato come un Campriani, pronti ad annientare quello che a loro dire avrebbe «sporcato» l’intero sport italiano. Piano, signori. Soprattutto voi, vetusti ed eterni dirigenti dello sport italiano: quello che avete di fronte è un ragazzo di 27 anni, solo, triste e che, in preda allo sconforto, si sente addirittura finale («Sono finito»). Alex ha sbagliato, certo, ma a sentire un popolo di giudici improvvisati viene davvero il sospetto che abbia fatto probabilmente quello che nel Paese dell’omertà non andrebbe fatto mai: autodenunciarsi. Nel Paese senza memoria nessuno ricorda più che quattro anni fa quello stesso ragazzo, stremato come un Dorando Pietri, andava a conquistare l’oro olimpico della marcia sotto la muraglia cinese. Ora, nei suoi confronti, tutti sanno soltanto alzare il muro dell’indifferenza e del disprezzo. 
Ma prima che tradire noi e le nostre menti che si nutrono di apparenze e falsi miti, Alex ha tradito se stesso e solo per questo meriterebbe un po’ di umana comprensione, non una condanna senza appello
Leggi tutto: Mano tesa a Schwazer, il campione fragile

L’uomo non è solo il suo errore: stavolta, però, avverto che la responsabilità è tanta. Perché negli inferi non ci va solo lui, ma l’intero popolo che ai suoi piedi aveva legato la favola di un’Italia che non molla. In quelle scarpe sudate e consumate è nascosto, oggi, un ragazzo che va preso per mano e va aiutato a parlare, a trovare parole di denuncia e di collaborazione, a trasformare lo strazio e il pentimento in feritoie attraverso le quali far strada alla speranza per il futuro di molti ragazzi. La carriera forse è finita, ma la vita continua. E nella vita si può essere felici anche senza mettersi in società con il gatto e la volpe. Di questa fatica Alex potrebbe diventare testimonial per ridare colore a una storia che stamattina appare illeggibile e artefatta.