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mercoledì 26 settembre 2012

Chiesa "nel" mondo o chiesa "e" mondo? di Piero Stefani

Qualche mese fa al termine di una conferenza fu chiesto a Massimo Faggioli - uno dei più attenti studiosi attuali del Vaticano II - quale fosse stato il motivo principale che ha rallentato in modo tanto vistoso lo slancio conciliare partito gagliardo a metà degli anni Sessanta. La sua risposta è stata di indicare una serie di critiche mosse alla Gaudium et spes (una delle quattro costituzioni del Vaticano II) avanzate anche da teologici di primaria grandezza e non certo appartenenti al novero degli anticonciliatoristi. Non si può negare l’effettiva esistenza di critiche pensose, ma si può dubitare che esse abbiano svolto un ruolo rilevante nella scelta compiuta, in alto loco, di spingere il pedale del freno.
Una valutazione complessiva della costituzione conciliare esigerebbe lunghi discorsi. Nonostante il fatto che sia un procedere riduttivo, qualcosa del suo spirito lo si può, però, ricavare già dal coraggioso titolo del documento: «Gaudium et spes sulla Chiesa nel mondo contemporaneo». L’aver introdotto un «nel» al posto di un possibile «e» indica un aspetto irrinunciabile: la Chiesa è più piccola del mondo e ciò la obbliga, se vuole essere strumento di salvezza, ad assumere la logica del chicco di senape.
Quel «in» parla il linguaggio di una condivisione posta all’insegna di quanto è accomunante e se è da registrarsi una predilezione essa va riservata ai poveri: «Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie, le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo». Su questo punto allora nessuna critica fu espressa. Eppure in queste righe iniziali risuona un approccio ben distante da quello che udiamo oggi. Lì non si parla di un mondo destinato alla rovina in quanto ha girato le spalle alla fede. Quando l’analisi è questa, l’istanza non è di condividere le gioie e i dolori degli altri; all’opposto sono gli altri a dover tornare a far proprie le nostre convinzioni (assai più che le nostre prassi). In definitiva, i vertici della Chiesa cattolica hanno ripreso a parlare nel modo tipico di chi si trova, suo malgrado, nel mondo contemporaneo; vale a dire di chi è costretto a operare in un contesto contraddistinto da una crescente mancanza di fede (discorso, in realtà, costantemente ripetuto almeno da quando è iniziata quella storia, vecchia di oltre due secoli, che continuiamo a chiamare contemporanea)...
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