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martedì 1 ottobre 2013

La fine del mondo. Il nostro - Dove sono sguardo e voce d'Europa?

La fine del mondo. Il nostro
di Fabrizio Gatti

Non è solo la morte di tredici eroi che mi sconvolge. 
Tredici eroi che arrivati alla fine del viaggio, davanti a una spiaggia siciliana, sono stati frustati, buttati in acqua e lasciati annegare. 
La frusta, che in Africa può essere una corda, un tubo di gomma o un cavo elettrico, è uno strumento che ogni giorno accompagna la lunga marcia verso l’Europa. Ti frustano i militari per rapinarti una mancia di diecimila franchi, quindici euro. Ti frustano gli autisti dei camion che attraversano il Sahara, per obbligarti a salire in fretta. Ti frustano gli scafisti, per recuperare ogni millimetro disponibile sulle barche sovraccariche. Nel percorso da Agadez in Niger, l’ultima città dell’Africa nera dove termina la strada asfaltata, a Tripoli in Libia, dove appare il mare Mediterraneo, capita di essere frustati, torturati, rapinati dodici, quindici volte. Era così nel 2003, nel 2005, nel 2009, ogni volta che sono tornato al di là del mare a raccontare quel viaggio. 
Ma ciò che più mi sconvolge stamattina è vedere sul sito del Corriere della sera che il 38 per cento delle persone che hanno letto la notizia si dichiara soddisfatto. Il sito dava loro la possibilità di cliccare su indignato, triste o preoccupato. Invece hanno mosso il cursore per selezionare l’icona con il volto allegro e sorridente. 
Soddisfatti dei morti annegati, delle frustate, della fine. La nostra.

Un camion carico di migranti tra le dune del Ténéré (foto di Fabrizio Gatti)

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... E pare che allo stillicidio di naufragi la gente europea si sia abituata e rassegnata. Occorreva un uomo venuto da un altro Continente per farci ritrovare, di fronte a queste morti, sbalordimento e angoscia: lo sguardo del Papa su Lampedusa ha richiamato l’Europa al dramma che percorre il suo confine meridionale. E però accade ancora, accade ogni notte, che un vecchio legno stracarico tenti la sorte, verso l’Italia, verso l’Europa. Solo in questo 2013 secondo Migrantes sono morti in almeno 200 – che vuol dire uno al giorno.
E noi qui, davanti alla tv che mostra quei morti allineati – morti veri, non come quelli del commissario Montalbano – fatichiamo a capire come ci si possa imbarcare in un viaggio così, su quelle carrette sfasciate, con dei bambini, poi, o, molte donne, incinte. Noi non capiamo, ma chi arriva vivo dal Corno d’Africa, dal deserto, dai campi profughi in Libia, spiega che è meglio sfidare la morte che semplicemente aspettarla, là da dove si è partiti. Che, almeno, il mare concede qualche possibilità di salvezza, mentre il restare, no.
Allora, noi taciamo. Forse impotenti, davanti a un flusso migratorio da cui, senza magari ammetterlo, ci sentiamo minacciati. Oppure distratti dai nostri guai – un governo in bilico, un Paese pieno di guai, e l’Imu poi, e l’Iva, che aumenta. 
Eppure tutti questi nostri problemi sembrano da poco, se solo ci sforziamo di immaginare il viaggio di quelle barche nel buio. Pigiati in duecento, fra il pianto dei bambini, sotto il sole a picco e poi nella notte scura, la bocca secca di sete, e il mare attorno, sconosciuto e immenso. Davvero inevitabili, queste sciagure? Le associazioni che assistono chi sbarca invocano corridoi umanitari nel Mediterraneo, perché almeno i profughi delle guerre possano arrivare vivi. «L’Europa dei popoli, se c’è, faccia sentire la sua voce», ha detto ieri accoratamente padre La Manna del Centro Astalli, dove profughi e migranti vengono accolti. Sembra, però, che l’Europa sia in altre faccende affaccendata. Oppure, nicchia: che effetto avrebbe proteggere i migranti, se non di aumentare il numero di quelli che premono alle nostre porte? E il flusso che sfida il Mediterraneo assume silenziosamente i connotati di una migrazione epocale, di una pressione inesorabile dal mondo della fame e della guerra al mondo in cui, comunque, si vive.
Anche questi ultimi tredici morti, sono il prezzo di un non voler vedere collettivo. L’Europa si stringe in sé, come una fortezza assediata, e guarda altrove. Ma la pressione non si ferma, come non si ferma, in natura, il flusso tra due vasi comunicanti e diversamente pieni...


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“Ancora una volta il mare è stato un palcoscenico umano di angoscia, dolore e morte. Il Mediterraneo, culla delle civiltà, si è ormai trasformato in un cimitero".Così la ministra per l’Integrazione, Cécile Kyenge, ha commentato la tragedia di Scicli. "Stiamo assistendo - ha detto - ad una tragedia umana che interpella tutti i paesi d’Europa. Papa Francesco ha parlato di “globalizzazione dell’indifferenza” ma le sue parole sembrano inascoltate come la disperazione che accompagna queste morti”. “Non possiamo più sottovalutare questa situazione. Dobbiamo superare la logica dell'emergenza continua. Il Fenomeno dell’immigrazione non riguarda soltanto l’Italia. Siamo di fronte ad un disastro umanitario e l’Europa deve intervenire. Dobbiamo cooperare, parliamo di vite umane. I governi devono attivarsi al più presto, devono lavorare insieme per trovare una soluzione che ponga fine ad una dramma che non conosce più confini”. (fonte: Stranieri in Italia)


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