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venerdì 8 novembre 2013

"Lacrime e tenerezza" di Giovanni Mazzillo


Lacrime e tenerezza
di Giovanni Mazzillo 
(Teologo)

Le ferite della storia spesso restano non cicatrizzate.
Ma Dio ricorda che la disperazione sarà colmata di tenerezza insperata.


Zeta come Zaccaria, il profeta ucciso tra il santuario e l’altare. Come Zayn, nome arabo che significa “bellissimo”. Bellissimo nella sua tragedia, quel piccolo rimasto abbracciato alla mamma in fondo al mare di Lampedusa, prima che spuntasse l’alba del 3 di ottobre u.s.. 
Due nomi con due storie diverse, e tuttavia accomunati oltre che da una tragica fine, da ciò che riguarda la loro memoria, sì la memoria delle vittime innocenti della storia. Del profeta Zaccaria la fine violenta non è documentariamente accertata e tuttavia la tradizione ebraica, ripresa da Gesù, la attribuisce a un atto di protervia da parte di Ioas, re di Gerusalemme (cf. 2 Cr 24,20-21), il quale fece trucidare il profeta Zaccaria accanto all’altare di quel Dio che il profeta aveva amato fino all’inverosimile, fino a essere odiato – come sovente accade ai profeti – per averlo anteposto alle lusinghe e ai patteggiamenti di corte.

Dio si ricorda 
Zekariâh portava nel nome ciò che la lingua ebraica, nella sua concretezza, voleva esprimere sulla volontà di intervento da parte di Dio, sebbene con i propri tempi e le proprie modalità, a favore dei perseguitati, in forza della memoria delle ingiustizie commesse dagli uomini e soprattutto a motivo della misericordia sempre presente in Lui. Il termine significa infatti “Yhwh si è ricordato”. Potremmo dire: Dio si ricorda e tiene sempre a mente la sofferenza degli uomini, al punto che, parlando delle lacrime versate, in un vagare di una sofferenza senza fine e umanamente senza senso, il salmista dice “I passi del mio vagare tu li hai contati, nel tuo otre raccogli le mie lacrime: non sono forse scritte nel tuo libro?” (Sal 56, 9). Poco prima aveva affermato: “Nell’ora della paura io in te confido. In Dio, di cui lodo la parola, in Dio confido, non avrò timore: che cosa potrà farmi un essere di carne?” (Sal 56,4-5). 
Dio ricorda di certo la sofferenza degli uomini, di ogni uomo e in particolare di quanti soffrono senza un motivo e nell’indifferenza degli altri. L’ha sempre davanti, perché ha sempre davanti il suo stesso Figlio, Sua immagine e Suo riflesso, contemplando in Lui ciò che sempre ha amato e ama della sua divina essenza. Quel Figlio è tutto il suo affetto e il suo pensiero e, giacché si è fatto uomo, si potrebbe anche chiamare “Memoria intrisa di infinita tenerezza”. È, infatti, il Cristo risuscitato e, suo tramite, siamo tutti davanti al Padre, con in prima fila gli innocenti trafitti sulla terra, perché Cristo porta ancora, sebbene ormai e per sempre gloriose, le ferite della nostra condizione umana. 
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