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lunedì 31 marzo 2014

"Il nocciolo duro di papa Francesco" di Lorenzo Mondo


Il nocciolo duro di papa Francesco
"Pane al pane", la rubrica su La Stampa 
di Lorenzo Mondo


Questo Papa non finisce di sorprenderci. Piaceva, a tanti, imprigionarlo nella corazza molle della mansuetudine, di una bonarietà espressa dall’abbraccio e dal sorriso, di un perdonismo a tutto campo che non battesse troppo sull’assunzione di responsabilità e sul pentimento. Ed anche il suo attaccamento ai poveri finiva per stemperarsi, aneddoticamente, sulle scarpe grosse, sulla modestia dell’auto, sui pasti presi in comune nel refettorio di Santa Marta.
Bene, chi intendeva raffigurarsi questa specie di santino ha avuto negli ultimi giorni occasioni per ricredersi.
Prendiamo la messa celebrata in San Pietro per gli uomini politici. Erano in cinquecento, tra ministri e parlamentari, e molti, come irriguardosa carta da visita, avevano affollato piazza Sant’Uffizio di auto blu. La predica alla «casta» è stata inopinatamente severa. Papa Francesco ha parlato di «una classe dirigenziale che al tempo di Gesù si era allontanata dal popolo, lo aveva abbandonato». Per egoismo, avidità, insensibilità nei confronti dei poveri e dei reietti. E il trapasso ai tempi nostri, ha dettato al pontefice una durissima reprimenda: sui «peccatori che scivolano in corrotti, il cui cuore si è indurito. I primi saranno perdonati perché possono redimersi, i secondi no, sono fissati nel loro errore». Nessun sorriso o battuta scherzosa, nessun cenno di saluto. La cerimonia si è svolta e conclusa in un clima di manifesta freddezza. Inutilmente qualcuno si è affrettato a dire, con ovvietà, che il Papa non alludeva alla corruzione di ordine penale e, con minore plausibilità, che si rivolgeva a tutti i credenti. Insinuando quasi che la corruzione se ne stesse confinata nei recessi del cuore anziché riversarsi nei quotidiani comportamenti.
Una settimana fa, papa Francesco aveva partecipato alla giornata, promossa da Don Ciotti, in memoria delle centinaia di vittime innocenti di tutte le mafie.
Un contesto ben diverso, trattandosi qui della più efferata, devastante criminalità. Ma interessa la forza della parola, il giudizio senza remissione, anche se espresso con voce pacata e perfino implorante. Era un invito pressante rivolto ai mafiosi perché si convertano: «Ancora c’è tempo, per non finire nell’inferno, è quello che vi aspetta se continuate su questa strada». La corruzione che si avvita su se stessa senza possibilità di riscatto, l’inferno che, per quanto screditato dalla morale corrente, punisce le mani insanguinate dei mafiosi recidivi. E’ una dolcezza, quella di Francesco, che fiorisce stupendamente su un solido terreno, che non ottunde il nocciolo duro di una persuasione, di una fede incarnata nella verità e nella giustizia.

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