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martedì 11 marzo 2014

PANE DA CHIEDERE E DA CONDIVIDERE di Alberto Maggi


PANE DA CHIEDERE E 
DA CONDIVIDERE
(Mt 6,5-15)
di Alberto Maggi 


Sono ritenuti i versetti più difficili non solo dei Vangeli, ma di tutto il Nuovo Testamento. La loro traduzione è un’impresa ardua se non impossibile, poiché questo testo contiene termini inesistenti nella lingua greca. L’ultima traduzione della Bibbia CEI (2008) ha apportato qualche miglioramento, ma ancora molto c’è da fare.
Come è possibile che questi versetti, conosciuti come il “Padre nostro”, siano così complicati? Già Teresa d’Avila, grande mistica e Dottore della Chiesa, esprimeva il suo sconcerto chiedendosi “perché Dio non si sia spiegato più chiaramente sopra certi punti così elevati ed oscuri per farsi meglio capire. E mi è sembrato che dovendo questa preghiera essere comune e servire a tutti, bisognava che ciascuno potesse applicarla ai suoi bisogni particolari e trovasse in essa un argomento di consolazione, persuaso d’interpretarla bene”.
Il problema insormontabile del Padre nostro è nato proprio perché è stato considerato solo una preghiera. L’averlo fatto ha confinato la grandezza di questo testo nell’ambito delle preghiere devozionali, con effetti tanto contrastanti quanto devastanti per la fede. Basta pensare all’invocazione “dacci oggi il nostro pane quotidiano (Mt 6,11), che assume significati diversi a seconda le latitudini dove essa viene pronunciata. 
Mentre nel florido mondo occidentale, dove il pane sovrabbonda, e si getta nei rifiuti (solo nella città di Milano ogni giorno sono gettati nei rifiuti ben centottanta quintali di pane), è un’assicurazione al proprio benessere, nell’ultimo mondo, quello dove ogni giorno ventiseimila bambini muoiono di fame, per gli scheletriti credenti questa preghiera è segno di una promessa mancata. 
Pregano come gli obesi privilegiati cristiani del mondo opulento, ma gli effetti non si vedono, il pane quotidiano rimane un miraggio, e il “dacci oggi”, suona ogni giorno come una beffa.
Eppure il Padre nostro voleva essere proprio il rimedio e la soluzione a questa ingiustizia. Gesù, infatti, non intende insegnare una preghiera, ma invita i suoi alla pratica delle beatitudini per la realizzazione del Regno di Dio, e il Pater è, sotto forma di orazione, la formula di accettazione delle beatitudini di Gesù (Mt 5,3-10). 
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