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domenica 18 maggio 2014

Vivere in questo mondo come figli del Padre - Lectio di Fr. Egidio Palumbo


"LECTIO" DEL VANGELO 
di fr. Egidio Palumbo
della Fraternità Carmelitana Pozzo di Gotto (ME)


V DOMENICA DI PASQUA anno A

At 6,1-7 
Sal 32 
1Pt 2,4-9
Gv 14,1-12


Vivere in questo mondo come figli del Padre

1. L’itinerario mistagogico di questa domenica di Pasqua si sofferma sulla nostra relazione filiale con Dio Padre, relazione che Gesù ha vissuto con fedeltà e in modo autentico e profondo (Gv 14,1-12). Per questo egli è la via che ci conduce al Padre (Gv 14,6) ed è colui che ci mostra il vero volto del Padre (Gv 14,9).

2. La pagina del vangelo, che fa parte di un grande discorso intimo e familiare (Gv 13,31-16,33) che Gesù rivolge ai discepoli nel contesto della cena pasquale (Gv 13,1-2), inizia con l’esortazione a non essere turbati, agitati, spaventati, ma ad aver fede, ovvero a fondare la nostra esistenza in Dio e in Gesù: «Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me» (Gv 14,1).
Sullo sfondo di questa esortazione vi è un altro grande discorso: quello che Mosè rivolge al suo popolo dopo l’esperienza della liberazione dalla schiavitù di Egitto, il cammino nel deserto e prima dell’ingresso nella terra promessa, terra che è dono di Dio al suo popolo.
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3. Se sullo sfondo c’è Dt 1,29-33, ci chiediamo: i discepoli di Gesù perché sono spaventati? di chi hanno paura?
Quando Gesù qui parla di “casa del Padre”, di “dimora”, di “posto”, non sta parlando di uno spazio geografico o fisico, ma di relazione: della relazione di comunione con il Padre, che lui vive in modo autentico, perfetto e trasparente, e, come un vero pedagogo, con il suo vissuto che realizza pienamente la Parola del Padre – per questo egli è la via, la verità e la vita, per questo egli “mostra” il Padre e per questo esorta a credere nelle sue “opere” – sta educando i discepoli a fare questa stessa esperienza di relazione filiale con Dio.
Ebbene, possiamo dire che la paura dei discepoli (e anche la nostra) è duplice: da una parte sono consapevoli, visti i limiti e la fragilità, di non farcela a vivere come figli di Dio Padre; dall’altra sono altrettanto consapevoli della tentazione, sempre dietro l’angolo, di avere la presunzione di diventare come tanti piccoli “padreterni” su questa terra, calpestando la dignità e i diritti degli altri, mancando di rispetto e di attenzione verso gli altri, facendo ciò che pare e piace, senza tener conto degli altri.
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4. Ma come vivere da figli del Padre senza la presunzione di voler diventare dei piccoli e dispotici “padreterni” in questo mondo (altra cosa è l’esercizio della paternità spirituale)?
Si sa che questa tentazione prende spesso le persone religiose e anche, oggi molto ricorrente, certi “atei devoti”. Le due letture bibliche che la liturgia accosta alla pagina del vangelo al riguardo sono illuminanti.
Da una parte la prima lettura (At 6,1-7) mostra una chiesa che seriamente discerne come porsi al servizio dei poveri e degli indifesi (le mense e le vedove), senza trascurare la preghiera e il servizio della Parola di Dio; realizzando così quel giusto equilibrio tra Parola ascoltata e annunciata e Parola testimoniata e vissuta.
Dall’altra, la seconda lettura (1Pt 2,4-9) esorta noi, popolo di Dio, a rimanere legati, in un relazione di comunione profonda, con il Cristo “pietra scartata” dagli uomini ma scelta e preziosa davanti a Dio. Solo rimanendo fondati su questa “pietra scartata” sapremo vivere sulla terra come figli di Dio Padre ed essere attenti e solidali con tutti gli “scartati” della storia.

Chiediamo, allora, con il salmista (salmo responsoriale. Sal 33) che in questo mondo, così malato di egocentrismo e di individualismo, l’amore paterno di Dio guidi i nostri passi e quelli di tutto il popolo di Dio, affinché diventiamo segno di speranza per tutti coloro che oggi non hanno speranza.

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