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sabato 7 giugno 2014

"Un papa che fa pregare re e presidenti" di Massimo Faggioli


Un papa che fa pregare re e presidenti
di Massimo Faggioli

Il fatto che papa Francesco abbia invitato in Vaticano Shimon Peres e Abu Mazen a pregare per la pace rientra nelle tante novità di questo pontificato, ma anche nella storia della romanità. Roma ha da sempre un ruolo nelle aspirazioni alla pace, nell'area euro-mediterranea prima e globale poi: dalla pax romana fino alle guerre mondiali del novecento. In questa autocoscienza della romanità come punto di sintesi e di possibile soluzione delle tensioni internazionali la chiesa cattolica ha giocato un ruolo particolare, paradossalmente proprio dalla fine del potere temporale del papa nel 1870 in poi. Dall'appello di Benedetto XV nel 1917 contro "l'inutile strage" della Grande guerra, fino al Giubileo del 1950 che era inteso anche a sanare il bagno di sangue tra cristiani nell'Europa cristiana, i papi hanno inteso come parte del proprio ministero una specie di "alta sovranità": la pace sotto tutela cattolica prima durante la Guerra fredda con una chiara funzione anticomunista, e poi progressivamente, dalconcilio Vaticano II in poi, alla luce di un'accettazione dell'idea dei diritti umani e del dovere della chiesa di farsi avvocata di essi.

La convocazione di un summit di preghiera in Vaticano da parte di papa Francesco rappresenta un salto in avanti rispetto alle avanguardie lanciate da Giovanni Paolo II. Oggi, nel 2014, sembrano lontanissimi i segnali d'allarme di quanti nel 1986 si opposero all'idea di papa Wojtyla di ospitare leader di altre chiese e religioni ad Assisi. Papa Francesco ha invitato il presidente dello Stato di Israele e il presidente dei palestinesi a "pregare assieme" - esattamente lo spettro agitato da quanti videro in Assisi 1986 una manifestazione di concordia interreligiosa teologicamente inavvertita e pericolosa.

La tentazione è di ridurre l'evento dell'8 giugno 2014 ad una discesa del Vaticano di papa Bergoglio sul campo della politica internazionale, ad un ritorno al protagonismo diplomatico di Giovanni Paolo II. Ma dal punto di vista religioso, c'è di più. L'inizio del pontificato di Wojtyla coincise con l'irrompere sulla scena mondiale dell'Islam politico, con la creazione del regime teocratico iraniano (1979). Di fronte a quella che gli esperti hanno definito "la rivincita di Dio" sulle teorie della secolarizzazione che andavano di moda negli studi accademici degli anni settanta, la risposta di molti leader fu tesa a ridimensionare il ruolo della religione nella sfera pubblica, e diventò parte di una laicizzazione-secolarizzazione delle questioni internazionali: la pace globale sembrava potesse venire solo da leader più laici e meno animati da uno spirito religioso. L'11 settembre 2001 fornì una prima verifica a questa falsa equazione: le guerre che ne seguirono vennero da un paese fintamente laico (gli Stati Uniti) e crearono nuovi regimi fintamente laici (Iraq e Afghanistan).

Ora papa Francesco affronta la questione capovolgendo i termini della questione: la religione, o meglio, la spiritualità può portare la pace, anche dove essa è stata travolta (come in Medio Oriente) da teologie nazional-religiose. Il papa ha invitato a pregare a Roma non leader religiosi ebrei e musulmani, ma i leader politici di israeliani e palestinesi, affidando ad essi un ministero di tipo religioso che non è quello cui sono stati eletti e che formalmente ricoprono. La presenza del patriarca di Costantinopoli, che gode di un primato d'onore nelle chiese ortodosse, fa dell'incontro un evento ecumenico a pieno titolo.

Francesco sfida le convenzioni della politica in Occidente, che ha dato per scontata e universalizzato la separazione del religioso dal secolare. Per il cristiano Bergoglio, per la sua visione del mondo e dell'uomo, questa separazione ha dei chiari limiti: anche in questo è chiaro come papa Francesco non sia un liberal, ma un gesuita della chiesa cattolica post-conciliare proveniente da una parte del mondo in cui religione e politica hanno intessuto rapporti diversi da quelli plasmati dalla rivoluzione francese e dalla rivoluzione americana nel nord del mondo.

Papa Francesco aveva già sfidato il protocollo quando aveva chiesto alla regina Elisabetta di Inghilterra (capo della chiesa anglicana) in visita in Vaticano di pregare per lui. Qui il papa sfida il protocollo internazionale ad un livello ancora più alto.

Non è affatto detto che l'incontro dell'8 giugno porti i frutti sperati in Medio Oriente, ma di certo rappresenta un segnale di novità nell'interpretazione che il papato di Bergoglio dà del rapporto tra religione e violenza nel mondo contemporaneo.
 (fonte:L'HUFFINGTON POST)