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venerdì 22 agosto 2014

Papa Francesco Viaggio apostolico in Corea 13-18 agosto / 9 (testi, foto e video)


 18 agosto 2014 

Si chiama Mary sol, ha sette anni. Da ore è ferma nella piazza che si apre davanti alla nunziatura di Seoul. Ha in mano un mazzolino di fiori. Esce il Papa. Mary sol accenna a un passo. Ma poi, timida, si ritrae. La notano gli uomini della Gendarmeria vaticana che seguono il Pontefice in questo viaggio. La prendono per mano e l’accompagnano sino alla macchina che il Papa fa immediatamente fermare. Mary sol gli porge il suo mazzolino. Francesco prende i fiori e le assicura che li porterà sino a Roma e li donerà alla Madonna. Li lascerà ai piedi della Salus populi Romani, a Santa Maria Maggiore, appena rientrato.

Sono da poco passate le 9 di martedì 18 agosto. Il Pontefice si è appena congedato dal personale della nunziatura. È stato il primo segnale di una visita che giunge al termine. Oggi è infatti il giorno del rientro in Vaticano. Prima però bisogna pregare ancora per la pace e per la riconciliazione di un popolo diviso da incomprensioni ataviche.

L’appuntamento è nella suggestiva cattedrale di Myeong-dong, dedicata a Nostra Signora dell’Immacolata Concezione, a Seoul. Prima di giungere in sacrestia il Papa si ferma in una saletta del palazzo dove c’erano una volta i vecchi uffici della curia. Lo attendono i leaders religiosi coreani. Nessuna formalità né discorsi, solo un breve saluto. Guida il gruppo monsignor Hyginus Kim Hee-Jong, presidente del comitato per la promozione dell’unità dei cristiani e per il dialogo interreligioso della Conferenza episcopale coreana. Ci sono rappresentanti delle religioni tradizionali coreane e rappresentanti delle diverse Chiese e comunità cristiane presenti nel Paese. Un incontro breve ma molto caloroso. 














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Come breve ma estremamente significativo è quello con alcune donne che hanno subito violenze durante l’occupazione giapponese. 
Sono le rappresentanti delle 54 superstiti riunite oggi nell’associazione Confort Women, un gruppo di coreane deportate contro la loro volontà dai giapponesi durante la guerra e costrette a fare da schiave e da prostitute. Al Papa hanno donato un distintivo che è il loro simbolo. Lui lo ha appuntato sulla veste accanto a quello di donatogli dai parenti delle vittime del naufragio del traghetto Se Wol.

In cattedrale il Pontefice entra da una porta laterale. Tra i banchi almeno mille persone. I vescovi della Corea aprono il corteo verso l’altare. La messa è celebrata in latino: inizia con la preghiera colletta durante la quale Francesco invoca Dio perché posi il suo benevolo sguardo su questi due popoli separati e conceda loro pace e riconciliazione affinché possano tornare a essere una sola famiglia.
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Nell’omelia il Papa non fa mai distinzione tra Corea del Sud e Corea del Nord. Parla sempre di un popolo diviso da oltre sessant’anni e chiede prima di tutto alla sua Chiesa di impegnarsi per far sì che attraverso il perdono reciproco si possano superare odio e incomprensione per cominciare un nuovo cammino comune per il bene di tutti.
Il sogno è di vedere alla messa la presenza di una delegazione cattolica nord-coreana. La Corea del Sud nel mese di maggio scorso, durante un incontro a Shenyang, in Cina, con alcuni rappresentanti dei cattolici della Corea del Nord li aveva invitati ufficialmente.
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E forse anche per questo le invocazioni della preghiera dei fedeli acquistano un significato ancor più pressante. Si prega il Dio di pace di seminare nei cuori in contesa il seme del perdono e della riconciliazione; di aiutare la Chiesa a illuminare il cammino che porta alla pace e alla riconciliazione; di suscitare nei cuori sentimenti di amore, pace, pazienza e sobrietà per spegnere le guerre, gli odi, le ostilità, le invidie, gli egoismi, le cupidige; di guidare con bontà i popoli divisi per motivi storici, politici, ideologici economici e religiosi affinché imparino a camminare insieme superando ogni ostacolo che deriva dalla divisione.
In questo contesto risuona particolarmente eloquente soprattutto la preghiera «per il cardinale Fernando Filoni, che doveva essere fra noi, ma che non è potuto venire perché è stato inviato dal Papa al popolo sofferente dell’Iraq, per aiutare i fratelli perseguitati e spogliati, e tutte le minoranze religiose che soffrono in quella terra. Che il Signore gli sia vicino nella sua missione».
Gli occhi della gente tradiscono l’emozione. Aspettavano il Papa. Erano certi che sarebbe venuto a parlare di pace a chi vive una guerra fredda da sessant’anni. Gli mostrano la fotografia di un popolo monco a causa di un’ideologia. Guardano a lui come all’unica persona capace di compiere un gesto che possa servire a convincere i responsabili delle parti in causa ad aprire una nuova stagione di dialogo
E così le parole pace e riconciliazione diventano ora preghiera. Una preghiera di cui il Paese ha urgente bisogno per risanare una ferita lunga 243 chilometri e larga quattro. Sanguina dal 1950 e taglia in due la penisola. Al 38° parallelo. I vescovi sono qui a rinnovare il loro decennale impegno sul fronte della pace. Hanno costituito persino un comitato ad hoc. In questa stessa cattedrale celebrano ogni martedì una messa per la riconciliazione. Sono convinti che solo un miracolo possa riuscire a riunire tutte le membra del corpo coreano. Per questo continuano a pregare. Oggi con maggiore intensità, con il Papa che è qui per sostenerli ancor più da vicino. Lo assicura a ciascuno di loro mentre li saluta ad uno ad uno.
La messa si è conclusa ma il Papa prega ancora. È nella cripta situata dietro l’abside, dove sono conservate le reliquie di nove martiri uccisi tra il 1839 e il 1866 da chi temeva il Vangelo. Implora il coraggio della testimonianza per i sacerdoti e i vescovi della Corea. Ma il suo pensiero è certamente rivolto a tutti i missionari chiamati a dare testimonianza in quei tanti Paesi asiatici nei quali la fede cristiana è ancora oggi guardata con sospetto e contrastata.
 
Gli ultimi venti chilometri per le strade di Seoul corrono via tra due ali di folla festosa, nonostante una fastidiosa pioggerella . Il percorso è punteggiato da striscioni che qui hanno la classica forma della stele orientale, si sviluppano cioè in verticale più che in orizzontale. La foto di Papa Francesco sorridente campeggia ovunque. Le scritte sono in inglese e, naturalmente in coreano.
La cerimonia di congedo è semplice. Non ci sono discorsi ufficiali. Solo strette di mano. Il b777 della Korean Airlines scalda i motori ma non copre il fragore del lungo applauso che accompagna l’imbarco del Pontefice. Il decollo alle 13, in perfetto orario, chiude la pagina del terzo viaggio di Papa Francesco oltre i confini italiani, il primo in Asia. Sri Lanka e Filippine già si preparano. A gennaio il nuovo appuntamento con i popoli del grande continente. (fonte del testo: L'Osservatore Romano)

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