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lunedì 15 settembre 2014

Padre Pino Puglisi uomo di «Parola»

«Non ho paura delle parole dei violenti, ma del silenzio degli onesti». Ricordando don Pino Puglisi a 21 anni dal suo martirio, tornano alla mente le sue parole, negli ultimi giorni prese in prestito per molti articoli di cronaca a commento delle minacce di Totò Riina, ascoltato dalle cimici della polizia giudiziaria nel carcere di Opera mentre quasi si vanta dell’assassinio del parroco di Brancaccio e immagina analoga fine per don Luigi Ciotti. La loro colpa? «Succhiano aria alla mafia», lamenta il boss, indirettamente confermando l’attendibilità del movente dell’omicidio, che ha poi portato alla beatificazione del sacerdote palermitano: Puglisi voleva fare il prete fino in fondo, e forte del Vangelo sottrarre i ragazzi alle grinfie della malavita, far pensare, ridare fiducia alla gente. 
Era, ed è, l’emblema della Chiesa che testimoniando Cristo e annunciando il vangelo, fa male alla mafia perché cerca di saldare la terra al cielo. Come la Chiesa di Papa Francesco, che – egli ce lo ricorda sempre – deve camminare nella quotidianità con la matura consapevolezza che «una fede autentica implica sempre un profondo desiderio di cambiare il mondo» da parte di cristiani che non siano «vino annacquato».

Che cosa ci ha consegnato don Puglisi, col suo martirio? Lo ricordava proprio don Ciotti, in un articolo all’epoca per molti versi profetico, pubblicato su Avvenire 5 il 5 settembre del 1994: «Egli ha incarnato pienamente la povertà, la fatica, la libertà e la gioia del vivere come preti, in parrocchia. Con la sua testimonianza ci sprona a sostenere quanti vivono questa stessa realtà con impegno e silenzio. Non il silenzio di chi rinuncia a parlare e denunciare, ma quello di chi, per la scelta dello stare nel suo territorio, rifiuta le passerelle o gli inutili proclami». Pochi cenni che restituiscono il ritratto dell’uomo che nella primavera del 1990 approda a Brancaccio, iniziando a bussare a tutte le porte perché, diceva, «bisogna prima conoscere, poi capire, infine agire». 

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Don Puglisi non è stato ucciso perché dal pulpito annunciava princìpi astratti, ma perché ha voluto uscire dalla loro genericità per testimoniarli nella vita quotidiana, dove le relazioni e i problemi assumono la dimensione più vera. Oggi universalmente per i credenti egli è il "testimone credibile perché coerente" con la "Parola", per i non credenti è un uomo ed un uomo di "Parola" poiché non si è tirato indietro davanti al pericolo. Il suo sacrificio rivive nella coscienza di tutti, monito ai cattolici e agli uomini e alle donne di buona volontà a dire no ai cattivi maestri, ai soprusi, alla mentalità di morte. E tutti esorta a fare di più, con continuità e coerenza, sempre, nella lotta alla mafia e al male. La sua figura sospinge la Chiesa a imboccare la strada del cambiamento con la chiarezza definitiva tracciata da Papa Francesco nella Piana di Sibari, ma impone anche un nuovo modo di intendere e fare la politica e l’economia, attese all’unica testimonianza vera e concreta contro le mafie: dimostrare d’essere impermeabili alle influenze delle cosche.

Soprattutto questo ci ha lasciato don Puglisi: una direzione e un senso per il nostro essere chiesa e mondo, un invito per le nostre parrocchie ad alzare lo sguardo, a dotarsi di strumenti adeguati e incisivi per perseguire giustizia e legalità vere, autentiche, genuine. Col suo sangue il deserto s’è fatto terra fertile: a noi, ora, il compito di rassodare e coltivare quotidianamente, perché dia frutti: coltivare quel campo chiamato speranza.

Leggi tutto: Puglisi uomo di «Parola» ha tracciato il solco per noi di mons. Vincenzo Bertolone (arcivescovo metropolita di Catanzaro-Squillace, postulatore della causa di beatificazione di don Giuseppe Puglisi)