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venerdì 30 gennaio 2015

Ecco la liberazione più grande di Luigino Bruni

Le levatrici d’Egitto/7 - 
Dopo l’estrema piaga,
l’idolo si piega ed è «l'inizio dei mesi»




Ecco la liberazione più grande
di Luigino Bruni



“Le piaghe non eguagliarono per crudeltà l’oppressione degli egiziani sui figli d’Israele, che si protrasse sino alla fine della loro permanenza in quella terra. Ancora il giorno stesso dell’Esodo, Rachele figlia di Sutela diede alla luce un bambino mentre insieme al marito stava lavorando la malta per i mattoni. Il neonato sgusciò fuori dal ventre e affondò in quella poltiglia. Allora apparve Gabriele che formò un mattone nel quale incluse il bambino e lo portò nell’alto dei cieli”
(Louiz Ginzberg, Le leggende degli ebrei)

Le piaghe d’Egitto sono la condizione normale degli imperi idolatrici, e quindi anche del nostro. In questi regimi l’acqua non disseta gli esseri viventi né feconda la terra. Imputridisce e genera rane, zanzare, tafani…, e muoiono gli animali. Il sole non riesce a penetrare attraverso la loro densa polvere, e tutto è avvolto dalla tenebra. Gli imperi degli idoli non hanno discendenti, i loro primogeniti muoiono, perché l’idolo è seducente, ma sterile. Quando gli imperi dimostrano la loro invincibile natura idolatrica, quando nessuna piaga riesce a convertire il faraone, quando l’unica condizione possibile nella terra dell’impero è la schiavitù, l’Esodo ci dice che per il povero non è ancora finita, ci resta ancora una possibilità. Anche in questa condizione tremenda – cosa c’è di più tremendo della morte dei bambini? – esiste una via di salvezza se si riesce a credere ai profeti, e a resistere fino alla fine: «Ancora una piaga manderò contro il faraone e l'Egitto; dopo di che egli vi lascerà partire di qui» (12,1).
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Questi difficili, tremendi e stupendi capitoli dell’Esodo vanno letti anche come una grande lezione sull’idolatria – è questa la vena più profonda che stiamo cercando. La Bibbia non ha alcuna pietà per questo faraone, perché per salvare se stessa e salvarci deve essere spietata contro gli idoli. La prima verità di YHWH è non essere uno dei tanti idoli degli uomini. Israele ha sempre lottato contro gli idoli attorno e dentro di sé, compresi quelli che aveva visto in Egitto e dai quali era stato affascinato. Ponendo all’inizio della Genesi un Dio creatore e un uomo creato a sua immagine, la Bibbia ha voluto fare una scelta radicale e fondamentale. Ha scavato un solco profondissimo e invalicabile tra sé e la cultura idolatrica, dove invece è il dio che viene creato a immagine di un uomo impoverito della trascendenza. L’idolo è l’anti-YHWH, ma è anche l’anti-Adam, perché una cultura idolatrica nega prima di tutto l’uomo, che finisce schiavo e produttore a vita di mattoni per l’idolo da lui stesso creato. Per credere nell’idolo non serve la fede, perché è banalmente evidente nelle piazze e nei mercati di tutti. La fede biblica è invece fiducia in una voce che non vede, ma che “sente”. È allora che l’imperatore-idolo viene colpito dalle piaghe, e la grande liberazione è soprattutto l’uscita dall’idolatria. I figli che devono morire sono i figli degli idoli e dei loro imperi che hanno accompagnato lo sviluppo della nostra storia e della storia della salvezza.

Oggi viviamo una grande epoca idolatrica, probabilmente la più grande di tutte. Abbiamo ridotto il trascendente a manufatto, riempito il “cielo” di cose che non saziano mai, perché prodotte non per togliere ma per aumentare la nostra fame di idoli affamati – gli idoli devono mangiare sempre, finiscono per divorare i loro adoratori, e non sono mai sazi. Il sistema storico più vicino alla cultura idolatrica pura è il capitalismo finanziario-consumista cui abbiamo dato vita. Basta frequentare i suoi luoghi, parlare con i suoi grandi attori, assistere alle sue liturgie, per appurarlo con estrema chiarezza. È un sistema che conosce e alimenta solo il culto di se stesso, che vede e riconosce un solo fine: massimizzare la produzione di mattoni per innalzare le proprie piramidi-babele sempre più alte. Gli imperi idolatrici puri non durano a lungo: passerà presto anche la scena di questo capitalismo divoratore. Ma le nostre piaghe non sono ancora finite, e con esse continua forte il grido dei popoli oppressi.
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