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martedì 17 febbraio 2015

Venti di guerra in Libia - No all'ennesimo disastro militare! "Perché non cominciare a bloccare la vendita delle armi e a bloccare ogni rapporto con chi sappiamo essere a supporto dell'Isis?

No a un eventuale intervento militare in Libia per fare fronte all'avanzata dell'Isis, non è questa la soluzione. E' un coro unanime quello delle organizzazioni pacifiste, che avvertono: non si ripeta quanto è avvenuto nel 2011 con Gheddafi.
"Noi rimaniamo dell'idea, come ha dimostrato il caso libico, che situazioni così complesse se affrontate solo con un intervento militare possono solo peggiorare", dice all'Adnkronos Francesco Vignarca, coordinatore della Rete Italiana per il Disarmo. "Nel 2011 - ricorda - siamo andati in Libia e purtroppo si è visto come la situazione è peggiorata. La soluzione non è facile. Con uno strumento militare si interviene se si ha un piano, ma in questo caso qual è il quadro, qual è l'obiettivo? Ci sono 150 gruppi armati, quelli dell'Isis quali sono, dove sono? Non c'è chiarezza su cosa fare".
"Noi - sottolinea - da tempo diciamo che per combattere realmente gruppi terroristici organizzati la prima cosa è bloccare le fonti di finanziamento. Le armi le possono prendere perché vengono finanziati. Poi è importante coinvolgere politicamente le popolazioni. Non abbiamo una soluzione immediata, sicuramente però bombardare senza avere un quadro preciso e l'obiettivo finale in passato ha solo gettato benzina sul fuoco".
Un monito a non ripetere gli errori del 2011 arriva anche da Flavio Lotti, coordinatore nazionale della Tavola della pace. "La prima considerazione - dice all'Adnkronos - è che dobbiamo fare i conti con le drammatiche conseguenze di un'altra guerra che si voleva risolvesse un problema, che si chiamava Gheddafi, e invece ne ha creato uno ancora più grande e spaventoso".
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"In Libia abbiamo già dato nel 2011" avverte don Renato Sacco, coordinatore nazionale di Pax Christi. "Un intervento militare armato ha prodotto i risultati che sono sotto gli occhi di tutti - evidenzia all'Adnkronos - Quello che abbiamo fatto in Libia lo abbiamo fatto come Occidente in Iraq e non solo. La nostra posizione è che scegliere la strada militare, oltretutto in modo così frettoloso, significa mettersi in un vicolo cieco. Noi chiediamo che l'Onu sia il primo a decidere, non a benedire scelte che altri hanno fatto, come nel 2011".
Invece di un intervento militare, "perché non cominciare a bloccare la vendita delle armi e a bloccare ogni rapporto con chi sappiamo essere a supporto dell'Isis? - chiede don Sacco - Noi andiamo a bombardare chi, dove, con che obiettivo e prospettiva? Credo che siano molto significative le parole del vicario apostolico di Tripoli, che dice: abbiamo sempre guardato solo agli interessi e mai al dialogo. Cosa abbiamo fatto noi per unire questa Libia così divisa? E l'Isis è inserita in questa divisione".

... E per evitare che queste catastrofi si tramutino in una seconda guerra libica lo storico Angelo del Boca ed il missionario padre Alex Zanotelli hanno lanciato un appello, in cui chiedono che la Libia non sia riportata alla situazione di due secoli prima, in cui ogni tribù difende le proprie frontiere e sfrutta le risorse petrolifere, chiedendo un intervento dell’Italia per una vera missione di pace:
“Non c’è alcun dubbio che Muammar Gheddafi è stato un crudele dittatore, ma nei suoi 42 anni di regno ha mantenuta intatta la nazione libica, l’ha dotata di un forte esercito e di un’eccellente amministrazione al punto che il reddito pro-capite del libico era il più alto dell’Africa e si avvicinava a quello dei paesi europei. Ma soprattutto ha dato ai libici una fierezza che non avevano mai conosciuto.
A tre anni dal suo assassinio (avrebbe meritato un processo), la Libia è nel caos più completo e già si parla con insistenza di risolvere la questione inviando truppe dall’estero per organizzarvi una seconda, micidiale e sciagurata guerra. Nel corso della prima infausta guerra, voluta soprattutto dalla Francia di Sarkozy, il paese ha subìto danni immensi, 25.000 morti e distruzioni valutate dal Fondo Monetario Internazionale in 35 miliardi di dollari.
Poiché le voci di un intervento militare italiano si fanno più frequenti, noi chiediamo alle autorità del nostro Paese di non commettere il gravissimo errore compiuto nel 2011 quando offrimmo sette delle nostre basi aeree e più tardi una flotta di cacciabombardieri per aggredire un paese sovrano, violando, per cominciare, gli articoli 11, 52, 78 e 87 della nostra Costituzione.
In un solo caso l’Italia può intervenire, nell’ambito di una missione di pace e dietro la precisa richiesta dei due governi di Tripoli e di Tobruk che oggi si affrontano in una sterile guerra civile. Ma anche in questo caso l’azione dell’Italia deve essere coordinata con altri paesi europei e l’Unione Africana(UA)”.

Ventuno egiziani copti uccisi in Libia dai miliziani dell’Isis, un Paese completamente destabilizzato e nelle mani degli estremisti, gli italiani evacuati e già sbarcati in Sicilia. Tranne il vescovo Giovanni Innocenzo Martinelli che ha scelto di non abbandonare gli ultimi 300 cristiani, tutti filippini, rimasti a Tripoli. Soffiano rischiosi venti di guerra in Europa e nelle ore molto delicate in cui si dibatte sull’eventualità o meno di un intervento armato in Libia, c’è grande preoccupazione ovunque. Papa Francesco è oggi intervenuto sull’uccisione dei 21 egiziani copti, “assassinati per il solo fatto di essere cristiani”, il cui sangue “è testimonianza di fede”. E mons. Martinelli, parlando alla Radio Vaticana, ha lanciato un appello affinché “la comunità internazionale sia capace di lanciare un dialogo con questo Paese che si è diviso e fa fatica a ritrovare innanzitutto l’unità interna”.
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Di solito, racconta, “la domenica e il venerdì la cattedrale di Tripoli era pienissima di africani, tra cui molti che lavoravano in Libia. Ora, di fronte all’avanzata dell’Isis, la situazione è cambiata molto. Quasi tutti i cristiani sono scappati, tranne i 300 filippini, il personale della Chiesa, le suore”. Barsella invita, a livello culturale, “a non fare di tutta l’erba un fascio, accomunando i musulmani ai terroristi, altrimenti si fa il gioco dell’Isis. Bisogna invece dialogare e lavorare insieme al mondo musulmano, che è consapevole di avere al suo interno un cancro. Noi invece continuiamo a discriminare e questo non aiuta”.