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martedì 24 marzo 2015

Ricordando Oscar Romero

Oscar Romero verrà reso beato il prossimo 23 maggio e monsignor Paglia, che ne è stato postulatore presso la Congregazione dei Santi, ha sottolineato come «a me piace pensare Romero come il “primo” tra i martiri della Chiesa del Concilio Vaticano Il, martiri di una Chiesa che si fa buon Samaritano, come disse Paolo VI».
Per il presidente del Pontificio consiglio per la Famiglia «non è senza significato che la beatificazione di Romero avvenga sotto il pontificato del primo Papa latino americano, Papa Francesco, e nell’anno anniversario della chiusura del Concilio Vaticano II che dà inizio ad un Giubileo della misericordia. La testimonianza di Romero – un pastore proveniente da uno dei più piccoli paesi del mondo – ora risplende di una luce straordinaria. E illumina quella Chiesa povera e per i poveri che Papa Francesco non cessa di testimoniare e incoraggiare». «Romero – ha concluso monsignor Paglia – risplende perché è caduto in terra, letteralmente in terra dall’altare dell’Eucarestia, spezzando il suo corpo e versando il suo sangue assieme a quello di Gesù».  (Fonte: ROMASETTE.IT)

L’imminenza della beatificazione del presule, in programma per il 23 Maggio, e il contesto sociale, economico e politico presente in tante nazioni del nostro pianeta, rendono questo uomo di Dio una figura umana e cristiana di grande attualità.
Tanto si potrebbe dire su monsignor Romero, ma la sua peculiarità più grande è stata quella di immolarsi - prima spiritualmente e poi fisicamente - per il bene della sua nazione, difendendo i poveri e gli emarginati della sua terra.
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Oscar Romero è stato barbaramente ucciso sull’altare mentre officiava il sacrificio eucaristico. Le ricostruzione storiche dimostrano che aveva consapevolezza dell’imminenza della sua morte. Il suo coraggio apostolico e il senso della fedeltà pastorale lo hanno spinto a rimanere vicino al popolo, per essere come il buon pastore che offre la sua vita per il suo gregge. Le paure, le ansie e le angosce connaturali alla condizione umana sono state vinte dalla meditazione della passione di Cristo e dalla forza scaturita dalla celebrazione dell'Eucarestia.
Queste sono le parole prese dagli scritti del futuro Beato, un mese prima della sua morte: "Pongo sotto la provvidenza amorosa del Cuore di Gesù tutta la mia vita e accetto con fede in lui la mia morte, per quanto difficile sia. Né voglio darle una intenzione, come lo vorrei, per la pace del mio paese e per la fioritura della nostra Chiesa… perché il Cuore di Cristo saprà darle il fine che vuole. Mi basta per essere felice e fiducioso il sapere con sicurezza che in lui sono la mia vita e la mia morte, che malgrado i miei peccati in lui ho posto la mia fiducia e non rimarrò confuso e altri proseguiranno con maggiore saggezza e santità i lavori della Chiesa e della Patria".
La vita di Romero costituisce un esempio da imitare ai nostri tempi. Lui non ha avuto timore di parlare denunciando apertamente le violazioni dei diritti umani, gli atroci soprusi e le progressive emarginazioni del suo tempo. La Chiesa, anche oggi, è chiamata a parlare chiaramente di tutte le situazioni di ingiustizia del nostro tempo: il traffico di essere umani, la vendita incontrollata delle armi, le guerre per accaparrarsi le risorse naturali, il dilagare del fenomeno della corruzione, la spietatezza dei poteri occulti della finanza, la spregiudicatezza dell’operare delle multinazionali.
Oscar Romero aveva compreso l’importanza dei mezzi di comunicazione. La radio ha costituito il suo “asinello” per portare sull’onde dell’etere un messaggio di speranza e verità, per risvegliare le coscienze assopite dal desiderio delle ricchezze.
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E così monsignor Oscar Romero ce l’ha fatta ad essere proclamato «martire della fede» e poi «beato»! Ci sono voluti trentacinque anni e un papa argentino per far dimenticare l’ostilità incontrata a Roma da vivo e farne riconoscere il martirio. Meno male che subito dopo il suo assassinio (24 marzo 1980) un grande vescovo brasiliano, don Pedro Casaldaliga, rivolse a lui, «San Romero d’America», una preghiera e scrisse «il popolo ti ha proclamato santo». A Roma un altro monsignore si univa ben presto a questa «canonizzazione» popolare. Era il direttore della Caritas romana Luigi Di Liegro che, con alcuni giovani, parrocchie, comunità e associazioni, iniziava ad onorare a Roma Oscar Romero «l’avvocato dei poveri», «la voce di chi non ha voce», «il simbolo dei martiri per la giustizia e la pace». Dal 1984 quel 24 marzo c’è stata a Roma una festa di preghiere, di canti, di danze, di testimonianze, di folla, non sempre condivisa ufficialmente, prima nella basilica dei Santi Apostoli, con una grande concelebrazione eucaristica, poi dal 2007 ospitati con una veglia ecumenica nella chiesa di san Marcello al Corso.
Va ricordato almeno chi presiedette quelle celebrazioni perché costituiscono un’eloquente e preziosa «tradizione»...

Gaspar Romero sta ormai per diventare il fratello di un santo della Chiesa cattolica in quanto, pochi giorni fa, il Vaticano ha compiuto un passo decisivo nel processo di beatificazione di Monsignor Oscar Arnulfo Romero Galdámez, riconoscendolo ufficialmente come martire. In questa conversazione, risalente all’agosto 2011, il più giovane dei fratelli Romero parla con familiarità dell’arcivescovo assassinato nel marzo del 1980. Gaspar è il più piccolo dei sette figli nati dal matrimonio tra Santos Romero e Guadalupe Galdámez. Il secondogenito fu chiamato Oscar Arnulfo, ed è il più conosciuto di tutti i salvadoregni, cosa con cui, bene o male, tutti i suoi familiari hanno dovuto imparare a convivere. La sua condizione di fratello ha consentito a Gaspar, tra le altre cose, di stringere la mano della regina Elisabetta II del Regno Unito, ma ha al contempo comportato il fatto che non può scendere nella cripta in cui è sepolto suo fratello senza che qualcuno gli chieda di prendere un microfono e parlare in pubblico, cosa che non lo entusiasma affatto. Monsignor Romero era un uomo molto ligio con il suo lavoro pastorale, ma si ritagliava anche del tempo per i suoi cari. Gaspar ricorda ancora le riunioni di famiglia, attorno a date come Natale o Capodanno, organizzate quando suo fratello era arcivescovo di San Salvador. «Dopo la Messa, la cena, e poi scherzavamo e ridevamo fino all’ una o alle due del mattino», dice. Il 15 agosto 2011 si compiranno 94 anni dalla nascita di Monsignor Romero e, come ogni anno, la Fondazione che porta il suo nome realizzerà una serie di attività commemorative. Gaspar attribuisce grande importanza a questi eventi, come a voler affermare, attraverso di essi, che in un paese segnato dalla violenza come El Salvador, gli insegnamenti del vescovo martire devono continuare a parlare oggi e non solo averlo fatto in passato...
Intervista pubblicata nel mese di agosto del 2011; ripubblicata il 5 febbraio 2015 


Canción para un mártir - Monseñor Romero