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venerdì 31 luglio 2015

Le radici ignaziane di papa Francesco e quei cattolici disorientati di p. Bartolomeo Sorge SJ

Le radici ignaziane di papa Francesco
 e quei cattolici disorientati

di Bartolomeo Sorge
direttore emerito di
 Aggiornamenti Sociali







Il modo “imprevedibile”di agire di papa Bergoglio (...) non è un caso isolato, un’eccezione, ma – come è accaduto con altri noti gesuiti – è il frutto della spiritualità ignaziana, rinnovata alla luce del Concilio Vaticano II. Come il papa stesso spiega nell’esortazione apostolicaEvangelii gaudium, il suo pontificato non ha un programma predefinito, ma è di natura sua “imprevedibile”. In conformità con il carisma ignaziano, egli preferisce condurre la Chiesa a «vivere fino in fondo ciò che è umano e introdursi nel cuore delle sfide come fermento di testimonianza in qualsiasi cultura, in qualsiasi città» (EG, n. 75). Traducendo questa affermazione negli insegnamenti e nei gesti quotidiani di papa Francesco, il cuore del suo messaggio s’identifica con quello del Concilio stesso. 

Per quanto riguarda il rapporto della Chiesa con il mondo, il papa insiste sulla necessità del dialogo con tutti, non tanto movendo da principi dottrinali e astratti, calati dall’alto, ma ponendosi sul piano esistenziale, cioè testimoniando il Vangelo con la vita, più che con le parole. La presenza di Dio che guida la storia non va dimostrata, ma va più semplicemente scoperta: «La presenza di Dio accompagna la ricerca sincera che persone e gruppi compiono per trovare appoggio e senso alla loro vita. Egli vive tra i cittadini promovendo la solidarietà, la fraternità, il desiderio di bene, di verità, di giustizia. Questa presenza non deve essere fabbricata, ma scoperta, svelata. Dio non si nasconde a coloro che lo cercano con cuore sincero, sebbene lo facciano a tentoni, in modo impreciso e diffuso» (EG, n. 71). È questa la spiritualità ignaziana. Perciò, papa Francesco ripete: dialoghiamo pure e discutiamo di tutto, promuoviamo la «cultura dell’incontro»; ma «non lasciamoci rubare la speranza» (EG, n. 86), la sola capace di dare un senso alla vita umana. 

Per quanto riguarda, poi, il rinnovamento della vita interna della Chiesa, anche qui carisma ignaziano e aggiornamento conciliare si fondono in Francesco. In primo luogo, c’è bisogno – questo è il suo messaggio – di una Chiesa in uscita missionaria, non ripiegata su se stessa né preoccupata prevalentemente dei suoi problemi interni; ma che «mediante opere e gesti nella vita quotidiana degli altri, accorcia le distanze, si abbassa fino all’umiliazione se è necessario, e assume la vita umana, toccando la carne sofferente di Cristo nel popolo» (EG, n. 24). Papa Francesco si lascia sfuggire dal cuore un grido: «Usciamo, usciamo a offrire a tutti la vita di Gesù Cristo. […] preferisco una Chiesa accidentata, ferita e sporca per essere uscita per le strade, piuttosto che una Chiesa malata per la chiusura e la comodità di aggrapparsi alle proprie sicurezze. Non voglio una Chiesa preoccupata di essere il centro e che finisce rinchiusa in un groviglio di ossessioni e procedimenti. Se qualcosa deve santamente inquietarci e preoccupare la nostra coscienza è che tanti nostri fratelli vivono senza una comunità di fede che li accolga, senza un orizzonte di senso e di vita. Più della paura di sbagliare spero che ci muova la paura di rinchiuderci nelle strutture che ci danno una falsa protezione, nelle norme che ci trasformano in giudici implacabili, nelle abitudini in cui ci sentiamo tranquilli, mentre fuori c’è una moltitudine affamata e Gesù ci ripete senza sosta: “voi stessi date loro da mangiare”(Mc 6,37)» (EG, n. 49). 

In secondo luogo, la Chiesa dev’essere povera e dei poveri, cioè «il luogo della misericordia gratuita, dove tutti possano sentirsi accolti, amati, perdonati e incoraggiati a vivere secondo la vita buona del Vangelo» (EG, n. 114). L’amore sta nei fatti, più che nelle parole, insegna sant’Ignazio nei suoi Esercizi spirituali.
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Le radici ignaziane di papa Francesco e quei cattolici disorientati di Bartolomeo Sorge


giovedì 30 luglio 2015

SOLIDARIETA' - Una famiglia per una famiglia attivo anche a Roma

SOLIDARIETA'
Una famiglia per una famiglia attivo anche a Roma
Progetto per l’affiancamento familiare promosso da Caritas



Una famiglia si trova improvvisamente in difficoltà perché si ammala un familiare. Una mamma sola o un papà separato non ce la fanno a gestire i figli senza un aiuto esterno. Una mamma africana ogni giorno è costretta a fare 4 ore di viaggio in pullman per accompagnare i figli a scuola perché non ha la patente. I genitori immigrati non hanno una rete di relazioni amicali che possano supportarli nella routine quotidiana. Sono tante le situazioni in cui le famiglie possono trovarsi a fronteggiare un periodo difficile, che può presto trasformarsi – se non sostenute – in disagio ed emarginazione. Con una azione preventiva e curativa e un metodo innovativo che coinvolge altre famiglie affidatarie, è attivo dal 2003 il progetto “Una famiglia per una famiglia”, ideato a Torino dalla Fondazione Paideia e poi diffuso in molte città e paesi del centro-nord. Dal 27 luglio il via anche a Roma, grazie a un protocollo d’intesa siglato in Campidoglio da Caritas italiana, Caritas di Roma, Assessorato alle politiche sociali di Roma Capitale e Fondazione Paideia.
La sperimentazione coinvolgerà inizialmente 8 famiglie beneficiarie in due municipi. Il volontariato e gli enti pubblici lavorano insieme per una azione che può trasformarsi in politiche sociali del territorio. Un metodo che non mette al centro solo il bambino ma l’intera famiglia, grazie al supporto di un’altra famiglia, innestando così un circuito virtuoso di relazioni amicali e integrazione sociale.
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Il Progetto
“Una famiglia per una famiglia” è un progetto sviluppato dalla Fondazione Paideia a partire dal 2003, in partnership con realtà pubbliche e private di numerosi territori italiani. Obiettivo del progetto è sostenere famiglie che vivono un periodo di difficoltà nella gestione della propria vita quotidiana e nelle relazioni educative con i figli.
L’affidamento diurno tradizionale è indirizzato principalmente a instaurare un rapporto privilegiato tra il bambino in difficoltà e la famiglia affidataria, tenendo in secondo piano la famiglia d’origine.
“Una famiglia per una famiglia” sperimenta un approccio innovativo, che sposta la centralità dell’intervento dal bambino all’intero nucleo familiare: una famiglia solidale sostiene e aiuta un’altra famiglia in difficoltà, coinvolgendo tutti i componenti di entrambi i nuclei. Tutti i membri di una famiglia offrono le proprie specifiche competenze, determinate da età, professioni, inclinazioni differenti. Il progetto sviluppa un intervento di carattere preventivo, offrendo un sostegno temporaneo a famiglie fragili con minori: l’affiancamento tra famiglie permette di instaurare un rapporto di parità e reciprocità che sostiene senza dividere, con uno sguardo diverso sulla famiglia, vista come risorsa, non come problema. Il progetto è inoltre finalizzato ad aumentare l’interazione tra famiglie, enti e servizi, sia facilitando nelle famiglie una relazione di maggiore fiducia nei confronti delle realtà istituzionali, sia implementando la collaborazione tra pubblico e privato.
Il metodo
Nel 2003 il Comune di Torino ha presentato alla Fondazione Paideia l’idea progettuale “Una famiglia per una famiglia”. Paideia collabora con il Comune per trasformare l’idea in progetto esecutivo: nel 2005 inizia la sperimentazione nel Comune di Torino, che si conclude nel 2007, quando l’affido da famiglia a famiglia viene incluso nelle politiche sociali del territorio. Ad oggi il progetto è attivo in diverse aree territoriali del nord Italia, con il coinvolgimento di amministrazioni pubbliche, terzo settore e Fondazioni private e di origine bancaria. La fase di sperimentazione ha una durata di circa 24 mesi, durante i quali vengono attivati in genere 8 affidi della durata di 12 mesi. Obiettivo della sperimentazione è la costruzione delle condizioni di passaggio alla fase di lavoro a regime, che si inserisca nelle politiche ordinarie degli enti territoriali. Il progetto viene coordinato da un’équipe tecnica che si occupa di tutte le fasi dello sviluppo operativo, della selezione delle famiglie, del monitoraggio e della valutazione, in partnership con realtà associative e gruppi familiari del territorio, che coadiuvano nella ricerca di famiglie disponibili all’affiancamento e nella segnalazione di famiglie in difficoltà. Rilevante è la figura del tutor, in genere proveniente dalle associazioni, che ha funzioni di mediazione tra le due famiglie e di monitoraggio dell’affiancamento, in un contatto costante con i servizi e i partner coinvolti. Concretamente, la relazione tra le due famiglie si sviluppa attraverso incontri e rapporti telefonici frequenti (definiti, almeno in parte, nel patto educativo) con attività quali: sostegno educativo e organizzativo nella gestione dei figli, supporto pratico e nella relazione con enti istituzionali, organizzazione e partecipazione a momenti di festa e socializzazione, ascolto e condivisione di problematiche genitoriali e di coppia, confronto sui modelli educativi e valoriali di riferimento.

Risultati ed esiti
“Una famiglia per una famiglia” scommette sul fatto che un affiancamento tra famiglie caratterizzato da parità, reciprocità, supporto non professionale, possa essere uno strumento adeguato in situazioni familiari di vulnerabilità, se individuate e accompagnate in una fase preventiva. Questa tipologia di affiancamento risulta efficace rispetto a problematiche familiari quali: – fragilità della rete familiare; – difficoltà ad orientarsi e utilizzare la rete dei servizi e le opportunità del territorio; – malattia di uno dei componenti della famiglia; – affaticamento delle figure genitoriali; – carenze educative rispetto ai minori; – difficoltà di conciliazione dei carichi familiari. Ad oggi gli affiancamenti attivati nelle diverse esperienze territoriali sono stati circa 300 e hanno coinvolto oltre 500 bambini.
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mercoledì 29 luglio 2015

La voglia di intrappolare Dio di Luigino Bruni

Le levatrici d’Egitto/16 
La banalità degli idoli trionfa 
quando i profeti sono assenti


 La voglia di intrappolare Dio

 di Luigino Bruni




Il re Geroboamo preparò due vitelli d'oro e disse al popolo: «Siete già saliti troppe volte a Gerusalemme! Ecco, Israele, i tuoi dèi che ti hanno fatto salire dalla terra d'Egitto». Ne collocò uno a Betel e l'altro lo mise a Dan. Questo fatto portò al peccato; il popolo, infatti, andava sino a Dan per prostrarsi davanti a uno di quelli. (Primo libro dei Re, 12 )


La fede biblica non è necessaria soltanto agli uomini: serve anche a YWHW per non essere trasformato in un idolo, per non tornare un ordinario Elohim senza nome. Sul Sinai sì è operata una rivoluzione antropologica, culturale, sociale di portata epocale. Lì l’umanità ha raggiunto un nuovo stadio nel suo processo di umanizzazione, grazie a una esperienza religiosa radicalmente altra da quella che facevano popoli diversi, con i loro dèi semplici o con i loro muti idoli di legno. Ma alle pendici di quello stesso monte si è svolta anche la più grande crisi del popolo uscito dall’Egitto in cammino verso la terra promessa, che contiene uno straordinario insegnamento sulla malattia più grave di ogni esperienza religiosa o ideale: la sua riduzione a idolatria. La trasformazione di YHWH in un toro aureo è un messaggio forte rivolto a tutte quelle persone, comunità, istituzioni che sono date da un “carisma”, che sono state raggiunte e abitate da una voce che le ha chiamate a un compito, che ha annunciato loro una promessa diversa e più grande. In queste esperienze e in queste persone è sempre forte il fascino di ridimensionare e normalizzare la chiamata e la promessa, di ridurre il mistero a banale evidenza – un fascino-tentazione che agisce e opera per tutta la vita, e diventa particolarmente tenace nella sua ultima fase. Il Dio che si era rivelato a Mosè non si vedeva, non si toccava, non appagava i sensi. Nemmeno Mosè lo vedeva (lo vedrà solo un attimo, e di spalle), ascoltava solo la sua parola. YHWH era, e continua a essere, una voce 
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Così, mentre sopra il monte si svolge il dialogo sulla costruzione dell’arca e del santuario, il popolo in basso fa esattamente l’opposto di quanto aveva solennemente promesso a Mosè-YHWH pochi giorni prima ("Tutti i comandamenti che il Signore ha dato, noi li eseguiremo!"). Nell’assenza del suo profeta, e nell’incertezza del suo ritorno, il popolo che aveva visto i segni e la nube sul monte, Aronne, i settanta anziani che avevano addirittura “visto” Dio, danno un’immagine al loro Dio: "Il popolo, vedendo che Mosè tardava a scendere dal monte, fece ressa intorno ad Aronne e gli disse: “Fa' per noi un dio che cammini alla nostra testa, perché a Mosè, quell'uomo che ci ha fatto uscire dalla terra d'Egitto, non sappiamo che cosa sia accaduto”. … Tutto il popolo tolse i pendenti che ciascuno aveva agli orecchi e li portò ad Aronne. Egli li ricevette dalle loro mani, li fece fondere in una forma e ne modellò un vitello di metallo fuso" (32,1-4). 

Il liberatore, il Dio della voce, il Dio diverso, viene trasformato in uno stupido vitello costruito con il loro oro che doveva costruire la sua Arca (25,3). Gravissima è l’adorazione del vitello-idolo; più grave ancora è l’adorazione del vitello-YHWH. 
Il popolo d’Israele ha fatto sempre una grande fatica a salvare la sua religione-fede diversa. Il suo è il Dio della vita che però non può essere rappresentato con i simboli della vita e della fertilità (tori, donne); è il Dio della voce che però solo Mosè riesce ad ascoltare; è il Dio che ha svelato il suo nome, un nome però impronunciabile. Troppo diverso, troppo nuovo.  
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I vitelli d’oro arrivano quasi sempre durante l’assenza dei profeti. È anche questo un messaggio forte di questo grande capitolo dell’Esodo. L’idea giusta e vera di Dio e di noi stessi è molto legata al volto raggiante dei profeti che rischiarano le nostre giornate e le nostre anime. Finché essi ed esse sono in mezzo a noi, riusciamo a intravvedere-senza-vedere il volto vero di Elohim e il nostro, a percepire qualche suono della sua voce buona e vera fuori e dentro di noi, a riconoscere segni di vita e di fecondità ovunque. Quando invece mancano, arrivano i vitelli d’oro a colmare un vuoto che diventa troppo grande. Forse oggi avremmo meno idoli e meno servitù se i “profeti” fossero stati più presenti nella politica, nell’economia, nei luoghi ordinari del vivere. La Bibbia ci ha salvato dall’inevitabilità dell’idolatria custodendo per noi un’idea di Dio non ridotta alla misura dei nostri manufatti. Ma senza la presenza e senza i volti dei profeti finiamo per trasformare le fedi in idolatrie, le vocazioni in semplici mestieri, di perdere la via di casa. Tornate profeti, scendete dal monte. Non fermatevi nei templi e nei santuari: scendete fino alle nostre piazze, alle nostre scuole, arrivate dentro le nostre imprese ferite. Tornate a parlarci del vostro Elohim diverso, a liberarci dai nostri culti troppo banali per poter essere buoni, veri, liberatori. 

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La voglia di intrappolare Dio di Luigino Bruni  (PDF)


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martedì 28 luglio 2015

AL CLERO: Evitare azheimer spirituale e carrierismo. Non siamo mercenari, la grazia non si fa pagare di Papa Francesco - VIAGGIO IN ECUADOR, BOLIVIA E PARAGUAY 5-13 LUGLIO 2015 / 8

VIAGGIO IN ECUADOR, BOLIVIA E PARAGUAY 5-13 LUGLIO 2015 / 8



AL CLERO:

Evitare alzheimer spirituale e carrierismo. 

Non siamo mercenari, la grazia non si fa pagare

di Papa Francesco


Incontro con il Clero, i Religiosi, le Religiose e i Seminaristi

Santuario Nazionale Mariano “El Quinche”, Ecuador
Mercoledì, 8 luglio 2015

Prima di lasciare la terra ecuadoregna, Papa Francesco ha voluto immergersi nel quartiere povero di Tumbaco alla periferia di Quito, visitando la Casa di riposo delle Missionarie della Carità; poi l’incontro nel Santuario della Vergine del Quinche con il clero, i religiosi e i seminaristi: non entrate in carriera e non dimenticate le vostre radici, ha chiesto loro il Papa parlando interamente a braccio.


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Visita alla Casa di Riposo delle Missionarie della Carità



Incontro con il Clero, i Religiosi, le Religiose e i Seminaristi

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Oggi devo parlare a voi sacerdoti, seminaristi, religiose, religiosi e dirvi qualcosa. Ho un discorso preparato… ma non ho voglia di leggere… Così lo do al presidente della conferenza dei religiosi perché lo pubblichi poi. ...


Fare come Maria che ha sempre vissuto come discepola
Fate come Maria che "non è mai stata protagonista" di nulla, “ha sempre vissuto come discepola in tutta la sua vita”:
“Religiosas, religiosos, sacerdotes, seminaristas…
“Religiose, religiosi, sacerdoti, seminaristi tutti i giorni tornate a percorrere questo cammino di ritorno verso la gratuità con cui Dio vi ha scelti. Voi non avete pagato l’ingresso per entrare in seminario, per entrare nella vita religiosa. Non ve lo siete meritato”.



Non dimenticare la gratuità di Dio

Dovete ricordare e tornare ogni giorno alla gratuità di Dio, ha detto loro. Solo questo vi rende importanti. Se dimentichiamo questo ci allontaniamo da questa gratuità:
“E chiedete la grazia di non perdere la memoria, di non sentirvi mai importanti”.


Evitare alzheimer spirituale e carrierismo

Poi l'esortazione: abbiate cura della vostra salute, ma soprattutto non ammalatevi di una malattia pericolosa:
“…del todo peligrosa para los que el Senor nos llamò…
“… pericolosa soprattutto per quelli che il Signore ha chiamato gratuitamente a seguirlo e a servirlo: non cadete nell’alzheimer spirituale, non perdete la memoria da dove siete stati tolti”.
Malattia che attacca chi non ha memoria delle proprie radici. E non vi sentite promossi, ha aggiunto Francesco:
“La gratuidad es una gracia que no puede…
“La gratuità è una grazia che non può convivere con la promozione. E quando un sacerdote, un seminarista, un religioso, una religiosa entra in carriera – non parlo di cose negative: una carriera umana – comincia ad ammalarsi di alzheimer spirituale; comincia a perdere la memoria del luogo da cui è stato tolto, da cui proveniva”.


Il cammino del servizio

“Servire, servire - ha proseguito - e non fare altro. E servire quando siamo stanchi; servire quando la gente veramente ci disturba”:
“Porque quien va por el camino del servir tiene que…
“Perché chi percorre il cammino del servizio deve lasciarsi disturbare senza perdere la pazienza. Perché quel servizio in nessun momento gli appartiene”.
Non farsi pagare la grazia: pastorale sia gratuita
Di notte prima di dormire situatevi nella gratuità di Dio e ringraziatelo per il dono che vi ha fatto. “E per favore, ha concluso il suo discorso a braccio, non fatevi pagare per la grazia":

“Por favor, que nuestra pastoral sea gratuita…
“Per favore, che la nostra pastorale sia gratuita”

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INCONTRO CON IL CLERO, I RELIGIOSI, LE RELIGIOSE E I SEMINARISTI - 8 luglio 2015

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IL DISCORSO INTEGRALE 





Guarda anche i post già pubblicati su questo viaggio apostolico:

-  Il diritto fondamentale dell'individuo ad una vita degna Papa Francesco - VIAGGIO IN ECUADOR, BOLIVIA E PARAGUAY 5-13 LUGLIO 2015 / 7

- Il creato è un “dono da condividere”, da coltivare e soprattutto oggi “da custodire”. .. Le comunità educative hanno un ruolo vitale, un ruolo essenziale nella costruzione della cittadinanza e della cultura-Papa Francesco -VIAGGIO IN ECUADOR, BOLIVIA E PARAGUAY 5-13 LUGLIO 2015 / 6

- LA NOSTRA FEDE E' RIVOLUZIONARIA, EVANGELIZZARE NON CON IL PROSELITISMO,il MA ATTRAENDO CON LA NOSTRA TESTIMONIANZA.Papa Francesco -VIAGGIO IN ECUADOR, BOLIVIA E PARAGUAY 5-13 LUGLIO 2015 / 5


- CHIAMATI A DIFFONDERE BELLEZZA, COME BUON PROFUMO DI CRISTO Papa Francesco -VIAGGIO APOSTOLICO IN ECUADOR, BOLIVIA E PARAGUAY 5-13 LUGLIO 2015 / 4


- CORRERE IL RISCHIO DELL'AMORE ... IL VINO NUOVO, IL MIGLIORE, CI FA RECUPERARE LA GIOIA DELLA FAMIGLIA Papa Francesco, Ecuador - VIAGGIO APOSTOLICO IN ECUADOR, BOLIVIA E PARAGUAY 5-13 LUGLIO 2015 / 3


- La porta della misericordia - "Chiederò a Gesù, per ciascuno di voi, tanta misericordia: che vi ricopra con la sua misericordia, che abbia cura di voi Papa Francesco, Ecuador - VIAGGIO APOSTOLICO IN ECUADOR, BOLIVIA E PARAGUAY 5-13 LUGLIO 2015 / 2


- LA CHIESA RIFLESSO DELLA LUCE E DELL'AMORE DI DIO - Papa Francesco, Aeroporto di Quito, Ecuador - VIAGGIO APOSTOLICO IN ECUADOR, BOLIVIA E PARAGUAY 5-13 LUGLIO 2015 / 1

Nutrire il pianeta è prendersi cura di tutti di Enzo Bianchi

Nutrire il pianeta è prendersi cura di tutti
di Enzo Bianchi

Luoghi dell'infinito,
 giugno 2015





Nel libro della Genesi, al momento di creare l’umano Dio dice:” Facciamo l’umano a nostra immagine, secondo la nostra somiglianza: domini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutti gli animali selvatici e su tutti i rettili che strisciano sulla terra” (Gen 1,26). Poi, dopo la famosa affermazione: “E Dio creò l’umano a sua immagine; a immagine di Dio lo creò: maschio e femmina li creò” (Gen 1,27), si torna a ribadire: “Dio li benedisse e Dio disse loro: ‘Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra e soggiogatela, dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente che si muove sulla terra’” (Gen 1,28). Ma di quale dominio si tratta? Subito dopo, infatti, sta scritto: “Dio disse: ‘Ecco, io vi do ogni erba che produce seme su tutta la terra e ogni albero il cui frutto produce seme: saranno il vostro cibo’” (Gen 1,29). Parallelamente, agli animali della terra e del cielo Dio “dà come cibo ogni erba verde” (cf. Gen 1,30), la verdura. L’uomo dunque sarà solo pastore, non predatore.
...
Gesù desiderava mettersi a tavola e pranzare con le persone con cui entrava in relazione, e proprio per questo si lasciava volentieri invitare da amici e anche da nemici. La presenza di Gesù conferiva alla banalità di ogni pasto un significato più intenso: il pasto diventava un momento forte nella vita, l’accoglienza di una presenza straordinaria. A tavola egli conversava con facilità, stringeva amicizia, accettava le discussioni che vi potevano sorgere (cf. Lc 22,24). Stare a tavola per Gesù era un segno, una parabola vissuta del significato della sua stessa missione: portare la presenza di Dio nel mondo, avvicinare il regno di Dio ai peccatori, a chi dal Regno si sentiva escluso e lontano. D’altra parte, non si dimentichi che Gesù ha osservato dei tempi di digiuno (cf. Mt 4,2; Lc 4,2), una pratica che non disprezzava; ha inoltre previsto che i discepoli l’avrebbero praticato quando lo Sposo sarebbe stato loro tolto (cf. Mc 2,20 e par.). Egli però non ha mai imposto esercizi ascetici né vantato penitenze, macerazioni, mortificazioni o sofferenze del corpo. Ha sempre vissuto e insegnato ai suoi compagni una gioiosa libertà. E quando era invitato a pranzo, Gesù restava vigilante, attento, in primis alle persone; cercava di vedere e di non lasciarsi sfuggire qualcosa che potesse esser più urgente della partecipazione a un banchetto.
Sì, con Gesù il cibo riscopre la sua dimensione originaria di “cosa buona” per l’uomo e il pasto la sua verità di luogo per eccellenza della condivisione e dell’accoglienza dell’altro. Non dimentichiamo allora che “nutrire il pianeta” significa innanzitutto prendersi cura degli altri, di tutti gli altri, a cominciare dai più poveri.

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Nutrire il pianeta è prendersi cura di tutti di Enzo Bianchi



lunedì 27 luglio 2015

Omelia p. Gregorio Battaglia (VIDEO) - XVII Domenica del Tempo Ordinario / B - 26.07.2015


Omelia p. Gregorio Battaglia (VIDEO) -
XVII Domenica del Tempo Ordinario / B 
- 26.07.2015 - 

Fraternità Carmelitana
di Barcellona Pozzo di Gotto 






... Possiamo imparare a condividere da fratelli e da sorelle, tutti; è una grande utopia, ma questo è il sogno di Dio Padre...

Il Signore ci dia questo atteggiamento suo: capaci di dire grazie e forse, quando saremo capaci di dire grazie, faremo altri passi e saremo capaci di gesti belli e umani, perché abbiamo bisogno di gesti che ci rendano più umani e meno cinici e meno chiusi e meno menefreghisti!

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Angelus del 26 luglio 2015 - Testo e video


 26 luglio 2015 


Cari fratelli e sorelle, buongiorno.

Il Vangelo di questa domenica (Gv 6,1-15) presenta il grande segno della moltiplicazione dei pani, nella narrazione dell’evangelista Giovanni. Gesù si trova sulla riva del lago di Galilea, ed è circondato da «una grande folla», attirata dai «segni che compiva sugli infermi» (v. 2). In Lui agisce la potenza misericordiosa di Dio, che guarisce da ogni male del corpo e dello spirito. Ma Gesù non è solo guaritore, è anche maestro: infatti sale sul monte e si siede, nel tipico atteggiamento del maestro quando insegna: sale su quella “cattedra” naturale creata dal suo Padre celeste. A questo punto Gesù, che sa bene quello che sta per fare, mette alla prova i suoi discepoli. Che fare per sfamare tutta quella gente? Filippo, uno dei Dodici, fa un rapido calcolo: organizzando una colletta, si potranno raccogliere al massimo duecento denari per comperare del pane, che tuttavia non basterebbe per sfamare cinquemila persone.


I discepoli ragionano in termini di “mercato”, ma Gesù alla logica del comprare sostituisce quell’altra logica, la logica del dare. Ed ecco che Andrea, un altro degli Apostoli, fratello di Simon Pietro, presenta un ragazzo che mette a disposizione tutto ciò che ha: cinque pani e due pesci; ma certo – dice Andrea – sono niente per quella folla (cfr v. 9). Ma Gesù aspettava proprio questo. Ordina ai discepoli di far sedere la gente, poi prese quei pani e quei pesci, rese grazie al Padre e li distribuì (cfr v. 11). Questi gesti anticipano quelli dell’Ultima Cena, che danno al pane di Gesù il suo significato più vero. Il pane di Dio è Gesù stesso. Facendo la Comunione con Lui, riceviamo la sua vita in noi e diventiamo figli del Padre celeste e fratelli tra di noi. Facendo la comunione ci incontriamo con Gesù realmente vivo e risorto! Partecipare all’Eucaristia significa entrare nella logica di Gesù, la logica della gratuità, della condivisione. E per quanto siamo poveri, tutti possiamo donare qualcosa. “Fare la Comunione” significa anche attingere da Cristo la grazia che ci rende capaci di condividere con gli altri ciò che siamo e ciò che abbiamo.

La folla è colpita dal prodigio della moltiplicazione dei pani; ma il dono che Gesù offre è pienezza di vita per l’uomo affamato. Gesù sazia non solo la fame materiale, ma quella più profonda, la fame di senso della vita, la fame di Dio. Di fronte alla sofferenza, alla solitudine, alla povertà e alle difficoltà di tanta gente, che cosa possiamo fare noi? Lamentarsi non risolve niente, ma possiamo offrire quel poco che abbiamo, come il ragazzo del Vangelo. Abbiamo certamente qualche ora di tempo, qualche talento, qualche competenza... Chi di noi non ha i suoi “cinque pani e due pesci”? Tutti ne abbiamo! Se siamo disposti a metterli nelle mani del Signore, basteranno perché nel mondo ci sia un po’ più di amore, di pace, di giustizia e soprattutto di gioia. Quanta è necessaria la gioia nel mondo! Dio è capace di moltiplicare i nostri piccoli gesti di solidarietà e renderci partecipi del suo dono.


La nostra preghiera sostenga il comune impegno perché non manchi mai a nessuno il Pane del cielo che dona la vita eterna e il necessario per una vita dignitosa, e si affermi la logica della condivisione e dell’amore. La Vergine Maria ci accompagni con la sua materna intercessione.

Dopo l'Angelus:

Cari fratelli e sorelle,

oggi si aprono le iscrizioni per la trentunesima Giornata Mondiale della Gioventù, che si svolgerà l’anno prossimo in Polonia. Ho voluto aprire io stesso le iscrizioni e per questo ho fatto venire acanto a me un ragazzo e una ragazza, perché siano con me nel momento di aprire le iscrizioni, qui davanti a voi. Ecco, mi sono iscritto alla Giornata come pellegrino mediante questo dispositivo elettronico. Celebrata durante l’Anno della Misericordia, questa Giornata sarà, in certo senso, un giubileo della gioventù, chiamata a riflettere sul tema «Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia» (Mt 5,7). Invito i giovani di tutto il mondo a vivere questo pellegrinaggio sia recandosi a Cracovia, sia partecipando a questo momento di grazia nelle proprie comunità.
Tra qualche giorno ricorrerà il secondo anniversario da quando, in Siria, è stato rapito padre Paolo Dall’Oglio. Rivolgo un accorato e pressante appello per la liberazione di questo stimato religioso. Non posso dimenticare anche i Vescovi Ortodossi rapiti in Siria e tutte le altre persone che, nelle zone di conflitto, sono state sequestrate. Auspico il rinnovato impegno delle competenti Autorità locali e internazionali, affinché a questi nostri fratelli venga presto restituita la libertà. Con affetto e partecipazione alle loro sofferenze, vogliamo ricordarli nella preghiera e preghiamo tutti insieme la Madonna: Ave Maria……
...
Oggi 26 luglio la Chiesa ricorda i Santi Giochino e Anna, genitori della Beata Vergine Maria e quindi i nonni di Gesù. In questa occasione vorrei salutare tutte le nonne e tutti i nonni, ringraziandoli per la loro preziosa presenza nelle famiglie e per le nuove generazioni. Per tutti i nonni vivi, ma anche per quelli che ci guardano dal Cielo, facciamo un saluto e un bell’applauso….

A tutti auguro buona domenica. E per favore non dimenticatevi di pregare per me. Buon pranzo e arrivederci!


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domenica 26 luglio 2015

"Un cuore che ascolta - lev shomea" - n. 32/2014-2015 (B) di Santino Coppolino

'Un cuore che ascolta - lev shomea'
Concedi al tuo servo un cuore docile, perché sappia rendere giustizia al tuo popolo e sappia distinguere il bene dal male" (1Re 3,9)

Traccia di riflessione
sul Vangelo della domenica
di Santino Coppolino


Vangelo: 
Gv 6,1-15












Tutto il capitolo 6 del Vangelo di Giovanni ha come tema principale quello del pane, nominato ben 21 volte (25 nel resto del Vangelo). Ma il pane cui Gesù fa riferimento è un pane che i discepoli ancora non conoscono, che a differenza dell'altro si mangia senza pagare, che sazia e da' la vita eterna (cfr.Is 55,1ss). E' Gesù il pane che sazia la fame dell'uomo, è la sua vita di Figlio vissuta nell'amore del Padre, facendo la sua volontà (4,32-34), divenendo fratello nostro. Solo chi vive in Lui e di Lui, chi come Gesù si fa figlio e fratello, ne potrà mangiare e avrà anch'egli la stessa vita del Padre. Chi invece prende parte al banchetto della vita vivendo solo per se stesso "mangia e beve la 
propria condanna"(1Cor 11,29). 
"A differenza degli altri evangelisti, Giovanni non ci narra l'istituzione dell'Eucaristia, che ci comunica la vita del Figlio. E' infatti l'argomento di tutto il suo Vangelo. Però nel c.6 ne illumina il mistero e nei cc.13-17 ne esplicita le conseguenze per la Chiesa che vive nell'attesa del suo Signore"(S.Fausti). Il pane che ci dona è amarci così come Lui è amato dal Padre, spezzando la sua vita per i suoi fratelli. "Fate questo in memoria di me"  perciò non è un invito a ripetere senza fine i gesti di un rito bensì il comando di offrire nell'amore e per amore la nostra vita.      

sabato 25 luglio 2015

L'altro volto dell'immigrazione - I braccianti sfruttati nei campi, fatica straniera e invisibile di Francesco Riccardi - Schiavi della terra: 10 testimonianze dall'Inferno di Enzo Ciaccio

L'altro volto dell'immigrazione - 
I braccianti sfruttati nei campi, 
fatica straniera e invisibile 
di Francesco Riccardi

Sono l’altro volto dell’immigrazione, quello che fatichiamo a vedere. Braccianti sfruttati nei campi della Puglia, della Sicilia e perfino delle Langhe piemontesi. Neri africani e marocchini, polacchi e romeni, uomini e donne oggetto delle peggiori angherie nelle nostre campagne. In questi giorni arroventati finiscono pure per morirne, schiantati da caldo e fatica. Come Mohamed, sudanese di 47 anni, deceduto lunedì mentre raccoglieva pomodori a Nardò, sotto il sole a picco, con una bottiglia d’acqua già vuota a metà mattina. Quel lavoro, presso una famiglia con qualche ettaro di terra, glielo aveva procurato un suo connazionale, il caporale, oggi sotto inchiesta per omicidio colposo assieme ai proprietari dell’azienda agricola. 

Non certo un caso isolato, quello di Mohamed. I lavoratori extra e neocomunitari impiegati in maniera irregolare sono decine di migliaia, denunciano da tempo i sindacati. E la gran parte di loro non sta nascosta in qualche capannone isolato, ma piega la schiena alla luce del sole nei campi e fra le serre del Mezzogiorno, del Centro e pure in alcune zone del Nord. Uomini e donne pagati dai 2 ai 5 euro l’ora per raccogliere quel che la terra dà a seconda della stagione. La sera, poi, sono ancora più visibili, perché non hanno casa e occupano tuguri di campagna – per il cui 'affitto' viene loro trattenuta una parte della magra paga – o formano tendopoli sotto gli alberi.
Eppure fatichiamo a vederli, questi esseri umani..
...
Tolto il caldo da record, non c’è nulla di nuovo – purtroppo – nei drammi che si consumano in questi giorni nelle nostre campagne. Sono situazioni che la magistratura, le forze dell’ordine, gli organi preposti ai controlli conoscono benissimo. Che tutti noi conosciamo, in realtà. Soprattutto chi abita nei piccoli paesi agricoli. 
Solo che soffriamo di questa strana, maledetta miopia. Vediamo bene, e giustamente ci indigniamo, per gli stranieri tenuti a ciondolare nei centri d’accoglienza senza aver nulla da fare. Ma gli altri, quelli che stanno nei nostri campi e nelle nostre serre, non riusciamo proprio a scorgerli. Non ci indignano, loro, neppure se muoiono sotto il sole. Non valgono neanche un materasso da bruciare.

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 Servizio TG2000



SFRUTTAMENTO
Schiavi della terra: 10 testimonianze dall'Inferno

Lavorano nei campi fino a 14 ore al giorno. Pagati 2,5 euro. 
E costretti a drogarsi. Diritti negati, abusi, percosse, sparizioni: 
le storie dei braccianti. Stranieri e non.
Li chiamano “invisibili”, 
perché come ombre si muovono nei campi coltivati.
Li chiamano anche profughi (quelli che dal Nord Africa fuggono le guerre e le persecuzioni), operai (quelli espulsi dalle fabbriche del Nord Italia), napoletani (gli africani di Castelvolturno, che si spostano come api inseguendo i raccolti).
Nelle terre meridionali d’Italia nove braccianti su 10 «non hanno mai visto un contratto di lavoro». Il 60% «non ha accesso all’acqua corrente né ai servizi igienici». Il 70 ha «contratto malattie legate alle pessime condizioni ambientali in cui si ritrovano».
MENTANFETAMINE AI BRACCIANTI. Diritti negati, in balìa dei caporali e di chi li comanda. Per far sì che lavorino fino allo spasimo, molti nuovi schiavi sono costretti ad assumere sostanze dopanti come oppio e metanfetamine.
Accade ai braccianti della comunità indiana dei Sikh nell’agro Pontino, in provincia di Latina. Altrove va perfino peggio. «Vuoi lavorare? Ti faccio lavorare. Però, prima drògati». Una dose costa dieci euro. A fornirla è il sotto-capo, che intasca i soldi.
Oppure, come accade in Puglia, «dài, porta con te un’amica: serve per il mio padrone. Se gliela porti, lui ti fa lavorare subito». Maledetto pomodoro. Se la scuoti con le mani, la piantina si stacca dai pomi che con un tonfo cascano a terra.
LA RACCOLTA DELL'ORO ROSSO. 
I pelati, la passata,  ...

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Schiavi della terra - 10 testimonianze dall'Inferno

Il diritto fondamentale dell'individuo ad una vita degna Papa Francesco - VIAGGIO IN ECUADOR, BOLIVIA E PARAGUAY 5-13 LUGLIO 2015 / 7

VIAGGIO IN ECUADOR, BOLIVIA E PARAGUAY 5-13 LUGLIO 2015 / 7






Incontro con la Società Civile

Chiesa di San Francisco, Quito (Ecuador)
Martedì, 7 luglio 2015





Dopo l'incontro col mondo dell'istruzione, Papa Francesco si intrattiene con i rappresentanti della società civile ecuadoriana. Nell'antica e affollatissima chiesa di San Francisco di Quito, si trovano persone impegnate in vari settori: imprenditoria industriale e rurale, volontariato, sport e una rappresentanza di indios dell'Amazzonia. Il Papa ascolta alcune testimonianze.

Poco prima, al suo arrivo alla chiesa francescana, sul sagrato il sindaco di Quito ha consegnato al Papa le chiavi della città.

Difendere il “diritto fondamentale dell’individuo a una vita degna”, coltivare una “coscienza di gratuità”, i valori della solidarietà e della sussidiarietà. E soprattutto far sì che i “progetti della comunità civile” cerchino “l’inclusione”. Sono alcune delle “chiavi di convivenza sociale”, mutuate dalla vita familiare, messe in risalto da Papa Francesco nel discorso rivolto agli esponenti della società civile ecuadoriana. 
"Anche la Chiesa vuole collaborare nella ricerca del bene comune, con le sue attività sociali, educative, promuovendo i valori etici e spirituali, essendo segno profetico che porta un raggio di luce e di speranza a tutti, specialmente ai più bisognosi. Molti mi chiederanno: Padre, perché parla tanto dei bisognosi, delle persone bisognose, delle persone escluse, delle persone ai margini della strada? Semplicemente perché questa realtà e la risposta a questa realtà sta nel cuore del Vangelo. E proprio perché l’atteggiamento che prendiamo di fronte a questa realtà è inscritto nel protocollo sul quale saremo giudicati, in Matteo 25."

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DISCORSO all'incontro con la società civile



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DISCORSO INTEGRALE DEL PAPA





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DELL'INCONTRO INTEGRALE

 


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venerdì 24 luglio 2015

La foto del poliziotto nero che soccorre un uomo bianco che si è sentito male mentre in South Carolina partecipava ad una manifestazione razzista organizzata dal Ku Klux Klan - L’umanità costretta alla solidarietà di Tonio Dell'Olio

La foto del poliziotto nero che soccorre un uomo bianco che si è sentito male mentre in South Carolina partecipava ad una manifestazione razzista organizzata dal Ku Klux Klan 
 L’umanità costretta alla solidarietà 
di Tonio Dell'Olio

Certe fotografie hanno il potere di fissare un gesto e trasformarlo in messaggio universale, al di là delle intenzioni. Sabato scorso, a Columbia, in South Carolina, una manciata di razzisti del Ku Klux Klan, i cosiddetti “suprematisti”, hanno protestato coi loro vessilli, tatuaggi, simboli nazisti e frasi d’odio contro la rimozione della bandiera confederata dai palazzi pubblici decisa, forse senza ben valutare le conseguenze, dalla governatrice Nikki Haley.
Per fortuna nessuno ha sparato durante le scaramucce tra i Loyal White Knights e i Black Educators for Justice, con tanto di tensione nella piazza davanti alla Statehouse e cinque arresti. Alla fine, però, è bastato uno scatto rilanciato su Twitter da Rob Godfrey, collaboratore della governatrice, perché il senso della torrida giornata fosse rovesciato.
La foto mostra un poliziotto nero in divisa, armato di pistola e col cappello a falda rigida, che sostiene e guida verso l’ombra, forse invitandolo a bere acqua, un corpulento razzista, con tanto di svastica sulla maglietta dentro un intrico di stelle e strisce, a un passo dallo svenire per il caldo. L’uomo della legge si chiama Leroy Smith, fa il poliziotto da 25 anni, e ora dirige il South Carolina Department of Public Safety, il cui slogan, segnalato sul sito, recita: «Protecting Educating Serving» (serve traduzione?).
Non un eroe o un raddrizzatorti, solo un uomo ben saldo nelle proprie convinzioni, capace di non farsi condizionare dalle farneticazioni dei nostalgici hitleriani nell’atto di dare una mano a un uomo comunque in difficoltà. Non sappiamo se il “suprematista” abbia ringraziato il “negro”, ancorché pubblico ufficiale, ma conosciamo il vivace dibattito, virale, che è scaturito da quello scatto così preciso, persuasivo, gentile, inoppugnabile.
«Non un esempio raro di umanità da queste parti in South Carolina» ha subito commentando lo stesso Godfrey postando la foto; ma c’è anche chi, a sinistra, s’è chiesto sul web se a parti rovesciate uno sbirro bianco si sarebbe comportato allo stesso modo a un raduno di Pantere nere. Probabilmente no o forse sì, ma importa stabilirlo? Di sicuro quella foto suggerisce alcuni pensierini.
Per esempio, che il furore razzista, qui travestito da maschia difesa del vecchio Dixie contro quella che viene considerata una vigliaccata progressista, si sbriciola nel confronto inatteso con la persona che pensi di odiare in quanto gruppo. E ancora: che lo sconosciuto “suprematista” con lo sguardo perso nel vuoto purtroppo non cambierà opinione nei confronti del poliziotto che non lo prende troppo sul serio e lo sorregge nel mancamento, mostrandosi ben più civile e responsabile.
Ma quella foto ci ricorda pure che la riconciliazione tra neri e bianchi, pure con il presidente Obama regnante a Washington, passa non tanto per la rimozione simbolica della bandiera confederata quanto per il superamento di una frattura storica, forse mai davvero sanata. ...

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Soccorso nero per il vecchio razzista del Ku Klux Klan



L’umanità costretta alla solidarietà 

di Tonio Dell'Olio

L’immagine del poliziotto nero che soccorre un uomo bianco che si è sentito male mentre in South Carolina partecipava ad una manifestazione razzista organizzata dal Ku Klux Klan, ha fatto il giro del mondo. Quanto contrasta quella svastica disegnata sulla maglietta dell’uomo bianco con il gesto di aiuto spontaneo del poliziotto “di colore”! È l’icona moderna dell’umanità condannata alla solidarietà. È simbolo vivente della stupidità e dell’odio insensati vinti dalla fragilità in cui siamo tutti inevitabilmente immersi. Ci dice che siamo tutti sulla stessa barca e che almeno per convenienza, se non per convinzione, dobbiamo stare vicini. Un dato, prima ancora che una fede, un pensiero, una visione di uomo. Resta l’amarezza di arrivare per necessità laddove si deve e si può arrivare per virtù. Per far rinsavire i segregazionisti di casa nostra forse dovremo attendere che un barcone di migranti diretti verso le nostre coste soccorra un natante di leghisti alla deriva mentre sono in vacanza?
(Fonte: Mosaico dei giorni - 21 luglio 2015)

giovedì 23 luglio 2015

Papa Francesco ai sindaci: Prendersi cura dell’ambiente significa avere un atteggiamento di ecologia umana... l’enciclica Laudato si’ non è un’enciclica “verde”, è un’enciclica "sociale”


Per essere davvero efficace, l’impegno comune per la costruzione di una “coscienza ecologica” e per il contrasto alle “schiavitù moderne” - traffico di esseri umani e di organi, prostituzione, lavoro nero - deve partire dalle periferie. A dirsene convinto è stato Papa Francesco, incontrando ieri sera, 21 luglio, in Vaticano (Aula nuova del Sinodo) oltre 70 sindaci, venuti da tutto il mondo per partecipare al workshop “Modern slavery and climate change: the commitment of the cities”, promosso dalle Pontificie Accademie delle scienze e delle scienze sociali. Obiettivo del meeting, ha spiegato in apertura il cancelliere dei due organismi, monsignor Marcelo Sánchez Sorondo, “far fruttificare” l’enciclica “Laudato si’” per “renderla operativa”. E l’enciclica, rievocata in tutti gli interventi, è stata il “leit motiv” dell’incontro, già proiettato verso la Conferenza internazionale sui cambiamenti climatici (Cop21) in programma in dicembre a Parigi. Oggi (22 luglio) i sindaci partecipano a un secondo simposio, “Prosperity, people and planet: achieving sustainable development”, promosso dalle due Accademie in continuità con quello di ieri, presso la Casina Pio IV. 
...


... Prendersi cura dell’ambiente significa avere un atteggiamento di ecologia umana. Non possiamo dire, cioè, che la persona sta qui e il creato, l’ambiente stanno lì. L’ecologia è totale, è umana. E questo è quello che ho voluto esprimere nell’enciclica Laudato si’: che non si può separare l’uomo dal resto; c’è una relazione che incide in maniera reciproca, sia dell’ambiente sulla persona, sia della persona nel modo in cui tratta l’ambiente; ed anche l’effetto rimbalzo contro l’uomo quando l’ambiente viene maltrattato. Per questo di fronte ad una domanda che mi hanno fatto ho risposto: “No, non è un’enciclica “verde”, è un’enciclica sociale”. Perché nella società, nella vita sociale dell’uomo, non possiamo prescindere dalla cura dell’ambiente. In più, la cura dell’ambiente è un atteggiamento sociale, che ci socializza, in un senso o nell’altro - ognuno può dargli il valore che vuole - dall’altro lato, ci fa ricevere - mi piace l’espressione italiana, quando parlano dell’ambiente-, del Creato, di quello che ci è stato dato come dono, ossia l’ambiente...

I giovani e il fantasma della disoccupazione, l’amore per l’ambiente non come semplice ecologia ma come servizio all’uomo. Francesco incontra in Vaticano 70 sindaci delle più importanti città del mondo e con loro parla delle nuove schiavitù.

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mercoledì 22 luglio 2015

Il tesoro del settimo giorno di Luigino Bruni

Le levatrici d’Egitto/15 - 
La terra e il tempo sono dono. Non facciamoceli rubare

Il tesoro del settimo giorno 

di Luigino Bruni






"A Montgomery, Alabama, in una piccola chiesa battista, ascoltai il sermone più straordinario che avessi mai ascoltato: l’argomento era il libro dell’Esodo e la lotta politica dei neri del sud. Dal suo pulpito il predicatore mimò l’uscita dall’Egitto e ne espose le analogie col presente; piegò la schiena sotto la frusta, sfidò il Faraone, esitò timoroso davanti al mare, accettò l’alleanza e la legge ai piedi della montagna." (M. Walzer Esodo e rivoluzione)


Gli umanesimi che si sono mostrati capaci di futuro, sono fioriti grazie a rapporti non predatori con il tempo e con la terra. Il tempo e la terra non li produciamo; li possiamo solo ricevere, custodire, accudire, gestire, come dono e promessa. E quando non lo facciamo, perché usiamo tempo e terra a scopo di lucro, l’orizzonte futuro di tutti si annuvola e si accorcia.

L’umanesimo biblico aveva tradotto questa dimensione di radicale gratuità del tempo e della terra con la grande legge del sabato e del giubileo, con la cultura del maggese: “Per sei anni seminerai la tua terra e ne raccoglierai il prodotto, ma il settimo anno la lascerai riposare e la lascerai incolta; mangeranno i poveri del tuo popolo e ciò che resta lo mangeranno le bestie della campagna. … Per sei giorni farai i tuoi lavori, ma nel settimo giorno ti cesserai, perché possano riposare il tuo bue e tuo asino e possano respirare i figli della tua schiava e lo straniero” (23,10-12).

Non siamo noi i padroni del mondo. Lo abitiamo, ci ama, ci nutre e ci fa vivere, ma siamo suoi ospiti e pellegrini, abitanti e possessori di una terra tutta nostra e tutta straniera, dove ci sentiamo a casa e viandanti. La terra è sempre terra promessa, mèta di fronte a noi e mai raggiunta. E lo è anche la terra su cui abbiamo costruito la nostra casa, quella del nostro quartiere, quella dove cresce il grano del nostro campo.

Alle radici della cultura biblica del maggese non c’è solo una tecnica saggia e sostenibile di coltivazione della terra. Nell’Esodo il maggese lo troviamo assieme al sabato e al giubileo, ed è quindi espressione di una legge più profonda e generale che riguarda la natura, il tempo, gli animali, le relazioni sociali, è profezia radicale di fraternità umana e cosmica. Puoi usare la terra sei giorni, non il settimo; puoi farti servire dal lavoro di altri uomini per sei giorni, non il settimo. Puoi e devi lavorare, ma non sempre, perché sempre lavoravamo quando eravamo schiavi in Egitto. L’animale domestico lavora sei giorni per te, ma il settimo non è per te. Il forestiero non è forestiero tutti i giorni, nel settimo è persona di casa con e come tutti. C’è una parte della tua terra e della tua ‘roba’ che non è tua, e che devi lasciare all’animale selvatico, allo straniero, al povero. Ciò che hai non è tutto e soltanto per te. Appartiene anche all’altro da te, che non è mai così ‘altro’ da uscire dall’orizzonte del ‘noi’. Tutti i veri beni sono beni comuni
Ma se sulle cose e sulle relazioni umane c’è impresso uno stigma di gratuità, allora ogni proprietà è imperfetta, ogni dominio è secondo, nessun straniero è veramente e soltanto straniero, nessun povero è povero per sempre. Il cristianesimo ha, profeticamente, mandato in crisi la ‘lettera’ della legge del sabato, ma non per ridurre il settimo giorno agli altri sei. Nel ‘regno dei cieli’, dove i poveri sono chiamati felici e i servi amici, i primi sei giorni sono chiamati a convertirsi alla profezia di gratuità e di fraternità universale racchiusa nell’ultimo. La legge del settimo giorno ci dice allora che gli animali, la terra, la natura non hanno valore solo in rapporto a noi umani, valgono anche in se stessi.
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martedì 21 luglio 2015

Omelia p. Pino Stancari, SJ (VIDEO) - XVI Domenica del Tempo Ordinario / B - 19.07.2015


Omelia p. Pino Stancari, SJ

(VIDEO) -

XVI Domenica del Tempo Ordinario / B -


19.07.2015






... Cosa vuol dire riposarsi? ... E Gesù, per come si comporta, vuole aiutare ad interpretare meglio la necessità del riposo.... noi vorremo riposare da soli, dimenticandoci del mondo e prendendo le distanze da tutti ..E' un inganno! La verità é che il riposo deve essere come Gesù lo insegna ai suoi discepoli. ... Il riposo riempe e consola la vita, man mano che impariamo a faticare con Lui, e fare della nostra fatica un modo per contribuire, nel nostro piccolo di minuscole creature, nel diffondere la misericordia del disegno di Dio, che riguarda l 'umanità intera, pecore senza pastore.  ...  


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lunedì 20 luglio 2015

Gesù, tenerezza di Dio - Papa Francesco, Angelus del 19 luglio 2015 - (Testo e video)

Gesù, tenerezza di Dio
Nella compassione di Gesù per noi,
 si è fatta carne la tenerezza di Dio
Papa Francesco


Angelus del 19 luglio 2015 - 

(Testo e video)





Commentando il Vangelo di questa domenica, in cui Gesù ha compassione delle tante persone che lo cercano, perché gli appaiono “come pecore che non hanno pastore”, il Papa si sofferma su tre verbi “di questo suggestivo fotogramma” evangelico: “vedere, avere compassione, insegnare”. Sono “i verbi del Pastore”. Soprattutto il primo e il secondo, vedere e avere compassione – sottolinea - sono sempre associati nell’atteggiamento di Gesù:
“Infatti il suo sguardo non è lo sguardo di un sociologo o di un fotoreporter, perché egli guarda sempre con ‘gli occhi del cuore’. Questi due verbi, vedere e avere compassione, configurano Gesù come Buon Pastore. Anche la sua compassione, non è solamente un sentimento umano, ma è la commozione del Messia in cui si è fatta carne la tenerezza di Dio. E da questa compassione nasce il desiderio di Gesù di nutrire la folla con il pane della sua Parola”.
America Latina: grandi potenzialità umane e spirituali, ma anche povertà
Papa Francesco rievoca quindi il suo recente viaggio in Ecuador, Bolivia e Paraguay, e per il quale ha chiesto di essere guidato dallo Spirito di Gesù, Buon Pastore. Ringrazia le popolazioni, il clero e le autorità di questi Paesi per "l’affettuosa e calorosa accoglienza", l'entusiasmo e la collaborazione per la riuscita della visita:
“Con questi fratelli e sorelle ho lodato il Signore per le meraviglie che ha operato nel Popolo di Dio in cammino in quelle terre, per la fede che ha animato e anima la sua vita e la sua cultura. E lo abbiamo lodato anche per le bellezze naturali di cui ha arricchiti questi Paesi. Il Continente latino-americano ha grandi potenzialità umane e spirituali, custodisce valori cristiani profondamente radicati, ma vive anche gravi problemi sociali ed economici. Per contribuire alla loro soluzione, la Chiesa è impegnata a mobilitare le forze spirituali e morali delle sue comunità, collaborando con tutte le componenti della società”.
E ha proseguito:
“Di fronte alle grandi sfide che l’annuncio del Vangelo deve affrontare, ho invitato ad attingere da Cristo Signore la grazia che salva e che dà forza all’impegno della testimonianza cristiana, a sviluppare la diffusione della Parola di Dio, affinché la spiccata religiosità di quelle popolazioni possa sempre essere testimonianza fedele del Vangelo”.
Un viaggio indimenticabile
Infine, il Papa ha invocato Maria:
“Alla materna intercessione della Vergine Maria, che l’intera America Latina venera quale patrona col titolo di Nostra Signora di Guadalupe, affido i frutti di questo indimenticabile Viaggio apostolico”.

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ANGELUS - 19 luglio 2015




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