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mercoledì 30 settembre 2015

I POVERI PARLANO ALL’ONU di Raniero La Valle

I POVERI PARLANO ALL’ONU

di Raniero La Valle 



Terra, casa, lavoro, il “minimo assoluto” che deve essere assicurato a tutti: questa è l’esigenza fondamentale che il papa è andato a piantare il 25 settembre scorso nel cuore dell’assemblea delle Nazioni Unite. Che il mondo, che le Nazioni si misurino su questo, che a ciò si rivolgano diritto, politica ed economia, ha invocato papa Francesco.
Ma questa richiesta non è venuta prima di tutto da lui. Era stata già prima formulata dai poveri che avevano scelto terra casa e lavoro come parole d’ordine per l’incontro mondiale dei movimenti popolari che si era tenuto in Vaticano nell’ottobre 2014 nell’aula del Vecchio Sinodo. Papa Francesco li aveva invitati per mostrare alla Chiesa e ai popoli “un grande segno”, e cioè che “i poveri non solo subiscono l’ingiustizia, ma lottano contro di essa”, e per incoraggiarli a continuare questa lotta: “Avete i piedi nel fango e le mani nella carne. Odorate di quartiere, di popolo, di lotta! Vogliamo che si ascolti la vostra voce che in generale si ascolta poco. Forse perché disturba, forse perché il vostro grido infastidisce, forse perché si ha paura del cambiamento che voi esigete”. E offrendo la sua voce come eco alla loro, Francesco aveva fatto sue quelle parole d’ordine, ciò che non voleva dire che “il papa è comunista”, perché “l’amore per i poveri è al centro del Vangelo”
Terra casa e lavoro diventavano così parole del papa perché, diceva, “quello per cui lottate sono diritti sacri”.

Il grido degli esclusi
Ma, come accade per quelle dei poveri, neanche le parole del papa furono allora ascoltate: meglio ignorarle che dover discutere se il papa fosse comunista. E allora Francesco ci tornò in un secondo incontro con i movimenti popolari, questa volta a Santa Cruz de la Sierra, in Bolivia, il 9 luglio scorso, e disse loro: “La Bibbia ci ricorda che Dio ascolta il grido del suo popolo e anch’io desidero unire la mia voce alla vostra: le famose “tre t”: terra, casa, lavoro (in spagnolo: tierra, techo, trabajo) per tutti i nostri fratelli e sorelle. L’ho detto e lo ripeto: sono diritti sacri. Vale la pena, vale la pena di lottare per essi. Che il grido degli esclusi si oda in America Latina, e in tutta la terra”. E aggiunse che c’era poco tempo, perché “sembra che il tempo stia per finire” quando non solo ci combattiamo tra noi, ma siamo giunti ad accanirci contro la nostra casa.

Nemmeno quella volta papa Francesco fu ascoltato. I poveri non sono ascoltati. “Che cosa posso fare io, si chiedeva allora il papa mettendosi al loro posto, “raccoglitore di cartone, frugatrice tra le cose, raccattatore, riciclatrice?”. Chi mi ascolta? “Che cosa posso fare – continuava il papa - io artigiano, venditore ambulante, trasportatore, lavoratore escluso se non ho nemmeno i diritti dei lavoratori?. Cosa posso fare io, contadina, indigeno, pescatore che appena appena posso resistere all’asservimento delle grandi imprese? Che cosa posso fare io dalla mia borgata, dalla mia baracca, dal mio quartiere, dalla mia fattoria quando sono quotidianamente discriminato ed emarginato? Che cosa può fare questo studente, questo giovane, questo militante, questo missionario che calca quartieri e luoghi con un cuore pieno di sogni, ma quasi nessuna soluzione ai suoi problemi?” E il papa stesso rispondeva: “Potete fare molto. Potete fare molto! Oserei dire che il futuro dell'umanità è in gran parte nelle vostre mani, nella vostra capacità di organizzare e promuovere alternative creative nella ricerca quotidiana delle “tre t”; d’accordo? - lavoro, casa, terra –“.
D’accordo. Ma se è in gioco il futuro dell’umanità, bisogna porre il problema là dove il futuro dell’umanità si decide, bisogna che il grido soffocato nelle periferie echeggi sul tetto del mondo lì dove, almeno in prospettiva, risiede il potere della comunità organizzata delle Nazioni, bisogna andare ad alzare questo grido all’ONU.
E alla fine il papa è arrivato a New York, portandosi dietro questo grido, come attraverso un lungo pellegrinaggio, come per un suo personale anno santo della misericordia, dalle periferie del mondo fino al centro dell’ordinamento internazionale, dal basso della vita reale all’alto della rappresentanza politica. E in questa salita il grido si è arricchito, si è rivestito di nuovi contenuti e nel discorso all’ONU si è volto a una più grande lotta per tutto ciò che è umano.
La terra, ad esempio, come è stata evocata a New York, non vuol dire solo la zolla coltivata dal contadino. Nel diritto alla terra è significato il diritto non solo a quel mezzo di produzione, ma a tutti i mezzi di produzione, anche immateriali, come i saperi, che sono necessari al lavoro umano e che consentono agli “uomini e donne concreti” di sottrarsi alla povertà, di “essere degni attori del loro stesso destino”, ciò che “suppone ed esige il diritto all’istruzione – anche per le bambine (escluse in alcuni luoghi) –“.
E non solo il diritto alla terra, anche i diritti alla casa e al lavoro si sono arricchiti nel discorso alle Nazioni di nuovi significati, perché questo “minimo assoluto” a tutti dovuto, oltre ai suoi tre nomi a livello materiale, ha anche “un nome a livello spirituale: libertà dello spirito, che comprende la libertà religiosa e gli altri diritti civili”.

Un’altra antropologia
Ma la terra vuol dire immediatamente per il papa anche la “casa comune”, l’ambiente fisico della nostra esistenza, che dobbiamo preservare e migliorare sia contro “l’irresponsabile malgoverno dell’economia mondiale” e contro gli eccessi di una tecnologia fuori controllo, sia contro l’esclusione e l’inequità, che porta i più poveri ad essere “scartati dalla società” e nel medesimo tempo li obbliga a “vivere di scarti”; essi sono i più vulnerabili nel “soffrire ingiustamente le conseguenze dell’abuso dell’ambiente”. E qui papa Francesco ha ripreso al Palazzo di Vetro tutta la linea della “Laudato sì”, per la quale la crisi ecologica è una crisi globalmente umana, essendo indisgiungibili l’uomo e l’ambiente, ambedue fatti di terra, per così dire “connaturali”, per cui “qualsiasi danno all’ambiente è un danno all’umanità”. Questa è la ragione per cui si può parlare di un nuovo diritto, finora inedito, che è in capo ad ogni donna e uomo di questo pianeta, che è, dice il papa, “il diritto all’esistenza della stessa natura umana”.
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