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lunedì 29 febbraio 2016

"Il giorno in più" di Tonio Dell'Olio


Il giorno in più
Tonio Dell'Olio


Un anno che ci regala un giorno in più ci riconcilia con il tempo. Ci dice che il tempo non ci appartiene totalmente, ma che possiamo tentare di addomesticarlo. 
Un giorno in più è l'elogio dello spreco e forse anche del dono. 

Un giorno che non sia necessariamente il 29 febbraio nella cadenza dei quattro anni, ma il giorno che decidi di regalare alla tua fantasia, alla creatività di cui mente, anima e cuore hanno bisogno più del dovere cui sei richiamato ogni giorno dalla voce di dentro prima che dai tuoi capi. 
Un giorno in più per ridare una sfumatura nuova di colore al tempo dei grigi. 


Forse per questo la scienza dei calendari ha sposato quella dell'anima. Ma che non sia un giorno di recupero. Solo di dono. 
Un dono da donare. O da donarti.
(fonte testo: Mosaico dei Giorni 29/02/2016
immagini: staff Quelli della Via)


Un altro pensiero di Papa Francesco per i più bisognosi: a San Pietro, dopo barberia e docce, da oggi un poliambulatorio medico.


Apre oggi 29 febbraio 2016) nei pressi del colonnato di San Pietro l'ambulatorio gratuito voluto dal Papa per senza fissa dimora e bisognosi. La nuova struttura è ubicata accanto ai locali dove Papa Francesco lo scorso anno ha fatto installare servizi docce e barberia, dove operano barbieri e parrucchieri volontari. L'ambulatorio che aprirà oggi sarà gestito dai medici dell'associazione Medicina solidale onlus. "Siamo grati a Papa Francesco per avere voluto, ancora una volta, dare un segno concreto di misericordia in piazza San Pietro alle persone senza fissa dimora o in difficoltà - dichiara in una nota Lucia Ercoli, direttrice dell'associazione - I nostri medici insieme a quelli del Policlinico di Tor Vergata hanno accettato con grande passione questa nuova sfida che unisce idealmente il lavoro fatto in questi anni nelle periferie con il cuore della cristianità".

I medici e gli infermieri di Medicina solidale onlus garantiranno cure, terapie e test sullo stato di salute p alle persone in difficoltà. "Dopo Tor Bella Monaca, Tor Marancia, Montagnola e Regina Coeli - aggiunge Ercoli - abbiamo accolto l'invito dell'Elemosiniere del Papa a metterci in gioco per garantire le visite mediche e le giuste cure a chi non può più permettersele. C'è ancora tanto lavoro da fare soprattutto nei quartieri periferici della nostra città, ma credo che questo nuovo ambulatorio a San Pietro sia un segno di grande speranza".
(fonte: Avvenire)

Comunicato Stampa di Medicina Sociale
Medicina Solidale apre a Piazza San Pietro

E’ con immensa gioia che ci apprestiamo ad aprire un ambulatorio solidale a Piazza San Pietro a servizio dei poveri assistiti dall’Elemosineria Apostolica.

Trema il cuore davanti a questo impegno che ci colloca nel cuore della Cristianità, vicino alla Tomba di Pietro e alla Cattedra del Suo Successore.

E’ una chiamata che piega le gambe e ci inginocchia davanti al mistero di Cristo che attraverso i suoi successori ci chiama a seguirlo ancora di più, senza riserve, senza misure, senza paura.

“l’avete fatto a me” questo annuncio del Vangelo di Matteo al capitolo 25 ci ricorda che ogni atto d’amore verso i piccoli, i poveri, i disprezzati della terra è un atto d’amore a Gesù il Signore Re dell’Universo e che al tramonto della vita saremo giudicati sull’amore.

Non siamo degni di questa chiamata ma con tutta la nostra povertà e con tutta la nostra vita rispondiamo a Gesù il nostro sì.

SI TI SEGUIREMO SIGNORE DOVUNQUE TU VORRAI, TI SERVIREMO NEI PIU’ PICCOLI COME SERVI INUTILI FELICI SOLO DI ESSERE STATI AMMESSI A TOCCARE LE TUE PIAGHE IN TUTTI COLORO CHE SOFFRONO

Vedi anche il nostro post precedente: (all'interno del post altri link)


La pazienza del Signore - Papa Francesco Angelus 28/02/2016 (testo e video)


 28 febbraio 2016 

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Ogni giorno, purtroppo, le cronache riportano notizie brutte: omicidi, incidenti, catastrofi…. Nel brano evangelico di oggi, Gesù accenna a due fatti tragici che a quel tempo avevano suscitato molto scalpore: una repressione cruenta compiuta dai soldati romani all’interno del tempio; e il crollo della torre di Siloe, a Gerusalemme, che aveva causato diciotto vittime (cfr Lc 13,1-5).

Gesù conosce la mentalità superstiziosa dei suoi ascoltatori e sa che essi interpretano quel tipo di avvenimenti in modo sbagliato. Infatti pensano che, se quegli uomini sono morti così crudelmente, è segno che Dio li ha castigati per qualche colpa grave che avevano commesso; come dire: “se lo meritavano”. E invece il fatto di essere stati risparmiati dalla disgrazia equivaleva a sentirsi “a posto”. Loro “se lo meritavano”; io sono “a posto”.

Gesù rifiuta nettamente questa visione, perché Dio non permette le tragedie per punire le colpe, e afferma che quelle povere vittime non erano affatto peggiori degli altri. Piuttosto, Egli invita a ricavare da questi fatti dolorosi un ammonimento che riguarda tutti, perché tutti siamo peccatori; dice infatti a coloro che lo avevano interpellato: «Se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo» (v. 3).

Anche oggi, di fronte a certe disgrazie e ad eventi luttuosi, può venirci la tentazione di “scaricare” la responsabilità sulle vittime, o addirittura su Dio stesso. Ma il Vangelo ci invita a riflettere: che idea di Dio ci siamo fatti? Siamo proprio convinti che Dio sia così, o quella non è piuttosto una nostra proiezione, un dio fatto “a nostra immagine e somiglianza”? Gesù, al contrario, ci chiama a cambiare il cuore, a fare una radicale inversione nel cammino della nostra vita, abbandonando i compromessi con il male – e questo lo facciamo tutti, i compromessi con il male - le ipocrisie – io credo che quasi tutti ne abbiamo almeno un pezzetto di ipocrisia -, per imboccare decisamente la strada del Vangelo. Ma ecco di nuovo la tentazione di giustificarci: “Ma da che cosa dovremmo convertirci? Non siamo tutto sommato brava gente?”. Quante volte abbiamo pensato questo: “Ma, tutto sommato io sono uno bravo, sono una brava – non è così? – non siamo dei credenti, anche abbastanza praticanti?”. E noi crediamo che così siamo giustificati.

Purtroppo, ciascuno di noi assomiglia molto a un albero che, per anni, ha dato molteplici prove della sua sterilità. Ma, per nostra fortuna, Gesù è simile a quel contadino che, con una pazienza senza limiti, ottiene ancora una proroga per il fico infecondo: «Lascialo ancora quest’anno – dice al padrone – […] Vedremo se porterà frutto per l’avvenire» (v. 9). Un “anno” di grazia: il tempo del ministero di Cristo, il tempo della Chiesa prima del suo ritorno glorioso, il tempo della nostra vita, scandito da un certo numero di Quaresime, che ci vengono offerte come occasioni di ravvedimento e di salvezza, il tempo di un Anno Giubilare della Misericordia. L’invincibile pazienza di Gesù! Avete pensato, voi, alla pazienza di Dio? Avete pensato anche alla sua irriducibile preoccupazione per i peccatori, come dovrebbero provocarci all’impazienza nei confronti di noi stessi! Non è mai troppo tardi per convertirsi, mai! Fino all’ultimo momento: la pazienza di Dio che ci aspetta. Ricordate quella piccola storia di santa Teresa di Gesù Bambino, quando pregava per quell’uomo condannato a morte, un criminale, che non voleva ricevere il conforto della Chiesa, respingeva il sacerdote, non voleva: voleva morire così. E lei pregava, nel convento. E quanto quell’uomo era lì, proprio al momento di essere ucciso, si rivolge al sacerdote, prende il Crocifisso e lo bacia. La pazienza di Dio! E fa lo stesso anche con noi, con tutti noi! Quante volte – noi non lo sappiamo, lo sapremo in Cielo –, quante volte noi siamo lì, lì… [sul punto di cadere] e il Signore ci salva: ci salva perché ha una grande pazienza per noi. E questa è la sua misericordia. Mai è tardi per convertirci, ma è urgente, è ora! Incominciamo oggi.

La Vergine Maria ci sostenga, perché possiamo aprire il cuore alla grazia di Dio, alla sua misericordia; e ci aiuti a non giudicare mai gli altri, ma a lasciarci provocare dalle disgrazie quotidiane per fare un serio esame di coscienza e ravvederci.

Dopo l'Angelus:

Cari fratelli e sorelle,

la mia preghiera, e anche la vostra, ha sempre presente il dramma dei profughi che fuggono da guerre e altre situazioni disumane. In particolare, la Grecia e gli altri Paesi che sono in prima linea stanno prestando ad essi un generoso soccorso, che necessita della collaborazione di tutte le nazioni. Una risposta corale può essere efficace e distribuire equamente i pesi. Per questo occorre puntare con decisione e senza riserve sui negoziati. In pari tempo, ho accolto con speranza la notizia circa la cessazione delle ostilità in Siria, e invito tutti a pregare affinché questo spiraglio possa dare sollievo alla popolazione sofferente, favorendo i necessari aiuti umanitari, e apra la strada al dialogo e alla pace tanto desiderata.

Voglio inoltre assicurare la mia vicinanza al popolo delle Isole Fiji, duramente colpito da un devastante ciclone. Prego per le vittime e per quanti sono impegnati nel prestare soccorso.

Rivolgo un cordiale saluto a tutti voi pellegrini di Roma, dell’Italia e di diversi Paesi.

...

A tutti auguro una buona domenica. Non dimenticatevi di pregare per me. Buon pranzo e arrivederci!


Guarda il video


domenica 28 febbraio 2016

Preghiera dei Fedeli - Fraternità Carmelitana di Pozzo di Gotto (ME) - III Domenica Quaresima / C





Fraternità Carmelitana 
di Pozzo di Gotto (ME)





Preghiera dei Fedeli

"Un cuore che ascolta - lev shomea" - n. 13/2015-2016 (C) di Santino Coppolino

'Un cuore che ascolta - lev shomea'
Concedi al tuo servo un cuore docile, perché sappia rendere giustizia al tuo popolo e sappia distinguere il bene dal male" (1Re 3,9)



Traccia di riflessione
sul Vangelo della domenica
di Santino Coppolino




Vangelo: 
Lc 13,1-9




Il cuore del capitolo 13 del Vangelo di Luca è costituito dalla parabole del Regno che aiutano i credenti a vivere la propria storia di salvezza alla luce di quella di Gesù. Queste però sono comprese fra due episodi, uno all'inizio del capitolo l'altro alla fine, che hanno come tema comune la morte. Certo Gesù non si riferisce alla morte fisiologica, a quella naturale, alla morte "de la quale nullu homo vivente può scampare", come canta S. Francesco nelle sue celebri Laudes Creaturarum. Gesù intende parlare di quella morte la cui causa diretta sono le scelte di vita proposte dal divisore nelle tentazioni e durante tutta la sua vita; le scelte di potere, di ricchezza e di orgoglio che egli ha fermamente rifiutato, anche sulla croce, come mezzi per l'edificazione del Regno. Solo nell'ascolto obbediente della Parola del Padre, solo ponendo in atto le dinamiche di vita che da Essa scaturiscono, la comunità dei credenti avrà la possibilità di produrre i dolci frutti sperati. Nel caso contrario essa sarà solo apparenza, fogliame utile solo a mascherare il vuoto del suo cuore, fico che rende improduttivo il terreno, buono soltanto per essere tagliato. Ma Dio non taglia il fico, non agisce come si attendeva il Battista (3,9) perché Egli ama l'uomo e fa di tutto perché possa pienamente rispondere al suo amore. E' questo il senso profondo della storia dell'umanità, "l'anno della pazienza e della misericordia di Dio, una dilatazione della salvezza e del giudizio, ancora sempre per un anno, da allora fino ad ora e fino alla fine" (cit.). E il tempo ancora non è giunto al termine perché, come canta il salmo 136, la tenerezza del Signore Dio per ogni suo figlio non avrà mai fine.
"Hodou l'Adonai Ki Tov, Ki Le Olam Chasdò - 
Rendete grazie al Signore perché è buono, perché eterna è la sua Misericordia "



sabato 27 febbraio 2016

L'attesa dell'innocente di Luigino Bruni


Un uomo di nome Giobbe/12 - 
Nostalgia di futuro, 
dove cielo di Dio e
orizzonte umano coincidono


L'attesa dell'innocente

di Luigino Bruni




Io ti sbircio / come una scacchiera / di battaglia navale / non so ancora dove / mi affonderai"/ segnerai una fenditura / con la biro nera / degli occhi / e mi porterai in salvo / su una terra consegnata. 

Chandra Livia Candiani 

Le grida delle vittime aumentano la loro forza quando sono ripetute. Nel suo discorso finale Giobbe continua a ripetere le sue domande e le sue grida, difende per l’ennesima volta la sua innocenza, lancia ancora una volta il suo urlo verso il cielo: il povero non è povero perché è colpevole. Un uomo può essere povero, sventurato e innocente. E se è innocente, qualcuno deve aiutarlo a rialzarsi. Dio per primo, se vuole essere diverso dagli idoli. Il vero delitto di cui si sono spesso macchiate anche le religioni è uccidere i poveri convincendoli che sono colpevoli e che hanno meritato le loro condizioni sventurate; e così noi siamo giustificati nella nostra indifferenza, alla quale cerchiamo di associare anche Dio. Girando per Nairobi (da dove sto scrivendo queste righe) l’urlo di Giobbe è assordante; le nostre mancate risposte mascherate dalle ideologie riecheggiano ovunque. Solo in compagnia di Giobbe si può camminare nelle "periferie del capitalismo" sregolato sperando di restare un po’ giusti. Riconoscerlo lungo le strade, accostarsi alle sue ferite, e tentare almeno di fare silenzio per ascoltare fino in fondo il suo grido.
...
Se la Bibbia ci ha voluto mostrare un Dio che non risponde a Giobbe, è possibile trovare una verità nel Dio che non risponde quando dovrebbe farlo. Se guardiamo bene il mondo scopriamo che Dio continua a non rispondere a Giobbe che grida. È questo Dio muto quello che i poveri della terra conoscono. Allora, forse, se vogliamo sperare di incontrare veramente lo spirito di Dio nel mondo, e non restare catturati da qualche idolo fuori e dentro le religioni, dobbiamo scoprirlo dentro le grida senza risposta, dobbiamo cercarlo dove non c’è. Le ultime parole di Giobbe contengono poi un immenso ‘giuramento di innocenza’ (‘se ho fatto questo delitto, mi colga questo male’ …). Giobbe lo aveva già pronunciato (27,1-7), ma ora diventa più solenne, finale, estremo. Un ultimo giuramento che contiene una perla, uno dei messaggi più grandi e rivoluzionari di tutto il libro e di tutti i libri. Nelle sue ultime parole scopriamo in che cosa consista veramente per Giobbe l'innocenza: “Se il mio cuore si lasciò sedurre da una donna altri si corichino con mia moglie… Se ho rifiutato ai poveri quanto desideravano, se ho lasciato languire gli occhi della vedova, se da solo ho mangiato il mio tozzo di pane, senza che ne mangiasse anche l'orfano … mi si stacchi la scapola dalla spalla e si rompa al gomito il mio braccio … Se ho riposto la mia speranza nell'oro e all'oro fino ho detto: «Tu sei la mia fiducia» … Se, vedendo il sole risplendere e la luna avanzare smagliante, si è lasciato sedurre in segreto il mio cuore e con la mano alla bocca ho mandato un bacio ...” (31,5-10;16-28). Maltrattare e non soccorrere i poveri, l’adulterio, e le molte forme di idolatria (ricchezza e astri): sono questi i reati e i delitti più gravi per Giobbe, per tutti. 
Ma ad un certo punto Giobbe aggiunge qualcosa che a prima vista ci lascia molto perplessi, stupiti, turbati. Sembra che Giobbe alla fine della sua arringa pronunci una ammissione di colpevolezza: “Non ho nascosto come uomo la mia colpa, tenendo celato nel mio petto il mio delitto” (31,33-34). Proprio nell’ultimo atto della sua difesa, a pochi passi dal traguardo si arrende, e seguendo i consigli degli amici ammette di essere colpevole, nega la sua innocenza che era stata il solo bene che aveva salvato nel tracollo totale. È questo il senso di queste parole? No. Giobbe qui ci sta dicendo qualcosa di diverso e molto importante, come sua ultima parola, come un testamento. Riconoscendo la colpa Giobbe conclude i suoi discorsi allargando il territorio dell’innocenza umana fino a comprendervi anche il peccato. L’uomo giusto non è chi non pecca e non compie delitti, perché peccare è parte della condizione umana. Giobbe ha sempre negato la teologia economica degli amici che associavano la sua condizione di sventurato al suo peccato. ..
Anche Giobbe ha peccato. Si possono commettere peccati e delitti restando giusti se non si esce dalla verità su di sé e dalla verità sulla vita. È la menzogna il grande e unico peccato contro il Dio di Giobbe, il peccato di chi sa di sbagliare e tiene ‘celata nel petto la colpa’, perché ammettendola e riconoscendola pubblicamente dimostrerebbe la volontà di conversione, e resterebbe giusto. Ci sono persone ingiuste e non innocenti che ricevono lodi pubbliche e onorificenze civili, e le carceri sono piene di giusti come Giobbe. Dio, se non è un idolo, non è libero di non perdonare il peccato dei giusti. Allora con le sue ultime parole Giobbe ci sta dicendo qualcosa di decisivo per ogni esperienza di fede: anche il peccatore può restare innocente. E se anche il peccatore resta dentro il territorio dell’innocenza, allora ci si può sempre risollevare dopo ogni caduta: innocenti si può tornare. Giobbe lo sa, perché crede e spera solo in questo Dio.
È con questa innocenza sincera, vera, onesta, che Giobbe termina il racconto della sua storia. Ha svolto il suo compito, ha terminato la sua missione. Ha combattuto una buona battaglia. Ha conservato la fede nell’uomo, in Elohim, nella propria dignità, nel proprio onore, nell’innocenza dell’uomo, di ogni uomo. E lo ha fatto per noi, continua a farlo per noi, per includere nel regno degli innocenti anche i peccatori che continuano ad essere giusti.
....
Nelle prove della vita, anche in quelle grandi e tremende, la cosa importante, la sola cosa veramente importante, è arrivare fino alla fine della notte, non smettere di attendere un altro Dio, e giungere a questo incontro decisivo a testa alta. Non tutte le attese di Dio avvengono a testa alta, perché per tenere la testa alta e poter guardare Elohim negli occhi quando arriverà occorre vivere le prove della vita come Giobbe, non accontentandosi di un dio minore e di un uomo peggiore per salvarsi. Giobbe giungendo come un principe alla fine della sua difesa ha continuato ad allargare l’orizzonte dell’umano buono fino a farlo coincidere, sulla linea dell’orizzonte, con il cielo buono del suo Dio.
Leggi tutto:


Leggi anche i post già pubblicati:

- Un uomo di nome Giobbe/10 - Fedeli al Dio del non ancora  di nome Giobbe/9 - Il veleno della falsa misericordia

- Un uomo di nome Giobbe/8 - La rivoluzione dell’ascolto

- Un uomo di nome Giobbe/7 - La parola che vince la morte

- Un uomo di nome Giobbe /6 - La memoria viva della terra

- Un uomo di nome Giobbe /5 - Attenti ai ruffiani di Dio

- Un uomo di nome Giobbe /4 - La responsabilità di Dio

- Un uomo di nome Giobbe /3 - L’arca del duro canto

- Un uomo di nome Giobbe /2 - La risposta dell’intoccabile

- Un uomo di nome Giobbe / 1 - Nudo è il dialogo con Dio

venerdì 26 febbraio 2016

"Non si tratta di ‘aggiustare’ l’uomo, ma di farlo rinascere, di farlo risorgere!", meditazione di padre Rupnik - 22 febbraio 2016

"Non si tratta di ‘aggiustare’ l’uomo,
ma di farlo rinascere, di farlo risorgere!"

Gesù è venuto a liberarci da un modo di vivere la religione che diventa pesante! 
padre Marko Ivan Rupnik ,
gesuita e direttore del Centro Aletti



Meditazione della celebrazione dell’Ora Media,
  Giubileo della Curia Romana nel giorno in cui la Chiesa festeggia la solennità della Cattedra di San Pietro

Vaticano, Aula Paolo VI
22.02.2016



"Dobbiamo liberarci dall’idea di «perfezione dell’individuo», perché il cristianesimo non può promettere a una persona la perfezione ideale, ma la vita eterna in comunione del corpo di Cristo."
...

Gesù è venuto a liberarci da un modo di vivere la religione che diventa pesante!
Siamo chiamati a suscitare voglia e appetito nel mondo per una vita nuova... E «la nostra fede non è altro che accoglienza di questa vita nuova». Con la certezza che «dietro una Chiesa brava non s’incamminerà mai nessuno, ci faranno solo un applauso e basta».... Ad attirare sarà piuttosto «una Chiesa bella che dentro di sé, i suoi gesti, i suoi sguardi, le sue parole, fa emergere il Figlio e ancor di più il Padre». Sempre «mossi dallo Spirito Santo che è la vita come comunione». Solo così, ha fatto notare, «l’uomo diventa luogo della vita come comunione e come misericordia, luogo della Chiesa, luogo della ecclesialità».
...
La Chiesa può portare al mondo una trasfigurazione della società, perché rivela al mondo di essere includente, di essere una Chiesa che include l’altro e lo coinvolge”. ... “Il cristianesimo non può essere inteso come sostituzione della religione pagana. Sarebbe un errore tragico. Non si tratta di ‘aggiustare’ l’uomo, ma di farlo rinascere, di farlo risorgere”. ...“La nostra fede è un’accoglienza di una vita: è questo il compito della Chiesa, manifestare a quale grandezza, a quale bontà siamo destinati e far vedere al mondo ciò che Dio fa quando scorre attraverso l’umanità”
E il giubileo della Curia è un’occasione propizia, secondo Rupnik, anche per mettere in guardia dalla tentazione «tremenda di acquisire un carattere un po’ parastatale», finendo per mettere «nel cuore la funzione, la struttura, l’istituzione, l’individuo che è in funzione di qualcosa». Ma «l’individuo non può rivelare altro che se stesso». E sarebbe scandaloso «far vedere al mondo che viviamo il cristianesimo come realtà individuale». Dobbiamo invece liberarci, ha esortato Rupnik, dall’idea di «perfezione dell’individuo», perché «il cristianesimo non può promettere a una persona la perfezione ideale, ma la vita eterna in comunione del corpo di Cristo».

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«La grazia di vedere sempre i Lazzari che sono alla nostra porta, i Lazzari che bussano al cuore» - Papa Francesco - S. Messa Cappella della Casa Santa Marta - (video e testo)




S. Messa - Cappella della Casa Santa Marta, Vaticano
25 febbraio 2016
inizio 7 a.m. fine 7:45 a.m. 



Papa Francesco:
Apriamo il cuore ai poveri, essi sono Gesù

La fede vera è accorgersi dei poveri che ci sono accanto. Lì c’è Gesù che bussa alla porta del nostro cuore: è quanto ha detto il Papa nella Messa del mattino a Casa Santa Marta. 

Cristiani in una bolla di vanità
Nel Vangelo del giorno Gesù racconta la parabola dell’uomo ricco “che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo e ogni giorno si dava a lauti banchetti” e non si accorgeva che alla sua porta c’era un povero, di nome Lazzaro, coperto di piaghe. Il Papa invita a porsi questa domanda: “Se io sono un cristiano sulla via della menzogna, soltanto del dire, o sono un cristiano sulla via della vita, cioè delle opere, del fare”. Quest’uomo ricco, infatti – nota Francesco – “conosceva i comandamenti, sicuramente tutti i sabati andava in sinagoga e una volta all’anno al tempio”. Aveva “una certa religiosità”:

“Ma era un uomo chiuso, chiuso nel suo piccolo mondo - il mondo dei banchetti, dei vestiti, della vanità, degli amici - un uomo chiuso, proprio in una bolla, lì, di vanità. Non aveva capacità di guardare oltre, soltanto il suo proprio mondo. E quest’uomo non si accorgeva di cosa accadesse fuori del suo mondo chiuso. Non pensava per esempio ai bisogni di tante gente o alla necessità di compagnia degli ammalati, soltanto pensava a lui, alle sue ricchezze, alla sua buona vita: si dava alla buona vita”.

Il povero è il Signore che bussa alla porta del nostro cuore
Era, dunque, un “religioso apparente”, “non conosceva alcuna periferia, era tutto chiuso in se stesso. Proprio la periferia, che era vicina alla porta della sua casa, non la conosceva”. Percorreva “la via della menzogna”, perché “si fidava soltanto di se stesso, delle sue cose, non si fidava di Dio”. “Un uomo che non ha lasciato eredità, non ha lasciato vita, perché soltanto era chiuso in se stesso”. Ed “è curioso” sottolinea Papa Francesco - che “aveva perso il nome. Il Vangelo non dice come si chiamava, soltanto dice che era un uomo ricco, e quando il tuo nome è soltanto un aggettivo è perché hai perso, hai perso sostanza, hai perso forza”:

“Questo è ricco, questo è potente, questo può fare tutto, questo è un prete di carriera, un vescovo di carriera… Quante volte noi… ci viene di nominare la gente con aggettivi, non con nomi, perché non hanno sostanza. Ma io mi domando: ‘Dio che è Padre, non ha avuto misericordia di questo uomo? Non ha bussato al suo cuore per muoverlo?’. Ma sì, era alla porta, era alla porta, nella persona di quel Lazzaro, che sì aveva nome. E quel Lazzaro con i suoi bisogni e le sue miserie, le sue malattie, era proprio il Signore che bussava alla porta, perché quest’uomo aprisse il cuore e la misericordia potesse entrare. Ma no, lui non vedeva, soltanto era chiuso: per lui oltre la porta non c’era niente”.

La grazia di vedere i poveri
Siamo in Quaresima – ricorda il Papa – e ci farà bene domandarci quale strada stiamo percorrendo:

“’Io sono sulla strada della vita o sulla strada della menzogna? Quante chiusure ho nel mio cuore ancora? Dove è la mia gioia: nel fare o nel dire? Nell’uscire da me stesso per andare incontro agli altri, per aiutare? - Le opere di misericordia, eh! O la mia gioia è avere tutto sistemato, chiuso in me stesso?’. Chiediamo al Signore, mentre pensiamo questo, no, sulla nostra vita, la grazia di vedere sempre i Lazzari che sono alla nostra porta, i Lazzari che bussano al cuore, e uscire da noi stessi con generosità, con atteggiamento di misericordia, perché la misericordia di Dio possa entrare nel nostro cuore!”. 
(fonte: Radio Vaticana)

Guarda il video



giovedì 25 febbraio 2016

Papa Francesco: Viaggio in Messico (12-18 FEBBRAIO 2016) / 9 - Incontro con i giovani (cronaca, foto, testi e video)

16 febbraio 2016
 Incontro con i giovani 


Il Papa è entrato nello stadio “José Maria Morelos y Pavón” con una macchinetta elettrica. I giovani urlanti, un tifo da stadio, una gioia straripante, quasi 40.000 dentro lo stadio, circa 50.000 fuori negli spazi con i maxischermi. Canti, fazzoletti e bandiere al vento in un clima di festa, giovani entusiasti in un pomeriggio di sole.
 

In Messico i giovani sono circa 30 milioni su una popolazione di 125 milioni. Il Papa ha invitato sul palco due ragazze down e le ha abbracciate: un incontro commovente. I giovani gridavano il suo nome, altri con abiti tradizionali portavano dei doni al Pontefice che li ha abbracciati e benedetti, e regalato loro dei rosari.


Quattro ragazzi hanno poi preso la parola, chiedendo al Papa cosa fare per recuperare il sogno di avere una famiglia. “Vogliamo sognare formare una famiglia e vivere una vita misericordiosa” ha detto una giovane messicana. E un altro: “Vogliamo essere messaggeri di pace, vogliamo portare una cultura di uguaglianza e rispetto”.
Un altro giovane ha parlato delle difficoltà, della violenza, del narcotraffico che segna il loro territorio, come pure delle poche opportunità di lavoro, di padri e madri che non possono piangere neanche i loro figli, ed ha chiesto al Papa come si fa ad essere testimoni di Pace. Infine un quarto giovane ha chiesto a Francesco di poter continuare ad avere “l’incanto” di vedere e ascoltare coloro che hanno più bisogno. “Noi giovani vogliamo impegnarci a vincere la tiepidezza ed il conformismo”, ha aggiunto, chiedendo al Santo Padre di parlare di Gesù, l’unica vera fonte di speranza.



Molti tra i presenti erano commossi, non si sa se per la gioia o per l’intensità emotiva dell’incontro. Papa Francesco ha iniziato parlare con lo stadio che è diventato subito silenzioso. Tutti erano attenti per ascoltare il Pontefice.

Le parole del Santo Padre

Buonasera! A voi, giovani del Messico che siete qui, che state guardando per televisione, che state ascoltando… E voglio mandare un saluto e una benedizione alle migliaia di giovani della diocesi di Guadalajara che sono riuniti nella Piazza San Giovanni Paolo II per seguire quello che sta succedendo qui; e come loro tanti altri, ma mi hanno informato che là erano migliaia e migliaia riuniti in ascolto. E così siamo due “stadi”: la Giovanni Paolo di Guadalajara e noi qui, e poi tanti altri da tutte le parti.

Già conoscevo le vostre attese, perché mi avevano fatto arrivare la bozza di quello che più o meno avreste detto… - è vero! Perché dovrei dirvi una bugia? – Però mentre parlavate prendevo nota di alcune cose che mi sembravano importanti per non lasciarle in sospeso…

Vi dico che, quando sono arrivato in questa terra, sono stato accolto con un caloroso benvenuto, e ho potuto constatare immediatamente una cosa che sapevo da tempo: la vitalità, l’allegria, lo spirito festoso del Popolo messicano. Adesso, dopo avervi ascoltato, ma specialmente dopo avervi visto, constato nuovamente un’altra certezza, una cosa che ho detto al Presidente della Nazione nel mio primo saluto. Uno dei tesori più grandi di questa terra messicana ha il volto giovane, sono i suoi giovani. Sì, siete voi la ricchezza di questa terra. Attenzione: non ho detto la speranza di questa terra, ho detto: la ricchezza.

La montagna può contenere minerali preziosi che possono servire per il progresso dell’umanità: è la sua ricchezza, però quella ricchezza bisogna trasformarla in speranza con il lavoro, come fanno i minatori quando estraggono quei minerali. Voi siete la ricchezza, bisogna trasformarla in speranza. E Daniela alla fine ha posto una sfida, e ci ha dato anche la traccia, sulla speranza, ma tutti quelli che hanno parlato, quando sottolineavano le difficoltà, le situazioni, affermavano una verità molto grande, cioè che tutti possiamo vivere ma non possiamo vivere senza speranza. Sentire il domani. Non si può sentire il domani se prima uno non riesce ad avere stima di sé, se non riesce a sentire che la sua vita, le sue mani, la sua storia hanno un valore. Sentire quello che Alberto diceva: “Con le mie mani, con il mio cuore e con la mia mente posso costruire speranza; se io non sento questo, la speranza non potrà entrare nel mio cuore”.

La speranza nasce quando si può sperimentare che non tutto è perduto. E per questo è necessario l’esercizio di incominciare “da casa”, da se stessi. Non tutto è perduto. Io non sono perduto. Io valgo, io valgo molto. Vi chiedo silenzio adesso; ciascuno risponda nel suo cuore: E’ vero che non tutto è perduto? Io sono perduto, sono perduta? Io valgo? Valgo poco? Valgo molto? La principale minaccia alla speranza sono i discorsi che ti svalutano, come se ti succhiassero il valore, e finisci come a terra – non è vero? – come avvizzito, con il cuore triste… discorsi che ti fanno sentire di seconda classe, se non di quarta. La principale minaccia alla speranza è quando senti che a nessuno importa di te o che sei lasciato in disparte. Questa è la grande difficoltà per la speranza: quando in una famiglia o in una società o in una scuola o in un gruppo di amici ti fanno sentire che gli importa di te. E questo è duro, è doloroso, però succede – o non succede? Sì o no? [“Si”]. Succede! Questo uccide, questo ci annienta, e questo apre la porta a tanto dolore. Ma c’è anche un’altra importante minaccia alla speranza – alla speranza che quella ricchezza, che siete voi, cresca e dia il suo frutto – ed è farti credere che cominci a valere quando ti mascheri di vestiti, marche, dell’ultimo grido della moda, o quando diventi prestigioso, importante perché hai denaro, ma in fondo il tuo cuore non crede che tu sia degno di affetto, degno di amore, e questo il cuore lo intuisce. La speranza è imbavagliata da quello che ti fanno credere, non te la lasciano emergere. La principale minaccia è quando uno sente che i soldi gli servono per comprare tutto, compreso l’affetto degli altri. La principale minaccia è credere che perché hai una bella macchina sei felice. Ma è vero che se hai una bella macchina sei felice?

Voi siete la ricchezza del Messico, voi siete la ricchezza della Chiesa. Permettetemi di dirvi un’espressione della mia terra: no les estoy “sobando el lomo” – non vi sto “lisciando il pelo”, non vi sto adulando! E capisco che molte volte diventa difficile sentirsi la ricchezza quando ci troviamo continuamente esposti alla perdita di amici e di familiari nelle mani del narcotraffico, delle droghe, di organizzazioni criminali che seminano il terrore. E’ difficile sentirsi la ricchezza di una nazione quando non si hanno opportunità di lavoro dignitoso – Alberto, lo hai detto chiaramente –, possibilità di studio e di preparazione, quando non si vedono riconosciuti i diritti e questo poi finisce per spingere a situazioni limite. E’ difficile sentirsi la ricchezza di un luogo quando, per il fatto che sono giovani, li si usa per scopi meschini seducendoli con promesse che alla fine nono sono reali, sono bolle di sapone. Ed è difficile sentirsi ricchi così. La ricchezza ce l’avete dentro, la speranza ce l’avete dentro, però non è facile, per tutto questo che vi sto dicendo, e che voi stessi avete detto: mancano opportunità di lavoro e di studio – l’hanno detto Roberto e Alberto. Eppure, malgrado tutto questo, non mi stanco di ripeterlo: voi siete la ricchezza del Messico.

Roberto, tu hai detto una frase che voglio conservare. Hai detto che hai perso qualcosa. E non hai detto: Ho perso il cellulare, ho perso il portafogli con i soldi, ho perso il treno perché sono arrivato tardi… Hai detto: Abbiamo perso il fascino di godere dell’incontro”. Abbiamo perso il fascino di camminare insieme; abbiamo perso il fascino di sognare insieme. E perché questa ricchezza, mossa dalla speranza, vada avanti, bisogna camminare insieme, bisogna incontrarsi, bisogna sognare! Non perdete il fascino di sognare! Osate sognare! Sognare, che non è lo stesso di essere dormiglioni, questo no!

E non pensate che vi dica questo – che voi siete la ricchezza del Messico, e che questa ricchezza con la speranza va avanti – perché sono buono, o perché sono un esperto, no, cari amici, non è così. Vi dico questo, e ne sono convinto, sapete perché? Perché come voi credo in Gesù Cristo. E penso che Daniela è stata molto forte quando ci ha parlato di questo. Io credo in Gesù Cristo, e perciò vi dico questo. E’ Lui che rinnova continuamente in me la speranza, è Lui che rinnova continuamente il mio sguardo. E’ Lui che risveglia in me, in ognuno di noi il fascino di godere, il fascino di sognare, il fascino di lavorare insieme. E’ Lui che continuamente mi invita a convertire il cuore. Sì, amici miei, vi dico questo perché in Gesù io ho incontrato Colui che è capace di accendere il meglio di me stesso. Ed è grazie a Lui che possiamo fare strada, è grazie a Lui che ogni volta possiamo ricominciare da capo, è grazie a Lui che possiamo dire: non è vero che l’unico modo di vivere, di essere giovani è lasciare la vita nelle mani del narcotraffico o di tutti quelli che la sola cosa che stanno facendo è seminare distruzione e morte. Questo non è vero e lo diciamo grazie a Gesù. Ed è anche grazie a Gesù, a Gesù Cristo il Signore che possiamo dire che non è vero che l’unico modo di vivere per i giovani qui è la povertà e l’emarginazione; emarginazione dalle opportunità, emarginazione dagli spazi, emarginazione da formazione ed educazione, emarginazione dalla speranza. E’ Gesù Cristo Colui che smentisce tutti i tentativi di rendervi inutili, o meri mercenari di ambizioni altrui. Sono le ambizioni altrui che vi emarginano, per usarvi in tutte quelle cose che ho detto, che sapete, e che finiscono nella distruzione. E l’unico che mi può tenere ben forte per la mano è Gesù Cristo. Egli fa sì che questa ricchezza si trasformi in speranza.

Mi avete chiesto una parola di speranza: quella che ho da dirvi, quella che è alla base di tutto, si chiama Gesù Cristo. Quando tutto sembra pesante, quando sembra che ci caschi il mondo addosso, abbracciate la sua croce, abbracciate Lui e, per favore, non staccatevi mai dalla sua mano, anche se vi sta portando avanti trascinandovi; e se una volta cadete, lasciatevi rialzare da Lui. Gli alpini hanno una canzone molto bella, che a me piace ripetere ai giovani, una canzone che cantano mentre salgono: “Nell’arte di ascendere, il successo non sta nel non cadere, ma nel non rimanere caduto”. Questa è l’arte. E chi è l’unico che ti può afferrare per la mano perché tu non rimanga caduto? Gesù Cristo, solo Lui. Gesù Cristo che, a volte, ti manda un fratello perché ti parli e ti aiuti. Non nascondere la tua mano quando sei caduto. Non dirgli: Non guardarmi che sto infangato o infangata. Non guardarmi, che ormai non c’è più rimedio. Solamente lasciati afferrare la mano, e afferra quella mano, e la ricchezza che hai dentro, sporca, infangata, data per perduta, comincerà, attraverso la speranza, a dare il suo frutto. Ma sempre con la mano stretta a quella di Gesù Cristo. Questa è la strada. Non dimenticate: “Nell’arte di ascendere, il successo non sta nel non cadere, ma nel non rimanere caduto”. Non permettetevi di rimanere caduti! Mai! D’accordo? E se vedete un amico o un’amica che ha fatto uno scivolone nella vita ed è caduto, vai e offri la tua mano; ma offrila con dignità: mettiti accanto a lui, accanto a lei, ascolta… Non dire: ti do la ricetta! Non, da amico, con calma, dagli forza con le tue parole, con il tuo ascolto: quella medicina che si sta dimenticando: l’“ascoltoterapia”. Lascialo parlare, lascia che ti racconti, e allora, a poco a poco, ti allungherà la mano, e tu lo aiuterai nel nome di Gesù Cristo. Ma se vai di colpo, e cominci a fargli la predica, e dai e dai, alla fine, poveretto, lo lasci peggio di come stava… E’ chiaro? Non staccatevi mai dalla mano di Gesù Cristo, non allontanatevi mai da Lui. E se vi allontanate, rialzatevi e andate avanti: Lui capisce cosa sono queste cose. Perché insieme a Gesù Cristo è possibile vivere pienamente, insieme a Lui è possibile credere che vale la pena vivere; che vale la pena dare il meglio di sé, essere fermento, sale e luce tra gli amici, nel quartiere, nella comunità, nella famiglia – dopo, Rosario, parlerò un po’ di quello che tu hai detto sulla famiglia.

Per questo, cari amici, da parte di Gesù vi chiedo di non lasciarvi escludere, non lasciarvi disprezzare, non lasciarvi trattare come merce. Gesù ci ha dato un consiglio per questo, per non lasciarci escludere, per non lasciarci disprezzare, per non lasciarci trattare come una merce: «Siate prudenti come i serpenti e semplici come le colombe» (Mt 10,16). Le due virtù insieme. Ai giovani la vivacità non manca; a volte, manca loro la prudenza, per non essere ingenui. Entrambe le cose: prudenti ma semplici, buoni. Certo, per questa strada forse non avrete la macchina ultimo modello, non avrete il portafoglio pieno di soldi, ma avrete qualcosa che nessuno potrà togliervi, cioè l’esperienza di sentirsi amati, abbracciati e accompagnati. E’ il fascino di godere dell’incontro, il fascino di sognare nell’incontro con tutti. E’ l’esperienza di sentirsi famiglia, di sentirsi comunità. E’ l’esperienza di poter guardare il mondo in faccia, a testa alta! Senza la macchina, senza i soldi, ma a testa alta! La dignità!

Tre parole che adesso ripetiamo: ricchezza, perché ci è stata data; speranza, perché vogliamo aprirci alla speranza; dignità. Ripetiamo: ricchezza, speranza e dignità [ripetono]. La ricchezza che Dio ha dato a voi: voi siete la ricchezza del Messico; la speranza che vi dà Gesù Cristo; la dignità che vi dà il non lasciarvi “lisciare il pelo”, ed essere merce per il borsellino di altri.

Oggi il Signore continua a chiamarvi, continua a convocarvi, come fece con l’indio Juan Diego. Vi invita a costruire un santuario. Un santuario che non è un luogo fisico, bensì una comunità, un santuario chiamato parrocchia, un santuario chiamato Nazione. La comunità, la famiglia, il sentirci cittadini è uno dei principali antidoti contro tutto ciò che ci minaccia, perché ci fa sentire parte di questa grande famiglia di Dio. Non per rifugiarci, per chiuderci, per scappare dai pericoli della vita e dalle sfide; anzi, per uscire ad invitare altri, per uscire ad annunciare a tutti che essere giovani in Messico è la più grande ricchezza e pertanto non può essere sacrificata. E perché la ricchezza è capace di avere speranza e ci dà dignità. Un’altra volta le tre parole: ricchezza, speranza e dignità. Ma quella ricchezza che Dio ci ha dato e che dobbiamo far crescere.

Gesù, Colui che ci dà la speranza, mai ci inviterebbe ad essere sicari, ma ci chiama discepoli, ci chiama amici. Gesù mai ci manderebbe a morire, ma tutto in Lui è invito alla vita. Una vita in famiglia, una vita in comunità; una famiglia e una comunità a favore della società. E qui, Rosario, riprendo quello che tu hai detto, una cosa molto bella: “Nella famiglia si impara la vicinanza”. Si impara la solidarietà, si impara a condividere, a discernere, a portare avanti i problemi gli uni degli altri, a litigare e a mettersi d’accordo, a discutere e ad abbracciarsi e a baciarsi. La famiglia è la prima scuola della nazione, e nella famiglia c’è quella ricchezza che voi avete. La famiglia è quella che custodisce questa ricchezza, nella famiglia potete trovare speranza, perché c’è Gesù, e nella famiglia potete avere dignità. Mai, mai mettete da parte la famiglia! La famiglia è la pietra angolare della costruzione di una grande nazione. Voi siete ricchezza, avete speranza e sognate… – anche Rosario ha parlato di sognare –: voi sognate di avere una famiglia? [“Sì”].

Cari fratelli, voi siete la ricchezza di questo Paese, e quando dubitate di questo, guardate Gesù Cristo, che è la speranza, Colui che smentisce tutti i tentativi di rendervi inutili, o meri mercenari di ambizioni altrui.

Vi ringrazio per questo incontro, e vi chiedo di pregare per me. Grazie!



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[Alla fine dell’incontro:]

Vi invito a pregare insieme nostra Madre di Guadalupe, e a chiederle che ci renda consapevoli della ricchezza che Dio ci ha dato; che faccia crescere in noi, nel nostro cuore, la speranza in Gesù Cristo; e che camminiamo nella vita con dignità di cristiani.

[Recita dell’Ave Maria e Benedizione]

E per favore non dimenticatevi di pregare per me! Grazie.


Grande l’entusiasmo dei ragazzi che hanno cantato assieme al pontefice "Vive Jesus, el Senor”, facendo volare in aria migliaia di palloncini, sventolando bandiere e fazzoletti, e realizzando splendide coreografie. Verso la fine della cerimonia su una delle curve è apparso un mega striscione con disegnato una colomba.
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Un entusiasmo troppo travolgente... un giovane cercando di trattenerlo stava infatti per far cadere il Santo Padre che si è ritrovato praticamente addosso ad un ragazzo disabile di quelli in prima fila che stava salutando... "Non essere egoista!", così Papa Francesco ha rimproverato il ragazzo ...
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Un saluto dall'aereo per Città del Messico






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Vedi il nostro precedente post: (all'interno il link a quelli precedenti)



«Apri il tuo cuore alla misericordia!» Papa Francesco Udienza Generale 27/01/2016 (Foto, testo e video)

 24 febbraio 2016 

Tra le 20mila persone presenti oggi in piazza San Pietro, tornata ormai ai grandi numeri dopo il calo seguito agli attentati di Parigi, c’è anche un gruppo di maratoneti provenienti dal Mozambico: quindici in tutto, ma significativi della presenza africana agli appuntamenti del mercoledì con il Papa, che ha registrato tra le presenze dallo stesso Continente anche un piccolo gruppo di pellegrini del Gabon. Moltissime le bandiere variopinte che svettano oggi sotto il sole di un cielo terso: tra queste, quelle con la scritta “Brasil” verde in campo giallo e quelle dell’Argentina, biancoazzurre, una delle quali è stata anche gettata dai fedeli sulla jeep scoperta del Papa, arrivato puntuale come sempre alle 9.30 e accolto prima di tutto dai bambini che la solerte gendarmeria vaticana gli ha consegnato per essere baciati e accarezzati.
 

 


Misericordia e Potere

Cari fratelli e sorelle, buongiorno.

Proseguiamo le catechesi sulla misericordia nella Sacra Scrittura. In diversi passi si parla dei potenti, dei re, degli uomini che stanno “in alto”, e anche della loro arroganza e dei loro soprusi. La ricchezza e il potere sono realtà che possono essere buone e utili al bene comune, se messe al servizio dei poveri e di tutti, con giustizia e carità. Ma quando, come troppo spesso avviene, vengono vissute come privilegio, con egoismo e prepotenza, si trasformano in strumenti di corruzione e morte. È quanto accade nell’episodio della vigna di Nabot, descritto nel Primo Libro dei Re, al capitolo 21, su cui oggi ci soffermiamo.

In questo testo si racconta che il re d’Israele, Acab, vuole comprare la vigna di un uomo di nome Nabot, perché questa vigna confina con il palazzo reale. La proposta sembra legittima, persino generosa, ma in Israele le proprietà terriere erano considerate quasi inalienabili. Infatti il libro del Levitico prescrive: «Le terre non si potranno vendere per sempre, perché la terra è mia e voi siete presso di me come forestieri e ospiti» (Lv 25,23). La terra è sacra, perché è un dono del Signore, che come tale va custodito e conservato, in quanto segno della benedizione divina che passa di generazione in generazione e garanzia di dignità per tutti. Si comprende allora la risposta negativa di Nabot al re: «Mi guardi il Signore dal cederti l’eredità dei miei padri» (1 Re 21,3).

Il re Acab reagisce a questo rifiuto con amarezza e sdegno. Si sente offeso - lui è il re, il potente -, sminuito nella sua autorità di sovrano, e frustrato nella possibilità di soddisfare il suo desiderio di possesso. Vedendolo così abbattuto, sua moglie Gezabele, una regina pagana che aveva incrementato i culti idolatrici e faceva uccidere i profeti del Signore (cfr 1 Re 18,4), - non era brutta, era cattiva! - decide di intervenire. Le parole con cui si rivolge al re sono molto significative. Sentite la cattiveria che è dietro questa donna: «Tu eserciti così la potestà regale su Israele? Alzati, mangia e il tuo cuore gioisca. Te la farò avere io la vigna di Nabot di Izreel» (v. 7). Ella pone l’accento sul prestigio e sul potere del re, che, secondo il suo modo di vedere, viene messo in discussione dal rifiuto di Nabot. Un potere che lei invece considera assoluto, e per il quale ogni desiderio del re potente diventa un ordine. Il grande Sant’Ambrogio ha scritto un piccolo libro su questo episodio. Si chiama “Nabot”. Ci farà bene leggerlo in questo tempo di Quaresima. È molto bello, è molto concreto.

Gesù, ricordando queste cose, ci dice: «Voi sapete che i governanti delle nazioni dominano su di esse e i capi le opprimono. Tra voi non sarà così; ma chi vuole diventare grande tra voi, sarà vostro servitore e chi vuole essere il primo tra voi, sarà vostro schiavo» (Mt 20,25-27). Se si perde la dimensione del servizio, il potere si trasforma in arroganza e diventa dominio e sopraffazione. 
E’ proprio ciò che accade nell’episodio della vigna di Nabot. Gezabele, la regina, in modo spregiudicato, decide di eliminare Nabot e mette in opera il suo piano. Si serve delle apparenze menzognere di una legalità perversa: spedisce, a nome del re, delle lettere agli anziani e ai notabili della città ordinando che dei falsi testimoni accusino pubblicamente Nabot di avere maledetto Dio e il re, un crimine da punire con la morte. Così, morto Nabot, il re può impadronirsi della sua vigna. 
E questa non è una storia di altri tempi, è anche storia d’oggi, dei potenti che per avere più soldi sfruttano i poveri, sfruttano la gente. È la storia della tratta delle persone, del lavoro schiavo, della povera gente che lavora in nero e con il salario minimo per arricchire i potenti. È la storia dei politici corrotti che vogliono più e più e più! Per questo dicevo che ci farà bene leggere quel libro di Sant’Ambrogio su Nabot, perché è un libro di attualità.

Ecco dove porta l’esercizio di un’autorità senza rispetto per la vita, senza giustizia, senza misericordia. Ed ecco a cosa porta la sete di potere: diventa cupidigia che vuole possedere tutto. Un testo del profeta Isaia è particolarmente illuminante al riguardo. In esso, il Signore mette in guardia contro l’avidità i ricchi latifondisti che vogliono possedere sempre più case e terreni. E dice il profeta Isaia:

«Guai a voi, che aggiungete casa a casa
e unite campo a campo,
finché non vi sia più spazio,
e così restate soli 
ad abitare nel paese» (Is 5,8).

E il profeta Isaia non era comunista! Dio, però, è più grande della malvagità e dei giochi sporchi fatti dagli esseri umani. Nella sua misericordia invia il profeta Elia per aiutare Acab a convertirsi. Adesso voltiamo pagina, e come segue la storia? Dio vede questo crimine e bussa anche al cuore di Acab e il re, messo davanti al suo peccato, capisce, si umilia e chiede perdono. Che bello sarebbe se i potenti sfruttatori di oggi facessero lo stesso! Il Signore accetta il suo pentimento; tuttavia, un innocente è stato ucciso, e la colpa commessa avrà inevitabili conseguenze. Il male compiuto infatti lascia le sue tracce dolorose, e la storia degli uomini ne porta le ferite.

La misericordia mostra anche in questo caso la via maestra che deve essere perseguita. La misericordia può guarire le ferite e può cambiare la storia. Apri il tuo cuore alla misericordia! La misericordia divina è più forte del peccato degli uomini. È più forte, questo è l’esempio di Acab! Noi ne conosciamo il potere, quando ricordiamo la venuta dell’Innocente Figlio di Dio che si è fatto uomo per distruggere il male con il suo perdono. Gesù Cristo è il vero re, ma il suo potere è completamente diverso. Il suo trono è la croce. Lui non è un re che uccide, ma al contrario dà la vita. Il suo andare verso tutti, soprattutto i più deboli, sconfigge la solitudine e il destino di morte a cui conduce il peccato. Gesù Cristo con la sua vicinanza e tenerezza porta i peccatori nello spazio della grazia e del perdono. E questa è la misericordia di Dio
.
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Saluti:

...

Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. Sono lieto di salutare i Vescovi amici del Movimento dei Focolari, riuniti per l’annuale convegno, esortandoli a tenere sempre vivo nel ministero apostolico il carisma dell’unità, in comunione con il Successore di Pietro. ...

Auspico che tutti, in questo Anno Santo della misericordia, vivano ogni forma di potere come servizio per Dio e per i fratelli, con i criteri dell’amore alla giustizia e del servizio al bene comune.

Saluto infine i giovani, gli ammalati e gli sposi novelli. La Quaresima è un tempo favorevole per intensificare la vita spirituale: la pratica del digiuno vi sia di aiuto, cari giovani, per acquisire maggiore padronanza su voi stessi; la preghiera sia per voi, cari ammalati, il mezzo per affidare a Dio le vostre sofferenze e sentirlo sempre vicino; le opere di misericordia, infine, aiutino voi, cari sposi novelli, a vivere la vostra esistenza coniugale aprendola alle necessità dei fratelli.


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