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venerdì 11 marzo 2016

Un cantautore come Guccini, mons. Matteo Maria Zuppi, arcivescovo di Bologna e ragazzi di seconda media insieme sullo stesso treno, perché?


Un poeta ad Auschwitz (Adorno ha torto)
Guccini con il vescovo Zuppi ad Auschwitz
Ferdinando Camon

Venerdì avverrà un fatto che Theodor W. Adorno riteneva impossibile: un poeta (o cantante, che è lo stesso), che ha scritto una poesia (o una canzone, che è lo stesso) su Auschwitz, andrà a visitare Auschwitz. Si tratta di Francesco Guccini. Parte oggi in treno, da Milano, dal binario 21, quello da cui partivano i treni degli ebrei. Ci va insieme con un vescovo, Matteo Maria Zuppi che è padre nella Chiesa di Bologna, e con una classe di seconda media. Dunque, la poesia, la fede e l’innocenza entrano in Auschwitz. 

La domanda non è: 'Possono capirsi?', ma è: 'Possono accettarsi?'. Parlando di un incontro tra poesia e Auschwitz, Adorno lo definiva impossibile, tanto da scrivere: «Dopo Auschwitz, scrivere una poesia sarà un gesto di barbarie». A me la citazione fu fornita la prima volta da Franco Fortini, ebreo, con un’interpretazione che la rendeva accettabile, e cioè: dopo Auschwitz, tutto quello che facciamo noi umani, anzitutto scrivere poesie, non potrà più essere come prima, ma dovrà tener conto che c’è stato Auschwitz. Auschwitz cambia tutto. Cambia la storia, l’uomo, la parola. Andare ad Auschwitz significa andare nel centro da cui è partito il cambiamento, il punto dov’è morta la vecchia storia e da cui parte una nuova storia. Nessun uomo doveva uscire dal secolo scorso senza essere stato ad Auschwitz, e nessun italiano senza aver letto 'I sommersi e i salvati'. Io, cattolico, sono andato a parlare con Primo Levi, ebreo, per una breve conversazione, che ora esiste in francese, spagnolo, tedesco, inglese…, perché provavo verso Levi un senso di vergogna: andando da lui, andavo a Canossa. 

Critici italiani e stranieri m’han chiesto perché. Ho risposto: «Perché sono uomo». Quel che è avvenuto ad Auschwitz, l’han fatto gli uomini, e ogni uomo deve vergognarsene, per il semplice fatto di appartenere all’umanità. Auschwitz fu liberato dall’Armata Rossa. Quel giorno Primo Levi era ad Auschwitz 1, in cortile, stava seppellendo un amico, e vide arrivare sulla strada (che lì è più alta del campo) quattro soldati russi a cavallo, col mitra a tracolla: fermi, alti, guardavano il campo, pieno di cadaveri e di malati, senza dire una parola, bloccati da un senso di vergogna: loro non c’entravano niente con quell’abominio, ma non pensavano che l’umanità fosse capace di tanto, scoprivano che ne era stata capace, e se ne vergognavano. 

Oggi Guccini, e il vescovo di Bologna, e una seconda media, vanno nel luogo della vergogna umana. Il problema è Guccini, che ci va da cantautore. La maledizione di Adorno è contro di lui. Ha ragione Adorno? Ha torto Guccini? Guccini è un barbaro? Partendo, Guccini dice: «Non so cosa proverò». Non c’è mai stato prima d’ora. Ha scritto una canzone, che vive ancora, ma l’ha scritta sull’emozione di ciò che aveva letto. Ho qui quella canzone-poesia, ed è sulla base di queste parole che si può dire se il cantautore è un barbaro o un uomo. Come lo stesso Adorno si rendeva conto più tardi, 17 anni dopo, la poesia è parola, e la parola per l’uomo è insopprimibile, affermare che l’uomo, che vede l’orrore, non può parlare, è come affermare che l’uomo che patisce l’orrore non può urlare. In realtà, l’uomo che lo patisce non può fare altro, e il poeta che lo vede non può parlare d’altro. Se parla d’altro, è un barbaro, se parla di quello, è un uomo. Deve parlare di quello anche quando parla d’altro. 

La poesia-canzone di Guccini non è un urlo, è un pianto. Comincia così: «Son morto con altri cento / son morto ch’ero bambino / passato per il camino / e adesso sono nel vento / e adesso sono nel vento». La parola 'bambino' è tenue, la tragedia non ha bisogno di un bambino per essere una tragedia immane, e adesso Guccini lo capirà, vedendo. La canzone è poco tragica all’inizio, forse troppo poco, molto disperata alla fine, forse troppo. Ma quell’«essere nel vento», leitmotiv di tutta la canzone, è perfetto. Auschwitz-Birkenau è in pianura, il vento la spazza sempre. Lì son morti non a centinaia, ma a centinaia di migliaia. Nel vento li senti passarti accanto, così tanti che sono dappertutto. Se li senti una volta, li sentirai sempre. Loro vogliono che tu li senta, e lo dica a tutti. E quel che loro vogliono è giusto. Adorno ha torto. 
(fonte: Avvenire 10/3/2016)

A 50 anni dalla pubblicazione della sua celebre Auschwitz, Francesco Guccini per la prima volta va ad Auschwitz. Guccini viaggerà in treno verso Auschwitz insieme a monsignor Matteo Maria Zuppi, arcivescovo di Bologna, e alla classe 2B della scuola media "Salvo d'Acquisto" di Gaggio Montano, sull'Appennino bolognese.
Il loro viaggio comincerà il 10 marzo da Milano, sul "Treno per la Memoria" (organizzato da Cgil-Cisl-Uil Lombardia con l'Alto Patronato del Presidente della Repubblica). L'11 marzo Francesco Guccini e il vescovo di Bologna insieme agli alunni della scuola media visiteranno i campi di Auschwitz e Birkenau.
Sarà un viaggio di pensieri, parole, memorie, domande, racconti, riflessioni sulla tragedia e l'orrore dell'Olocausto.
Il viaggio sarà raccontato in un film documentario ideato e diretto da Francesco Conversano e Nene Grignaffini, prodotto dalla società di produzione Movie Movie di Bologna in collaborazione con la Regione Emilia-Romagna e con contributi da più parti.
(fonte: ANSA)


C’è sempre una prima volta nella vita. Francesco Guccini, 75 primavere all’anagrafe, prepara le valigie per il suo primo viaggio ad Auschwitz, il campo di concentramento che gli ispirò il capolavoro omonimo. «Ho sempre pensato di andarci, ma non è mai capitato per quelli che si dicono casi della vita. Non so cosa aspettarmi. Chi ci è andato mi ha raccontato di qualcosa che ti lascia un’impressione tremenda», annuncia con la sua r arrotata.
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Guccini riavvolge il nastro della memoria. L’ispirazione arrivò da un paio di letture sui crimini nazisti e sui racconti dei sopravvissuti: Il flagello della svasticadi Lord Russell e Tu passerai per il camino di Vincenzo Pappalettera. «Mio padre era stato in un campo di concentramento vicino ad Amburgo ma mi ha mai voluto dire nulla su quell’esperienza», ricorda. Era il 1964 e Guccini, ancora studente universitario, scrisse quelle strofe passate alla storia. Due anni dopo la canzone finì nelle mani dell’Equipe 84 che la registrò e la mise come lato B di «Bang Bang». «Siccome non ero iscritto alla Siae, non pensavo ancora che questa sarebbe diventata la mia professione, venne depositata a firma Lunero, lo pseudonimo di Iller Pattacini, per la musica e Maurizio Vandelli per il testo»
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Il cantautore se ne reimpossessò subito artisticamente. Nel febbraio del 1967 inserì la sua versione folk, con il titolo «La canzone del bambino nel vento (Auschwitz)», nell’album di debutto «Folk Beat N.1». E la presentò per la prima volta in tv. «La cantai a “Diamoci del tu”, programma della Caselli e Gaber. Avevo capito sin da subito la forza del brano, ma ricevere in quell’occasione i complimenti di Arnoldo Foà, che aveva origini ebraiche, fu importante». Il testo di Guccini era leggermente diverso da quello dell’Equipe. «Io avevo un finale di speranza e domandavo “quando sarà che l’uomo potrà imparare a vivere senza ammazzare”. Loro avevano scelto parole più dure con quel “io non credo che l’uomo potrà imparare a vivere senza ammazzare”». Non se l’era presa. «Forse l’emozione di sentire per la prima volta un mio pezzo in un disco non me lo aveva fatto sottolineare». Per tornare in possesso della paternità legale ci è voluto di più: «Una lunga storia chiusa nel 1998», glissa signorilmente...

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