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martedì 12 aprile 2016

La chiesa non condanna il peccatore di Enzo Bianchi


Ritengo sia lo stile e l'impianto generale l'aspetto più importante nel valutare a caldo un testo di duecentocinquanta pagine riguardo al quale molti, nell'opinione pubblica dentro e fuori la chiesa, parevano interessati solo alla presenza o meno di poche righe su un paio di problematiche specifiche. Ed è anche l'aspetto più originale per un documento papale, come già ci aveva abituato papa Francesco con la Evangelii gaudium e la Laudato si'. Frutto dell'ascolto e del discernimento da parte del papa dei dibattiti e dei testi emersi da due sinodi dei vescovi che hanno ritrovato la loro natura di dialogo franco e fraterno, l'esortazione “sull'amore nella famiglia” riprende e approfondisce il paziente lavoro, proprio dei pastori.

“È comprensibile – annota papa Francesco – che non ci si dovesse aspettare dal sinodo o da questa esortazione una nuova normativa generale di tipo canonico applicabile a tutti i casi” ma, piuttosto, “un nuovo incoraggiamento a un responsabile discernimento personale e pastorale dei casi particolari” (§ 300). Così essa appare come il primo documento del magistero papale rivolto alla chiesa universale presente ovunque nel mondo che non consegna un messaggio globalizzato, ma che tiene conto delle diversità delle aree culturali e della complessità degli itinerari di umanizzazione percorsi dai popoli. Il messaggio del vangelo richiede sempre di essere inculturato, come lo è stato già nei primi secoli: la chiesa nell'annunciarlo deve quindi essere attenta alle tradizioni, alle sfide, alle crisi presenti nei diversi luoghi. Non ci sono infatti solo “segni dei tempi”, ma anche “segni dei luoghi” da discernere con sapienza e impegno, perché in ogni cultura e nel suo evolversi sempre permangono dei semina verbi, la parola di Dio a livello di seme.

In quest'aria nuova, che si arricchisce di contributi provenienti dall'intera cattolicità, due convinzioni evangeliche sembrano orientare l'intera riflessione: il primo è che non ci sono cristiani “irregolari” e cristiani cosiddetti “giusti”, ma che tutti sono chiamati costantemente a convertirsi e a ritornare al loro Signore. L'altro è che “nessuno può essere condannato per sempre, perché questa non è la logica del Vangelo!” (§ 297). Ecco il cuore ardente che dovrebbe irrorare tutte le considerazioni di fronte all'avventura del matrimonio, alla realtà non sempre riuscita delle storie d'amore e della vita familiare e, più in generale, della vita umana e cristiana: “la logica del Vangelo”. Le diverse situazioni, le singole persone, le stagioni culturali e i segni dei tempi, le sofferenze e gli errori, le fatiche e le incomprensioni, ma anche gli slanci generosi e la paziente fedeltà quotidiana, tutto dovrebbe essere riletto secondo “la logica del Vangelo”.

È in questa ottica che papa Francesco chiede alla chiesa tutta di avere lo sguardo di Gesù anche sulle diverse situazioni dette “irregolari” (termine che non piace al papa) o non conformi alla volontà di Dio: uno sguardo che non condanna in modo definitivo perché solo il Signore potrà giudicare nel giorno della sua venuta il peso delle responsabilità di ciascuno e la sua colpevolezza. La chiesa non è autorizzata neppure a dichiarare qualcuno “in stato di peccato mortale”, privo della grazia di Dio che può santificare anche chi oggettivamente vive una situazione contraddittoria al vangelo. Sì, come Gesù così la chiesa giudica il peccato, condanna il peccato ma non condanna e non giudica in modo definitivo il peccatore. Ogni persona che pecca resta più grande del peccato commesso.

Allora il capitolo ottavo, che tenta di leggere le diverse contraddizioni – presenti nel mondo e nella vita cristiana stessa – al disegno divino sul matrimonio, offre novità di accenti ai quali il popolo cristiano non è abituato. Nella consapevolezza che tutti, anche i cristiani, restano peccatori per tutta la vita perché “non è il bene che vogliono fare che fanno, bensì il male che non vogliono” (come confessa per sé san Paolo nella Lettera ai Romani) la chiesa non può far altro che annunciare la misericordia, non a basso prezzo, non svuotando la grazia, ma operando un discernimento e aiutando i cristiani a fare essi stessi discernimento attraverso la loro coscienza. Va riconosciuto: mai in nessun documento magisteriale si era giunti a evidenziare in modo così chiaro il ruolo della coscienza, una coscienza formata, che sa ascoltare la parola di Dio e i fratelli, ma una coscienza che è istanza centrale e ultima, patrimonio di ciascuno come luogo della verità cercata sinceramente. In questa prospettiva cade ogni muro tra giusti e ingiusti, tra peccatori manifesti e peccatori nascosti, e tutti stiamo come disobbedienti sotto il giudizio di Dio. E da questa operazione di discernimento, compiuta in modo serio, impegnato, ecclesiale, si potrà anche in casi personali particolari valutare l'eucaristia come alimento per i deboli, mendicanti dell'amore di Dio, e non premio per i giusti.

Questo e non altro mi sembra vogliano dire le ponderate e sapienti parole usate da papa Francesco per ricordare la logica del vangelo e per narrare una sollecitudine che è quella di Gesù verso i suoi discepoli, tutti “duri di cuore e lenti a credere”, tutti bisognosi di una misericordia più grande del loro pensare umano, più equa di ogni giustizia, più feconda di ogni rigidità.

In modo sintetico e lapidario potremmo affermare che con questa esortazione papa Francesco ha reso “gioiosa notizia”, evangelo, la coppia, la sessualità, il matrimonio, la famiglia e la fedeltà. Chi temeva che il papa cambiasse la dottrina o contraddicesse la grande tradizione cattolica e ha diffidato del suo magistero e dei sinodi, deve ricredersi radicalmente. Quello che è mutato, infatti, è lo sguardo della chiesa: è caduta ogni visione cinica e angosciata della sessualità e l'annuncio dell'amore tra uomo e donna ha ripreso il suo splendore di verità senza abbagliare.
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