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martedì 8 novembre 2016

Giubileo carcerati - "Non esiste luogo nel nostro cuore che non possa essere raggiunto dall’amore di Dio" Omelia - Angelus - Appello per il pieno rispetto della dignità umana dei detenuti (testi e video)

 GIUBILEO DEI CARCERATI 
 6 novembre 2016



Sabato 5 novembre i circa mille detenuti che stanno partecipando a questo momento giubilare, dalle 15 alle 17, hanno visitato le chiese giubilari del centro storico della Capitale: San Salvatore in Lauro, Santa Maria in Vallicella (Chiesa Nuova), San Giovanni Battista dei Fiorentini. Durante la sosta a questi luoghi di culto i detenuti hanno partecipato all’adorazione eucaristica e hanno potuto accostarsi al sacramento della Riconciliazione. Poi si è svolto il pellegrinaggio verso la Porta Santa in San Pietro.
Domenica 6 novembre il Giubileo dei carcerati ha vissuto il suo momento centrale nella Basilica di San Pietro. Alle 9 ci sono state le testimonianze di alcuni reclusi. A seguire il Rosario in preparazione alla Messa. Poi alle 10 l’Eucaristia presieduta da papa Francesco (tra i concelebranti i cappellani di alcuni penitenziari). Successivamente i detenuti accompagnati dai loro familiari hanno assistito alle 12 alla preghiera dell’Angelus in piazza San Pietro. 
Il Papa entra in una Basilica commossa, ci sono carcerati, ex-detenuti, famigliari, operatori, cappellani e agenti della polizia penitenziaria. Gli occhi di molti diventano lucidi, c’è chi porta le mani al volto, chi le ha giunte e prega. In tutti risuonano le parole perdono e speranza. E il Santo Padre, nella sua omelia ripercorrendo la liturgia del giorno, parte proprio dalla “speranza che non delude” che poggia in Dio le sue radici. Francesco abbraccia nella gioia del Giubileo tutta l’assemblea: “Cari detenuti, è il giorno del vostro Giubileo! Che oggi, dinanzi al Signore, la vostra speranza sia accesa. Il Giubileo, per sua stessa natura, porta con sé l’annuncio della liberazione”.


 Omelia 

Il messaggio che la Parola di Dio oggi vuole comunicarci è certamente quello della speranza, di quella speranza che non delude.

Uno dei sette fratelli condannati a morte dal re Antioco Epifane dice: «Da Dio si ha la speranza di essere di nuovo da lui risuscitati» (2 Mac 7,14). Queste parole manifestano la fede di quei martiri che, nonostante le sofferenze e le torture, hanno la forza di guardare oltre. Una fede che, mentre riconosce in Dio la sorgente della speranza, mostra il desiderio di raggiungere una vita nuova.

Allo stesso modo, nel Vangelo, abbiamo ascoltato come Gesù con una semplice risposta, ma perfetta, cancelli tutta la banale casistica che i sadducei gli avevano sottoposto. La sua espressione: «Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui» (Lc 20,38), rivela il vero volto del Padre, che desidera solo la vita di tutti i suoi figli. La speranza di rinascere a una vita nuova, quindi, è quanto siamo chiamati a fare nostro per essere fedeli all’insegnamento di Gesù.

La speranza è dono di Dio. Dobbiamo chiederla. Essa è posta nel più profondo del cuore di ogni persona perché possa rischiarare con la sua luce il presente, spesso turbato e offuscato da tante situazioni che portano tristezza e dolore. Abbiamo bisogno di rendere sempre più salde le radici della nostra speranza, perché possano portare frutto. In primo luogo, la certezza della presenza e della compassione di Dio, nonostante il male che abbiamo compiuto. Non esiste luogo nel nostro cuore che non possa essere raggiunto dall’amore di Dio. Dove c’è una persona che ha sbagliato, là si fa ancora più presente la misericordia del Padre, per suscitare pentimento, perdono, riconciliazione, pace.

Oggi celebriamo il Giubileo della Misericordia per voi e con voi, fratelli e sorelle carcerati. Ed è con questa espressione dell’amore di Dio, la misericordia, che sentiamo il bisogno di confrontarci. Certo, il mancato rispetto della legge ha meritato la condanna; e la privazione della libertà è la forma più pesante della pena che si sconta, perché tocca la persona nel suo nucleo più intimo. Eppure, la speranza non può venire meno. Una cosa, infatti, è ciò che meritiamo per il male compiuto; altra cosa, invece, è il “respiro” della speranza, che non può essere soffocato da niente e da nessuno. Il nostro cuore sempre spera il bene; ne siamo debitori alla misericordia con la quale Dio ci viene incontro senza mai abbandonarci (cfr Agostino, Sermo 254, 1).

Nella Lettera ai Romani, l’apostolo Paolo parla di Dio come del «Dio della speranza» (Rm 15,13). E’ come se volesse dire anche a noi: “Dio spera”; e per paradossale che possa sembrare, è proprio così: Dio spera! La sua misericordia non lo lascia tranquillo. È come quel Padre della parabola, che spera sempre nel ritorno del figlio che ha sbagliato (cfr Lc 15,11-32). Non esiste tregua né riposo per Dio fino a quando non ha ritrovato la pecora che si era perduta (cfr Lc 15,5). Se dunque Dio spera, allora la speranza non può essere tolta a nessuno, perché è la forza per andare avanti; è la tensione verso il futuro per trasformare la vita; è una spinta verso il domani, perché l’amore con cui, nonostante tutto, siamo amati, possa diventare nuovo cammino… Insomma, la speranza è la prova interiore della forza della misericordia di Dio, che chiede di guardare avanti e di vincere, con la fede e l’abbandono in Lui, l’attrattiva verso il male e il peccato.

Cari detenuti, è il giorno del vostro Giubileo! Che oggi, dinanzi al Signore, la vostra speranza sia accesa. Il Giubileo, per la sua stessa natura, porta con sé l’annuncio della liberazione (cfr Lv 25,39-46). Non dipende da me poterla concedere, ma suscitare in ognuno di voi il desiderio della vera libertà è un compito a cui la Chiesa non può rinunciare. A volte, una certa ipocrisia spinge a vedere in voi solo delle persone che hanno sbagliato, per le quali l’unica via è quella del carcere. Io vi dico: ogni volta che entro in un carcere mi domando: “Perché loro e non io?”. Tutti abbiamo la possibilità di sbagliare: tutti. In una maniera o nell’altra abbiamo sbagliato. E l’ipocrisia fa sì che non si pensi alla possibilità di cambiare vita: c’è poca fiducia nella riabilitazione, nel reinserimento nella società. Ma in questo modo si dimentica che tutti siamo peccatori e, spesso, siamo anche prigionieri senza rendercene conto. Quando si rimane chiusi nei propri pregiudizi, o si è schiavi degli idoli di un falso benessere, quando ci si muove dentro schemi ideologici o si assolutizzano leggi di mercato che schiacciano le persone, in realtà non si fa altro che stare tra le strette pareti della cella dell’individualismo e dell’autosufficienza, privati della verità che genera la libertà. E puntare il dito contro qualcuno che ha sbagliato non può diventare un alibi per nascondere le proprie contraddizioni.

Sappiamo infatti che nessuno davanti a Dio può considerarsi giusto (cfr Rm 2,1-11). Ma nessuno può vivere senza la certezza di trovare il perdono! Il ladro pentito, crocifisso insieme a Gesù, lo ha accompagnato in paradiso (cfr Lc 23,43). Nessuno di voi, pertanto, si rinchiuda nel passato! Certo, la storia passata, anche se lo volessimo, non può essere riscritta. Ma la storia che inizia oggi, e che guarda al futuro, è ancora tutta da scrivere, con la grazia di Dio e con la vostra personale responsabilità. Imparando dagli sbagli del passato, si può aprire un nuovo capitolo della vita. Non cadiamo nella tentazione di pensare di non poter essere perdonati. Qualunque cosa, piccola o grande, il cuore ci rimproveri, «Dio è più grande del nostro cuore» (1 Gv 3,20): dobbiamo solo affidarci alla sua misericordia.

La fede, anche se piccola come un granello di senape, è in grado di spostare le montagne (cfr Mt 17,20). Quante volte la forza della fede ha permesso di pronunciare la parola perdono in condizioni umanamente impossibili! Persone che hanno patito violenze o soprusi su loro stesse o sui propri cari o i propri beni… Solo la forza di Dio, la misericordia, può guarire certe ferite. E dove alla violenza si risponde con il perdono, là anche il cuore di chi ha sbagliato può essere vinto dall’amore che sconfigge ogni forma di male. E così, tra le vittime e tra i colpevoli, Dio suscita autentici testimoni e operatori di misericordia.

Oggi veneriamo la Vergine Maria in questa statua che la raffigura come Madre che tiene tra le braccia Gesù con una catena spezzata, la catena della schiavitù e della prigionia. Ella rivolga su ciascuno di voi il suo sguardo materno; faccia sgorgare dal vostro cuore la forza della speranza per una vita nuova e degna di essere vissuta nella piena libertà e nel servizio al prossimo.

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 Angelus 

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

A pochi giorni di distanza dalla solennità di Tutti i Santi e dalla Commemorazione dei fedeli defunti, la Liturgia di questa domenica ci invita ancora a riflettere sul mistero della risurrezione dei morti. Il Vangelo (cfr Lc 20,27-38) presenta Gesù a confronto con alcuni sadducei, i quali non credevano nella risurrezione e concepivano il rapporto con Dio solo nella dimensione della vita terrena. E quindi, per mettere in ridicolo la risurrezione e in difficoltà Gesù, gli sottopongono un caso paradossale e assurdo: una donna che ha avuto sette mariti, tutti fratelli tra loro, i quali uno dopo l’altro sono morti. Ed ecco allora la domanda maliziosa rivolta a Gesù: quella donna, nella risurrezione, di chi sarà moglie (v. 33)?

Gesù non cade nel tranello e ribadisce la verità della risurrezione, spiegando che l’esistenza dopo la morte sarà diversa da quella sulla terra. Egli fa capire ai suoi interlocutori che non è possibile applicare le categorie di questo mondo alle realtà che vanno oltre e sono più grandi di ciò che vediamo in questa vita. Dice infatti: «I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; ma quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non prendono né moglie né marito» (vv. 34-35). Con queste parole, Gesù intende spiegare che in questo mondo viviamo di realtà provvisorie, che finiscono; invece nell’aldilà, dopo la risurrezione, non avremo più la morte come orizzonte e vivremo tutto, anche i legami umani, nella dimensione di Dio, in maniera trasfigurata. Anche il matrimonio, segno e strumento dell’amore di Dio in questo mondo, risplenderà trasformato in piena luce nella comunione gloriosa dei santi in Paradiso.

I “figli del cielo e della risurrezione” non sono pochi privilegiati, ma sono tutti gli uomini e tutte le donne, perché la salvezza portata da Gesù è per ognuno di noi. E la vita dei risorti sarà simile a quella degli angeli (cfr v. 36), cioè tutta immersa nella luce di Dio, tutta dedicata alla sua lode, in un’eternità piena di gioia e di pace. Ma attenzione! La risurrezione non è solo il fatto di risorgere dopo la morte, ma è un nuovo genere di vita che già sperimentiamo nell’oggi; è la vittoria sul nulla che già possiamo pregustare. La risurrezione è il fondamento della fede e della speranza cristiana! Se non ci fosse il riferimento al Paradiso e alla vita eterna, il cristianesimo si ridurrebbe a un’etica, a una filosofia di vita. Invece il messaggio della fede cristiana viene dal cielo, è rivelato da Dio e va oltre questo mondo. Credere alla risurrezione è essenziale, affinché ogni nostro atto di amore cristiano non sia effimero e fine a se stesso, ma diventi un seme destinato a sbocciare nel giardino di Dio, e produrre frutti di vita eterna.

La Vergine Maria, regina del cielo e della terra, ci confermi nella speranza della risurrezione e ci aiuti a far fruttificare in opere buone la parola del suo Figlio seminata nei nostri cuori.

Dopo l'Angelus:

Cari fratelli e sorelle,

in occasione dell’odierno Giubileo dei carcerati, vorrei rivolgere un appello in favore del miglioramento delle condizioni di vita nelle carceri in tutto il mondo, affinché sia rispettata pienamente la dignità umana dei detenuti. Inoltre, desidero ribadire l’importanza di riflettere sulla necessità di una giustizia penale che non sia esclusivamente punitiva, ma aperta alla speranza e alla prospettiva di reinserire il reo nella società. In modo speciale, sottopongo alla considerazione delle competenti Autorità civili di ogni Paese la possibilità di compiere, in questo Anno Santo della Misericordia, un atto di clemenza verso quei carcerati che si riterranno idonei a beneficiare di tale provvedimento.

Due giorni fa è entrato in vigore l’Accordo di Parigi sul clima del Pianeta. Questo importante passo avanti dimostra che l’umanità ha la capacità di collaborare per la salvaguardia del creato (cfr Laudato si’, 13), per porre l’economia al servizio delle persone e per costruire la pace e la giustizia. Domani, poi, comincerà a Marrakech, in Marocco, la nuova sessione della Conferenza sul clima, finalizzata, tra l’altro, all’attuazione di tale Accordo. Auspico che tutto questo processo sia guidato dalla coscienza della nostra responsabilità per la cura della casa comune.

Ieri a Scutari, in Albania, sono stati proclamati Beati trentotto martiri: due vescovi, numerosi sacerdoti e religiosi, un seminarista e alcuni laici, vittime della durissima persecuzione del regime ateo che dominò a lungo in quel Paese nel secolo scorso. Essi preferirono subire il carcere, le torture e infine la morte, pur di rimanere fedeli a Cristo e alla Chiesa. Il loro esempio ci aiuti a trovare nel Signore la forza che sostiene nei momenti di difficoltà e che ispira atteggiamenti di bontà, di perdono e di pace.

Saluto tutti voi pellegrini, venuti da diversi Paesi...

A tutti auguro una buona domenica. Per favore, non dimenticatevi di pregare per me. Buon pranzo e arrivederci!


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