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lunedì 28 novembre 2016

Partecipare alla mensa di Enzo Bianchi

Partecipare alla mensa 
di Enzo Bianchi 

pubblicato su Jesus - 
Rubrica "La bisaccia del mendicante" 
Novembre 2016

Uno dei temi più incandescenti nell’attuale dibattito ecclesiale è quello riguardante chi possa prendere parte alla tavola eucaristica. Non si dimentichi che l’attuale disciplina cattolica è rigorosa: né i non cattolici, se non in casi particolari, né quelli che vivono contraddizioni pubbliche al Vangelo possono parteciparvi. Da questa norma si ricava l’esclusione di chi vive nel peccato e si ricorda che già Paolo ammoniva i cristiani di Corinto a vigilare sulla loro celebrazione eucaristica, perché se non sapevano discernere il corpo di Cristo avrebbero mangiato e bevuto la propria condanna (cf. 1Cor 11,28-29). Questa istanza va presa sul serio e non può essere misconosciuta: per l’Apostolo chi non discerne il corpo del Signore nei poveri, nelle membra del corpo di Cristo, non mangia la cena del Signore, disprezza la chiesa di Dio e fa arrossire i poveri.

Ma l’esortazione di Paolo non va intesa nel senso di un divieto rivolto a chi è indegno moralmente, perché tutti i cristiani sono e restano peccatori, anche quando si accostano all’eucaristia. Non si tratta di una dignità che dipende dall’essere irreprensibili, ma di un discernimento (diákrisis) del corpo del Signore nella realtà quotidiana. Chi va alla cena del Signore, si sente indegno fino all’ultimo momento (“Signore, non sono degno di partecipare alla tua tavola…”), vi si accosta come un peccatore che confida nella misericordia di Dio che sempre lo perdona, è convinto che l’eucaristia non sia un premio per chi è virtuoso, per i buoni, ma un sostegno per i deboli e un viatico per i peccatori (come ha affermato già Benedetto XVI prima di Francesco). Al riguardo, non possiamo dimenticare che la tavola del Signore, inaugurata da Gesù nell’ultima cena prima della sua passione e morte, annoverava dei commensali non certo degni: vi partecipavano Giuda, che l’aveva tradito; Pietro, che l’avrebbe rinnegato poco dopo; gli altri apostoli che, consapevoli dell’ora di Gesù, discutevano tra loro su chi fosse il più grande e che, per paura, l’avrebbero tutti abbandonato per fuggire. Come Gesù non aveva disdegnato di sedere alla tavola dei peccatori, così la sua tavola non è stata esclusiva ma luogo di accoglienza di tutti, degni e indegni, luogo di inclusione in vista della comunione nella quale la santità del Signore Gesù incontra il peccato dei discepoli e si diffonde in loro, perdonandoli e purificandoli. Per questo offre loro il calice del suo sangue versato proprio per loro (“per voi”, dice esplicitamente!) e per le moltitudini in remissione dei peccati.

Del resto, questa è la coscienza della grande tradizione della chiesa indivisa, come mostra il dialogo tra il presbitero e il popolo che nella liturgia bizantina precede la comunione eucaristica: “Le cose sante sono per i santi”; “Uno solo è santo, uno solo il Signore, Gesù Cristo a gloria di Dio Padre”. Ciascuno va a lui nel proprio peccato, come un mendicante bisognoso di essere santificato dalla sua santità! Fanno eco due testimonianze patristiche, tra le innumerevoli che si potrebbero citare, una orientale e una occidentale: “Non astenetevi dalla comunione ai santi misteri, non privatevi dell’eucaristia per esservi macchiati del peccato” (Cirillo di Gerusalemme, Catechesi mistagogiche V,23). “Ogni volta che tu bevi al calice, ricevi la remissione dei peccati e ti inebri di Spirito” (Ambrogio di Milano, I sacramenti V,3,17).
(Fonte: dal sito di Bose)