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sabato 26 novembre 2016

"Vivere l'Avvento" di Goffredo Boselli, monaco di Bose



Vivere l'Avvento
di Goffredo Boselli 
monaco di Bose





“Vegliate!” è la parola del Signore che fa avvenire l’Avvento, lo fa essere, lo fa cominciare ancora una volta, creando al tempo stesso la venuta e l’attesa. Ci sono parole, come questa, che quando risuonano hanno la capacità dar vita a un mondo, disegnare orizzonti, rievocare immagini e sentimenti, ma anche paure e speranze.

“Vegliate” risuona nel momento stesso in cui attorno a noi la natura, sfinita per i frutti, si addormenta nel sonno dell’inverno e le giornate vedono diminuire la luce e crescere la notte. Non a caso è in questi giorni che la Chiesa inizia la liturgia dell’Avvento, i giorni più bui dell’anno e dunque giorni del lungo vegliare. Questi sono i giorni nei quali la luce è desiderata e invocata più che mai, fino a Natale che, tradizionalmente, è il giorno nel quale il sole e la sua luce tornano a vincere le tenebre.

La nostra vita umana e spirituale, con i suoi tempi e la sue stagioni, con il suo ritmo quotidiano così ripetitivo e uniforme, in realtà forma un tutt’uno con il ritmo della natura. Ritmo umano e ritmo cosmico, ritmo dello spirito e ritmo della terra sono una cosa sola, a dire che la natura non è il fondale dei nostri giorni, la natura non vive solo attorno a noi ma vive con noi fino a vivere in noi. L’Avvento è tempo liturgico perché è iscritto nel libro della natura tanto quanto è scritto nel libro liturgico. Riconoscere l’Avvento in tutto ciò in cui c’è un alito di vita, significa comprendere che in ogni cosa c’è un’attesa, ogni essere contiene in sé un avvenire, ogni vivente attende una venuta. In tutto questo si iscrive l’attesa di noi cristiani che invochiamo il Veniente, facendosi voce di ogni creatura: “Marana tha! Vieni, Signore Gesù!”. Umani, animali, creature animate e inanimate, tutto e tutti attendiamo, tutto e tutti gemiamo nell’attesa. Niente e nessuno è privo di attesa.

Per questo, entrare nello spirito dell’Avvento non significa semplicemente entrare in chiesa per compiere riti secolari, ascoltare letture bibliche e preghiere antiche, ma molto più in profondità significa accedere a una dimensione dello spirito che ci appartiene. Non c’è vita piena là dove non c’è capacità e volontà di vegliare.

Vegliare significa prendersi cura

“Vegliate!”, ci comanda il Signore. L’esatto contrario della vigilanza è la noncuranza. L’Avvento è il tempo dell’uomo e della donna che lottano contro lo spirito della noncuranza che si manifesta in tanti e diversi modi. Si manifesta come indifferenza e insensibilità verso le persone, come superficialità nei rapporti, disinteresse verso le situazioni e i momenti, inconsapevolezza del peso delle parole e dal valore del linguaggio, incuria degli oggetti, trascuratezza dei luoghi. La noncuranza prende la forma della dimenticanza, della mediocrità assunta a canone, della trascuratezza, che a lungo andare amareggiano la vita propria e quelle altrui. La negligenza, le piccole e reiterate omissioni poco a poco erodono il desiderio fino ad annientarlo. La noncuranza è di chi ha un smisurato amore per sé. Esistere solo per sé stessi porta a non vedere l’altro, non riconoscerlo per quello che è, condannarlo all’irrilevanza fino a toglierli la vita senza ucciderlo. Come credente, come posso attendere il Signore se non mi accorgo di chi mi vive accanto?

Vegliare significa opporsi tenacemente all’incuria esercitando il desiderio di vedere volti e ascoltare voci finanche di animali e di cose. Veglia e attende colui che ha cura e interessamento per tutti e tutto. Aver cura significa riconoscere il valore di ogni singola persona e di ciascuna relazione. Vuol dire riservare grande attenzione alla singola parola, al gesto più semplice e quotidiano, parole e gesti che giorno dopo giorno fanno una vita. Veglia chi dichiara che nulla e nessuno gli estraneo, e rinuncia a dire: “Non mi interessa”.

“Vegliate!”, ci comanda il Signore. Ma si può anche fingere di vegliare. Simulare la vigilanza è ipocrisia: all’esterno mostrarsi vigilante ma dentro dormire. L’esatto contrario della vigilanza è l’ipocrisia, la falsità, l’insincerità, la finzione e la doppiezza. Colui che veglia è l’opposto dell’ipocrita perché per vegliare occorre essere tutto lì dove si è senza escludere nulla di sé. L’attitudine interiore della vigilanza domanda l’interezza e non la doppiezza.

I comportamenti personali diventano comportamenti sociali e prendono il nome di conformismo, perbenismo, moralismo. Demandare ad altri è l’esatto contrario del vigilare. Non vigilare è delegare invece di assumere in prima persona la responsabilità, la scelta, l’onere. Per essere vigilanti è necessario essere liberi da sé stessi e dal giudizio degli altri. Infatti, l’opposto dell’ipocrisia è la libertà. “Il tuo volto Signore, io cerco, non nascondermi il tuo volto” (Sal 27,8-9), come si può pregare dicendo di cercare il volto del Signore quando ci si nasconde il proprio vero volto agli altri?

Consentire al futuro di entrare in noi

“Vegliate!”, questa parola del Signore contiene in sé tutta l’intensità di un imperativo. Gesù non fa una semplice esortazione, ma dà ai suoi discepoli e a noi un comando, e dice: “Fino al mio ritorno il vostro modo di essere credenti e il vostro modo di stare nel mondo sia un vegliare, sia un’attendermi nella notte”.
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