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giovedì 1 dicembre 2016

Ricordando Charles de Foucauld... il «fratello universale»


Charles de Foucauld, il «fratello» di tutti

A cento anni dalla sua morte, avvenuta il 1° dicembre 1916 nel deserto algerino di Tamanrasset, il beato Charles de Foucauld ha ancora un messaggio attualissimo da comunicare: «Anzitutto, il fulcro del suo carisma, che è la vita quotidiana di Nazaret come testimonianza del Vangelo nella semplicità, nell’impegno del lavoro, mantenendo sempre al centro l’umanità che ci lega gli uni agli altri, perché siamo tutti fratelli», ricorda padre Andrea Mandonico, 61 anni, della Società delle Missioni africane, istituto missionario nato nel 1856 a Lione.

Dal 2012 è vicepostulatore della causa di canonizzazione di frère Charles, a cui lo lega una profonda sintonia: «Mentre frequentavo il liceo in Seminario a Crema, un compagno mi passò un libretto su di lui. Rimasi colpito: la sua esperienza mi suggeriva come vivere la fede. Su di lui è incentrata la mia tesi di dottorato in teologia spirituale». Il secondo aspetto del beato che parla agli uomini e alle donne del terzo millennio «è la vicinanza al prossimo.

Amare Dio e il prossimo sono due aspetti inscindibili. Lui si è fatto vicino al popolo tuareg in Algeria, emarginato e povero, e suggerisce a noi oggi una vicinanza agli ultimi per vedere in loro la presenza di Gesù e in chiunque si affaccia alla nostra porta la presenza di Gesù. Fra l’altro, anche i musulmani vivono la regola dell’elemosina e dell’amore al povero». In terzo luogo, Charles de Foucauld «ci ha lasciato l’eredità del dialogo: è stato un uomo che ha dialogato con tutti, perché il dialogo smonta i pregiudizi reciproci e avvicina fino a trasformarsi in amicizia per vivere la fraternità.

Lui l’ha vissuto fino alle estreme conseguenze: venne ucciso in una razzia. Ma era convinto dell’urgenza di stringere rapporti di fraternità e vincere la paura che ci separa gli uni dagli altri». Il bisogno di dialogo e amicizia emerge costantemente anche nelle oltre 7mila lettere (pubblicate quasi tutte in francese, non in italiano) scritte dal Beato Charles, che voleva essere «fratello universale e vivere in amicizia con tutti: giudei cristiani e musulmani», rimarca padre Mandonico, che sta tenendo per il secondo anno consecutivo un seminario su de Foucauld al Centro studi dialogo interreligioso della Pontificia Università Gregoriana, sul tema “Cristianesimo e islam: una fraternità possibile?”.

A dare il via libera alla beatificazione, il 13 novembre 2005, la guarigione inspiegabile della signora Giovanna Pulici, originaria di Desio. «Aveva un tumore osseo in fase terminale, alla fine degli anni Settanta. Curata a Milano, fu mandata a casa dai medici perché non c’era più nulla da fare. Il marito, grande devoto di frère Charles, gli disse: “Pensaci tu”. La donna guarì improvvisamente, il giorno di Pasqua era in chiesa a ringraziare il Signore con sua famiglia». Molti anni dopo, nel 2000, il marito con le figlie era a Roma per l’Anno Santo: «Ha visto passare una piccola sorella di Gesù per strada e l’ha fermata chiedendole: “Quando vedremo fratel Carlo canonizzato?”. Lei rispose che ancora non era beato, perché per far andare avanti la causa occorreva la certificazione di un miracolo. E lui: “Il miracolo ce l’ho io”».

Lo stesso padre Andrea è stato impegnato nella raccolta della testimonianza, del dossier medico di Giovanna e della sua cartella clinica. E riferisce che proprio in occasione del centenario della morte di frère Charles «dalla Francia alcuni vescovi hanno inviato al Santo Padre lettere per chiedergli la canonizzazione anche senza un secondo miracolo, per la fama di santità». Oggi circa 20 associazioni e congregazioni fanno parte della famiglia spirituale del beato e si ispirano al suo carisma.

Giovedì 1° dicembre ricorre il centenario della morte del beato Charles de Foucauld, figura primaria della spiritualità cristiana recente, un uomo che – ha detto Papa Francesco – «forse come pochi altri, ha intuito la portata della spiritualità che emana da Nazaret»; un uomo il cui carisma – ha osservato il teologo Pierangelo Sequeri – «fu donato e destinato, in anticipo, per questo tempo della Chiesa». 

L’ufficiale, l’esploratore 
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«Mio Dio, fa che io Ti conosca!» 
Rientra in famiglia, a Parigi, nel 1886, con l’intento di preparare un testo sulle sue scoperte: è un tempo decisivo per la sua conversione. Scriverà: «Ho iniziato ad andare in chiesa, senza essere credente, vi trascorrevo lunghe ore continuando a ripetere una strana preghiera: “Mio Dio, se esisti, fa che io Ti conosca!”». La sua conversione, accompagnata dall’abate Henry Huvelin, risale all’ottobre di quello stesso anno: «Non appena credetti che c’era un Dio, compresi che non potevo far altro che vivere per Lui». 

Gesù, operaio di Nazaret 
Compie subito un lungo pellegrinaggio in Terra santa, nel corso del quale annota: «Ho voglia di condurre la vita che ho intravisto, percepito camminando per le vie di Nazaret, dove Nostro Signore, povero artigiano perso nell’umiltà e nell’oscurità, ha appoggiato i piedi». Rivolgendosi a Gesù, scrive: «Come è fertile questa vita di Nazaret in esempi e in lezioni! Grazie! Grazie! Come siete buono ad averci donato questa istruzione per 30 anni!». 
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Significativo un episodio che gli capita in quel periodo: «Una settimana fa sono stato mandato a pregare un poco accanto a un povero operaio nativo del posto, cattolico, morto nella frazione vicina: quale differenza fra questa casa e le nostre abitazioni! Io agogno Nazaret». 

La stessa vita di Nostro Signore 
Resosi conto che «nessuna congregazione della Chiesa dà oggi la possibilità di condurre con Lui questa vita ch’Egli ha condotto in questo mondo», si domanda se «non è il caso di cercare alcune anime con le quali […] formare un inizio di piccola Congregazione di questo genere: lo scopo sarebbe condurre quanto più esattamente possibile la stessa vita di Nostro Signore, vivendo unicamente del lavoro delle mani, senz’accettare nessun dono spontaneo né alcuna questua, e seguendo alla lettera tutti i suoi consigli, non possedendo niente, privandosi del più possibile, anzitutto per essere più conforme a Nostro Signore e poi per darGli il più possibile nella persona dei poveri. Aggiungere a questo lavoro molte preghiere». 

Nazaret è la vita di Gesù, non semplicemente la sua prefazione 
Emerge qui qualcosa di consapevolmente inedito nella geografia religiosa contestuale, osserva Sequeri che, nel volume «Charles de Foucauld. Il Vangelo viene da Nazaret» (Edizioni Vita e Pensiero), scrive: «La novità dell’intuizione è data, in prima battuta, dalla nettezza del riferimento cristologico della imitazione/sequela di Nostro Signore Gesù: “la stessa vita di Nostro Signore” Gesù, e cioè “l’esistenza umile e oscura di Dio, operario di Nazaret”». In altri termini, «Nazaret non è il ‘prologo’ della vita pubblica, il semplice momento ‘preparatorio’ della missione, la forma di una ‘pre-evangelizzazione’ che realizza una condivisione generica e una testimonianza anonima. […] Nazaret è la vita di Gesù, non semplicemente la sua prefazione. È la missione redentrice in atto, non la sua mera condizione storica. Nazaret è il lavoro, la contiguità, la prossimità domestica del Figlio che si nutre per lunghissimi anni di ciò che sta a cuore all’abba-Dio (“Non sapevate che devo occuparmi delle cose del Padre mio?”, Lc 2,49). […] Da dove potrebbe mai ripartire una nuova evangelizzazione, se non lungamente sostando – per tutto il tempo necessario – nel fondamento in cui Dio l’ha posta per il Figlio medesimo?». 

La lettura dei Vangeli 
Nel 1897 fratel Charles lascia la Trappa e si trasferisce a Nazaret, dove vive per tre anni, alloggiando in una casetta presso il monastero delle clarisse: le sue giornate sono scandite dal lavoro, dall’adorazione silenziosa dell’Eucaristia e dalla lettura dei Vangeli. ... «Le sue meditazioni – alcune migliaia di pagine – non hanno un taglio intimistico e autoreferenziale; esse mettono in luce soprattutto il legame intenso e affettuoso che de Foucauld vive con il Signore. Al centro delle meditazioni non c’è il loro autore, ma la persona di Gesù e il Suo stile, da assimilare giorno dopo giorno con la Sua grazia. ... 

Con il popolo del deserto
Nel tempo trascorso a Nazaret matura in fratel Charles la vocazione al sacerdozio: viene ordinato nel 1901, in Francia, e l’anno successivo si stabilisce a Beni Abbès, nel Sahara algerino, «tra le pecore più perdute, le più abbandonate». Scrive in quei giorni: «Dalle 4.30 del mattino alle 20.30 della sera, non smetto di parlare, di vedere gente: schiavi, poveri, ammalati, soldati, viaggiatori, curiosi. […] Voglio abituare tutti gli abitanti della terra a considerarmi come loro fratello, il fratello universale». Nel 1905 decide di trasferirsi più a sud, fra i Tuareg, a Tamanrasset, dove non ci sono «né guarnigione, né telegrafo, né europeo». 

La bellezza domestica dell’insediamento evangelico 
Non nella Trappa ma nel deserto è quella Nazaret che fratel Charles agognava. ...

Fratello e familiare dei Tuareg 
Per i suoi Tuareg fratel Charles si prodiga generosamente. «Vuole vincere le diffidenze, conquistare la loro fiducia, fraternizzare, rendersi un loro familiare; vuole far conoscere la bontà di Gesù», dice Fraccaro. «Il suo tempo era diviso tra la preghiera, le relazioni con gli indigeni, che aiutava e sosteneva in molti modi, e gli studi della lingua tuareg: redasse anche un dizionario tuareg-francese. Nelle lettere agli amici lontani chiede di pregare per queste anime abbandonate, e anche per sé: “PregateLo perché io faccia quel che vuole da me per loro, perché io sono l’unico, purtroppo!, ad occuparmi di loro da parte di Lui e per Lui”». 

La presenza eucaristica 
I gesti di cura, la tenace dedizione agli uomini e alle donne del deserto, convivono con una totale relazione/conversazione con il Signore presente nell’Eucaristia. Fratel Charles lo ha portato fra coloro che non lo conoscono perché anch’essi sono “suoi”. È una presenza, una benedizione che tutti percepiscono, tutti sentono la preghiera e le parole che la abitano, tutti intuiscono il legame speciale cui dà vita. La presenza eucaristica del Signore condensa in sé la parola e il gesto cristiano meno “anonimi” che ci siano (Sequeri). 

Se il chicco di grano non muore 
Charles de Foucauld muore il 1° dicembre 1916, a Tamanrasset, colpito da un colpo di fucile durante una scaramuccia provocata da truppe ribelli del Sahara. Lui, che dal 1893 sino alla fine della sua vita si applicò alla redazione di «Regole» per quelle aggregazioni che tanto aveva desiderato, morì solo. Nei decenni successivi sono nate molte famiglie di religiosi, religiose, sacerdoti e laici che a lui si ispirano: attualmente sono venti, presenti in tutto il mondo. Riunite nella Association Famille Spirituelle Charles de Foucauld, comprendono circa 13mila persone. «Nella loro diversità – conclude Fraccaro – queste famiglie hanno tratti comuni: l’insediamento nei contesti dell’esistenza ordinaria, la vita in piccole comunità legate da spirito fraterno, la meditazione della Parola di Dio, la dedizione alle anime più sofferenti e abbandonate. Il chicco di grano, morendo, ha portato frutto, proprio come de Foucauld – legatissimo a questo versetto del Vangelo di Giovanni (12,24) – sperava accadesse».


Vedi anche il nostro post precedente: