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martedì 3 gennaio 2017

La bestemmia più grande. Nella rivendicazione islamista della strage di Istanbul di Marina Corradi

La bestemmia più grande. 
Nella rivendicazione islamista della strage di Istanbul
di Marina Corradi


Nella rivendicazione islamista della strage di Istanbul Il «soldato del Califfato» – rivendicano – «li ha attaccati con bombe a mano e con un’arma automatica, cambiando la loro gioia in dolore, raccogliendo le anime di 150 persone, tra feriti e morti, come vendetta della religione di Dio». Le parole scelte dal Daesh per fare proprio l’attentato di Istanbul recitano le consuete cupe litanie. Ma c’è un inciso su cui viene da soffermarsi: «cambiando la loro gioia in dolore».

Colpisce questa sottolineatura, quasi che, prima che a una strategia terroristica, a un disegno distruttivo e sanguinario ma infine politico, la logica del Califfato rispondesse a un altro intento: cambiare la gioia in dolore, avventarsi sull’istante che allieta il 'nemico'. Quasi non bastasse colpire i civili, e nemmeno colpirli nella quotidianità, ma si volesse uccidere nell’ora della gioia. In sfregio alla gioia. Sia pure la effimera gioia di una festa di Capodanno, in cui gli uomini cercano di lasciarsi indietro, nei brindisi e nel rumore, pene e preoccupazioni. Sia pure la ingenua letizia di un mercatino di Natale, in quei giorni in cui da noi ci si affretta a comprare presepi e regali, e si torna, per un momento, bambini. Si intravede in filigrana, nell’ultima rivendicazione del Daesh, l’impronta che ha marcato il più sanguinoso degli attentati in Europa: Nizza, il Tir lanciato su una folla di madri e padri con i bambini per mano – bambini con negli occhi ancora gli splendenti fuochi di artificio del 14 luglio. Abbiamo cambiato la vostra gioia in dolore, la vostra letizia in pianto.

Che marchio maligno si avverte in queste parole, che odio alla vita. Sempre gli uomini si sono fatti la guerra e massacrati, ma il gusto di frantumare il nemico nel momento in cui, indifeso, gioisce, è una vetta acuminata di male. Dicono, quelli del Califfato, che l’ultima strage è «vendetta della religione di Dio». A noi viene in mente un passo del Libro della Sapienza: «Dio non ha creato la morte, e non gode per la rovina dei viventi». E dunque mai per noi il sangue può essere «vendetta» di Dio. La conseguenza di un antico oscuro male che ci segna, sì; ma vendetta di Dio, mai. Il Figlio del nostro Dio è colui che cambiò a Cana l’acqua in vino, perché la festa di nozze fosse più piena, e gli invitati attorno alla tavola più lieti. Il nostro Dio ama la vita, e anche la povera allegria che in questo mondo gli uomini, a fatica, riescono a celebrare.

Così come lieti volevano essere l’altra notte uomini e donne in una discoteca di Istanbul: la ragazzina israeliana 19 enne conquistata dal basso prezzo di un volo low cost, e la coppia in attesa di sposarsi. Mentre all’ingresso del locale, Hatice – guardia giurata e ragazza madre – faceva il suo turno, per mantenere il suo bambino di tre anni. Hatice, che forse non vedeva l’ora di deporre il fucile e tornare a casa, dove suo figlio dormiva – di stringerselo nel sonno, nella prima notte dell’anno. Invece, hanno «cambiato la loro gioia in dolore». Se ne vantano, con orgoglio, questi jihadisti. Ma attribuire la «vendetta» a Dio è, nel delirio del Califfato, la bestemmia più grande.
(fonte testo: Avvenire 03/01/2017)