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venerdì 28 aprile 2017

Papa Francesco Viaggio in Egitto - Con il disarmo nel cuore di Lucetta Scaraffia


Con il disarmo nel cuore
di Lucetta Scaraffia


Papa Francesco inizia un viaggio difficile: così può apparire agli occhi del mondo la sua visita in un Egitto dove il numero dei martiri cristiani è in aumento continuo, in un paese travagliato che è stato proprio il terreno di origine dell’estremismo islamico con la nascita, alla fine degli anni venti del Novecento, dei Fratelli musulmani ma che, al tempo stesso, è anche uno dei paesi che può vantare una convivenza millenaria fra religioni differenti.

E ancora una volta il Pontefice rinuncia all’apparato difensivo che ormai accompagna abitualmente qualsiasi personaggio pubblico del suo livello nelle trasferte e nei momenti di esposizione alla folla. Ma come avrebbe potuto arrivare blindato in un paese dove i cristiani rischiano la vita ogni volta che vanno a messa? Come altrimenti avrebbe potuto, con il linguaggio simbolico dei fatti, più forte di ogni parola, comunicare che il suo è un viaggio di pace? Infatti, come hanno lasciato scritto i monaci di Tibhirine, di fronte ai nostri nemici dobbiamo non solo pregare ogni giorno il Signore di disarmarli, ma anche di disarmarci. Rinunciare alla protezione equivale simbolicamente proprio a questo disarmo.

E carichi di valore simbolici saranno tutti gli incontri di questo viaggio: Francesco ama comunicare con i gesti, con l’esempio, più che con le parole. Sa che i gesti parlano a tutti, immediatamente, e arrivano senza mediazione ai cuori.

Le sue parole, pur così aperte e chiare, sono infatti spesso travisate dai media, che lo vogliono apparentare a partiti politici, a posizioni di altri. E questa goffa ricerca di trovargli una parentela politica è fatta per abbassare il livello e la forza del suo messaggio, per renderlo uguale a quello di altri leader, per nasconderne la forte diversità. Perché questo Papa non si limita a invocare e predicare ottimi principi e giustissime rampogne, ma parla apertamente dei mali del mondo dando loro un nome, e indicandone in questo modo i responsabili. Come quando ha segnalato il pericolo di comportamenti politici in apparenza accettabili: «Gli accordi internazionali sembra che siano più importanti dei diritti umani» ha detto ricordando i nuovi martiri nella basilica romana di San Bartolomeo.

In questo contesto di volontari fraintendimenti delle sue parole, i suoi gesti, così immediatamente compresi da ciascuno di noi, acquistano una valenza particolare. Andare ad al-Azhar, restituire la visita del rettore, lo sceicco al-Tayyib, che tempo fa è venuto in Vaticano a fargli visita, significa impegnarsi profondamente per la pace religiosa, a ogni costo, al di sopra di ogni convenienza e ogni protocollo. Al di là di ogni rischio.

Perché la sua intenzione è proprio quella di fare come Gesù, quando si pone in mezzo ai discepoli, al centro della loro assemblea, come colui che crea e dà unità, colui che «attira tutti a sé» si legge nel vangelo (cfr. Giovanni, 12, 32). Questa è l’unica possibile proposta di pace e sta in ogni gesto, in ogni visita, in ogni incontro.