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giovedì 13 aprile 2017

“UN PERCORSO QUARESIMALE” - Settimana Santa / 4 L’Eucaristia di Carlo Maria Martini

“UN PERCORSO QUARESIMALE”

Settimana Santa / 4

L'Eucaristia



di Carlo Maria Martini

L’istituzione dell’Eucaristia

Nel giovedì precedente la sua morte, Gesù si siede a tavola con i suoi apostoli per consumare con loro l’ultima cena e, nello svolgersi di essa anticipa profeticamente, attraverso dei gesti e delle parole, la consegna di sé all’uomo, che opererà definitivamente sulla croce. Egli infatti voleva suscitare un gesto, uno strumento che attuasse l’efficacia universale della Pasqua, l’energia, la forza di riconciliazione e di comunione sprigionata nella sua Pasqua storica; questo gesto è l’Eucaristia che, nella liturgia della Chiesa, si presenta appunto come la maniera sacramentale che rende perenne in ogni tempo il sacrificio pasquale di Gesù dischiudendo all’umanità l’accesso alla vita senza fine. Nell’Eucaristia è presente non soltanto la volontà di Gesù che istituisce un gesto di salvezza, ma Gesù stesso.

Cerchiamo di leggere due brani del Nuovo Testamento che narrano quanto avvenne nell’ultima cena.

– «Ora, mentre mangiavano, Gesù prese il pane e, pronunziata la benedizione, lo spezzò e lo diede ai discepoli dicendo: “Prendete e mangiate; questo è il mio corpo”. Poi prese il calice e, dopo aver reso grazie, lo diede loro dicendo: “Bevetene tutti, perché questo è il mio sangue dell’alleanza, versato per molti, in remissione dei peccati. Io vi dico che da ora non berrò più di questo frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo con voi nel regno del Padre mio”» (Matteo 26, 26-29).

– Il secondo brano lo troviamo nella I Lettera di Paolo ai Corinzi: «Io ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso: il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: “Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me”. Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice dicendo: “Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me”. Ogni volta infatti che mangiate di questo pane e bevete di questo calice, voi annunziate la morte del Signore finché egli venga» (11,23-26).
Questo passo della lettera di san Paolo è parte di una lunga esortazione da lui tenuta alle assemblee cristiane di Corinto. Nelle assemblee c’erano problemi, disordini, malumori e Paolo, per chiarire e mettere ordine, si richiama alla tradizione più antica che si conosca sull’Eucaristia, una tradizione che gli è stata consegnata a pochi anni dalla morte di Gesù. E' la prima testimonianza in assoluto che noi possediamo sulla celebrazione dell’Eucaristia e notiamo che c’è una triplice dimensione: un riferimento al passato («fate questo in memoria di me»); una proclamazione per il presente (oggi è qui il corpo e il sangue del Signore); un orientamento al futuro («finché egli venga», nell’attesa del ritorno del Signore). 

– Memoria del passato. La stessa cena pasquale ebraica era ed è vissuta come una memoria che attualizza i fatti della liberazione del popolo dall’Egitto. Nell’Eucaristia la relazione non è soltanto con un fatto passato, bensì con una persona, con Gesù salvatore crocifisso e risorto. ... 
– Per quanto riguarda il presente, il Corpo e il Sangue di Cristo è veramente dato a noi nell’oggi, la nuova alleanza nel Sangue di Gesù si realizza adesso creando o rafforzando il rapporto dell’uomo con Dio, rapporto di figliolanza e di amicizia. Tutta la storia umana si concentra nel momento straordinario della celebrazione eucaristica.
– Inoltre, l’Eucaristia proclama il futuro dell’uomo e dell’umanità, preannuncia quel giorno senza tramonto nel quale la nostra vita sarà uno stare a mensa con Dio, un vivere con lui una familiarità immediata. L’Eucaristia è dunque obbedienza e fedeltà a un comando preciso di Gesù, è comunione con Dio e tra gli uomini, è apertura a tutte le genti, anticipazione e segno della gloria futura.

Il significato dell’Eucaristia

Dei due racconti di Matteo e di Paolo, che ho ricordato, vorrei soffermarmi su alcune parole che ci aiutano a comprendere meglio il mistero.

– La prima è comune a entrambi i testi: «il mio sangue dell’alleanza». Gesù si colloca sullo sfondo dell’alleanza di Dio con il popolo d’Israele, alleanza che lo faceva appunto popolo di Dio: il dono del sacrificio di Gesù ha come fine la creazione del nuovo popolo, che non toglie nulla al primo, ma si estende a tutta l’umanità. Dire “alleanza” equivale a dire l’instancabile amore con cui Dio, a partire dalla creazione, ha trattato l’uomo come un amico, ...
Collegando l’istituzione dell’Eucaristia con l’alleanza, Gesù vuole significare che essa dona a noi la forza di lasciarci totalmente attrarre nel movimento dell’amore misericordioso di Dio annunciato nell’Antico Testamento, celebrato definitivamente nella Pasqua e culminante nella pienezza del suo ritorno: «finché egli venga», nell’attesa della sua venuta.

– La seconda parola è riportata solo da Paolo: «nella notte in cui veniva tradito». Il riferimento è a Giuda ed è a tutti noi. Il Signore dona il suo corpo e il suo sangue a coloro che lo tradiranno, fuggiranno, lo rinnegheranno. I nostri tradimenti, le fughe, le infedeltà degli uomini, non possono che esaltare la grandezza del suo amore, come la profondità della valle fa vedere l’altezza del monte. Dio ci ama in questo modo. L’unica misura del suo amore smisurato è il bisogno della persona amata: il povero, l’infelice, il peccatore, il perduto sono amati persino più degli altri. Come una madre che ama il figlio perché è suo figlio e, se è disgraziato, lo ama ancora di più sapendo che potrà diventare più buono sentendosi tanto amato. E Dio, che ci è più padre di nostro padre e più madre di nostra madre, che ci ha tessuto nel grembo materno, fa della misericordia la realtà che ci avvolge dall’ alto e dal basso, dall’oriente all’occidente. Nella sua misericordia noi siamo ciò che siamo e la nostra miseria diventa il recipiente e la misura su cui riversa la sua misericordia.
L’Eucaristia non è quindi un dono offerto a persone elette, giunte alla perfezione.

– La terza parola, ricordata da Matteo, è infatti: «il mio sangue è versato per molti», cioè per tutti gli uomini e per gli uomini di tutti i tempi, «in remissione dei peccati». Nella notte della disperazione, della prigionia, del nostro egoismo, dell’aridità, della freddezza del cuore, Gesù si dona a noi per strapparci dalle tenebre, per invitarci a credere in un Dio che non ha il volto rabbuiato, stizzito, amareggiato, deluso dalle nostre non corrispondenze, ma che ha il volto pieno di tenerezza, di fiducia, di passione per ogni creatura, il volto mitissimo del Crocifisso.

L’Eucaristia nella vita dei cristiani

Per noi cristiani è fondamentale capire che il “sì” totale e fedele di Gesù al Padre e agli uomini, che celebriamo nell’Eucaristia, significa il nostro “sì” al Padre e il nostro “sì” a tutti i fratelli e le sorelle, compresi coloro che ci criticano, non ci accettano, ci disprezzano, si oppongono a noi. L’Eucaristia sarebbe un segno vuoto se in noi non si trasformasse in forza di amore per gli altri, perché le parole: «Fate questo in memoria di me», non sono magiche. Pronunciandole, Gesù ci chiede di donare corpo e sangue, di offrire la nostra vita per tutti, di consegnarci. E consegnarsi vuol dire avere una mentalità nuova, che prende il posto della vecchia mentalità propria di chi pensa soltanto a se stesso senza occuparsi degli altri.
Per questo la «cena del Signore» che la Chiesa celebra ogni giorno, non tollera di essere messa a servizio di interessi mondani, ma esige un cuore indiviso dal momento che è destinata a formare nel tempo un unico corpo di Cristo. Essa deve accettare e assecondare l’agire misericordioso di Dio. Spesso, troppo spesso, ci avviciniamo all’Eucaristia senza la seria volontà di interrogarci lealmente sul senso della nostra vita; intendiamo fare un gesto religioso, ma siamo ben lontani dal lasciare mettere in questione la nostra esistenza dal dono totale di Gesù. Eppure nella Messa Gesù ci raggiunge con la sua Pasqua e, se ne prendiamo seriamente coscienza, pone in noi ogni volta il dinamismo dell’amore, la forza di quella carità che è riverbero dell’essere stesso di Dio. Perché l’Eucaristia ci accoglie dalle oscure regioni della nostra lontananza spirituale, ci unisce a Gesù e agli uomini e ci sospinge con Gesù e con gli uomini verso il Padre; è come un sole che attira a sé l’umanità e con essa cammina per raggiungere un termine misterioso, ma certissimo.
Il cibo eucaristico configura nel tempo un popolo che esprime a livello sociale, non solo individuale, la forza dello Spirito di Cristo che trasforma la storia. In tale prospettiva è importante una riflessione sull’unità concreta che la vita umana trova nell’Eucaristia. Bisogna certo evitare artificiosi conformismi tra la trascendente, misteriosa unità, attuata dall’Eucaristia e le forme di unificazione create e realizzate dagli sforzi umani nei diversi ambiti di convivenza.
Ma tra la prima e le seconde esistono delle relazioni. 
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