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mercoledì 11 ottobre 2017

L’emorragia di capitali che devasta l’Africa - Ai danni dell'Africa povera di Tonio Dell'Olio

Ai danni dell'Africa povera 
di Tonio Dell'Olio

Oggi il quotidiano Il manifesto pubblica un articolo di Léonce Ndikumana, docente di economia e direttore del Programma per la politica di sviluppo dell’Africa presso l’Istituto di ricerca di economia politica all’università del Massachusetts nonché membro della Commissione indipendente per la riforma della tassazione delle imprese multinazionali (Icrict). Lo stesso articolo viene pubblicato contemporaneamente in 12 Paesi diversi perché a Nairobi si apre la “Conferenza sui flussi finanziari illeciti e il loro impatto sullo sviluppo dell’Africa”. Si scopre così che i capitali trasferiti illecitamente all'estero negli ultimi decenni superano di gran lunga le risorse a favore dell'Africa stessa, compresi aiuti e debito. Secondo le stime al ribasso calcolate da un'apposita Commissione dell'ONU presieduta da Thabo Mbeki, ex presidente sudafricano, ogni anno vengono trasferiti dall'Africa dai 30 ai 60 miliardi di dollari. Si tratta sicuramente di flussi finanziari illeciti provenienti dalle attività criminali ma anche dalla corruzione a vantaggio di politici africani compiacenti e soprattutto dall'evasione fiscale delle stesse multinazionali. Ora non c'è bisogno di essere fini economisti per capire che se in Paesi come quelli africani si versano meno tasse (17% del PIL) rispetto a quanto si contribuisce nei Paesi ricchi (35%) a soffrirne sono infrastrutture, sistema scolastico e sanitario, sicurezza e politiche sociali, tutte cose vitali per i Paesi poveri. E allora quanto è importante la Conferenza che si apre oggi a Nairobi in cui la Commissione ONU chiede di assumere opportuni provvedimenti e misure per arginare il fenomeno nefasto e aiutare così veramente l'Africa! 
E capite perché da noi non se ne parla?
(Fonte: Mosaico dei giorni dell'11.10.2017)


L’emorragia di capitali che devasta l’Africa
di Léonce Ndikumana
Flussi finanziari illeciti. Basta con la favoletta della lotta alla povertà che i paesi ricchi continuano a raccontare. Ogni anno si prelevano dal continente fra i 30 e i 60 miliardi di dollari. E le risorse accumulate all’estero negli ultimi decenni superano di molto le risorse andate nell’altra direzione, compresi gli aiuti e il debito



La storia è nota: l’Africa è povera e ha bisogno dell’aiuto dei paesi ricchi. E se le potenze occidentali hanno sfruttato il continente con la schiavitù, il colonialismo e il saccheggio delle risorse naturali, è stato in passato. Oggi sono generose, determinate a eliminare la povertà e a promuovere lo sviluppo sostenibile. Ma questa favoletta, che i paesi ricchi ripetono fino alla nausea, è piuttosto ingenua. Sappiamo da un pezzo che l’Africa è «creditrice netta» rispetto al resto del mondo. L’ammontare di risorse finanziarie accumulate all’estero grazie alla fuga di capitali negli ultimi decenni supera di molto le risorse che vanno nell’altra direzione, compresi gli aiuti e il debito. Ogni anno si prelevano dal continente fra i 30 e i 60 miliardi di dollari, secondo un rapporto diffuso nel 2015 dal Gruppo di alto livello sui flussi finanziari illeciti (High Level Panel on Illicit Financial Flows) creato dalla Commissione economica dell’Onu per l’Africa (Uneca), presieduto da Thabo Mbeki, ex presidente del Sudafrica. E si tratta di stime al ribasso.

In cosa consiste questa emorragia che gli specialisti chiamano «flussi finanziari illeciti»? Intanto, ovviamente, si compone di attività criminali di ogni tipo (droghe, traffico di armi, ecc.), alle quali si aggiunge il riciclaggio di denaro legato alla corruzione. Inoltre le compagnie multinazionali facilitano flussi finanziari illeciti in uscita manipolando transazioni commerciali. Fatture false, transfer pricing, pagamenti fra case madri e loro sussidiarie, meccanismi di elusione fiscale allo scopo di nascondere redditi sono pratiche comuni da parte delle compagnie, nel loro sforzo d«i massimizzare i profitti. È comune il ricorso sia all’evasione fiscale (che è illegale) che all’elusione fiscale, grazie alle scappatoie legali offerte dal sistema di tassazione internazionale.

La fuga di capitali è un fenomeno globale. Per anni, i paesi sviluppati hanno ritenuto che il problema dei flussi finanziari illegali fosse prima di tutto una faccenda di lotta contro il terrorismo, il riciclaggio di denaro e altri crimini finanziari. Ma di recente, in un periodo di grande pressione sui bilanci nazionali, i governi delle economie avanzate hanno moltiplicato gli sforzi per combattere anche l’evasione da parte delle aziende. Questo in parte spiega per esempio la battaglia in corso in Europa: paesi come la Francia e la Germania sono stanchi di vedere i colossi del digitale come Google, Apple, Facebook e Amazon aggirare gli obblighi fiscali spostando i profitti in Irlanda o Lussemburgo.

Ma l’impatto della fuga di capitali sui paesi in via di sviluppo, in particolare sull’Africa, è di gran lunga più devastante. Nel continente africano le entrate fiscali sono già molto basse: in media il 17% del Prodotto interno lordo (Pil), rispetto al 35% dei paesi ricchi. E le autorità fiscali non hanno risorse sufficienti per contrastare le strategie sempre più sofisticate, sempre più aggressive messe in atto dalle multinazionali per evadere le tasse; per non parlare dei meccanismi di corruzione che coinvolgono i politici locali.
Il costo umano e sociale degli abusi relativi alle imposte societarie è gigantesco. Significa infatti meno risorse per infrastrutture, istruzione, salute, alimentazione, protezione dei diritti delle donne, programmi ambientali. Non per nulla le Nazioni unite hanno dichiarato che i flussi finanziari illeciti sono un grave ostacolo al finanziamento dello sviluppo e dunque al raggiungimento degli Obiettivi dello sviluppo sostenibile.

In questo contesto, la Commissione indipendente per la riforma della tassazione delle imprese multinazionali (Icrict) ha chiesto alle Nazioni unite uno sforzo per combattere l’evasione fiscale da parte delle transnazionali come parte di una più ampia strategia di lotta contro i flussi finanziari illeciti.

È una lotta che richiede l’impegno da parte degli Stati e della comunità globale per migliorare la trasparenza dei sistemi finanziari e del commercio internazionale, e per consolidare le capacità delle amministrazioni fiscali nazionali. Questo significa, fra l’altro, obbligare le imprese a rendere pubblici i dettagli delle loro attività in ognuno dei paesi dove operano, per far sì che tutti i profitti siano debitamente tassati nel paese dove si svolgono effettivamente le attività produttive e commerciali. E significa anche monitorare tutti i fattori e gli attori che rendono possibile la fuga dei capitali, in particolare le banche che aiutano a nascondere le risorse finanziarie illegalmente succhiate via, a danno dell’Africa.

Léonce Ndikumana è docente di economia e direttore del Programma per la politica di sviluppo dell’Africa presso l’Istituto di ricerca di economia politica all’università del Massachusetts. È commissario della Commissione indipendente per la riforma della tassazione delle imprese multinazionali (Icrict).

Questo articolo esce oggi in una dozzina di paesi diversi in occasione dell’inizio a Nairobi della conferenza sui flussi finanziari illeciti e il loro impatto sullo sviluppo dell’Africa
(Fonte: Il manifesto)