Benvenuto a chiunque è alla "ricerca di senso nel quotidiano"



lunedì 2 ottobre 2017

Papa Francesco a Cesena: la buona politica, il dialogo tra giovani e anziani, la rivoluzione della tenerezza e la gioia di essere preti (cronaca, foto, testi e video)

VISITA PASTORALE DEL SANTO PADRE FRANCESCO
A CESENA NEL TERZO CENTENARIO DELLA NASCITA DEL PAPA PIO VI
1° OTTOBRE 2017

Francesco a Cesena:
ripartire dalla rivoluzione della tenerezza

Siate tenaci nel testimoniare il Vangelo e camminate insieme, sostenuti dallo Spirito Santo. L’incoraggiamento di Francesco a sacerdoti, consacrati e laici dei Consigli pastorali a Cesena


Quella di domenica, per la città di Cesena, è stata una giornata storica. La visita di papa Francesco, in occasione dei 300 anni dalla nascita di Pio VI, il cesenate Giovanni Angelo Braschi, segnerà di certo gli annali della città romagnola. A migliaia le persone sono accorse in piazza e lungo i due chilometri e mezzo, tutti transennati, che separano il centro storico dall’ippodromo del Savio nei pressi del quale è atterrato in anticipo l’elicottero con a bordo il pontefice. 

Nelle breve permanenza di due ore, Francesco ha dato ampio spazio agli incontri personali. Si è fermato più volte a salutare i disabili. Davanti alla cattedrale, in piazza Giovanni Paolo II, ha incontrato i ragazzi. Ha ringraziato i due cori che hanno animato i momenti fuori e dentro il duomo. Si è intrattenuto con i sacerdoti, in specie con quelli molto anziani o in carrozzina. Ha firmato un paio di dediche. Ha salutato numerosi fedeli, raccomando a tutti di valorizzare il rapporto giovani/anziani. Ha parlato varie volte a braccio, anche all’esterno del duomo, quando ha ricordato a quanti gremivano la piazza di “ascoltare e parlare con gli anziani. Così diventerete rivoluzionari”, la ricetta di Bergoglio.

In piazza del Popolo, ha approfittato del contesto cittadino per affrontare il tema della politica. Ha invitato a non “balconare” la propria vita, cioè a non mettersi su un piedistallo per giudicare gli altri. In questa terra di “accese passioni politiche” ha invitato con forza a “riscoprire anche per l’oggi il valore di questa dimensione essenziale della convivenza civile” con un impegno diretto.
Parole e gesti, come avviene sempre nel gergo di Francesco. Discorsi, ma anche testimonianza personale, come ha ormai abituato il papa venuto quasi dalla fine del mondo che anche in terra di Romagna ha saputo scaldare i cuori e fare commuovere quanti avevano dovuto affrontare un’alzataccia imposta da rigidissime norme di sicurezza.

“Mi sento come un parroco”, ha rivelato il vescovo Douglas Regattieri, in un’intervista rilasciata pochi attimi dopo il decollo dell’elicottero che portava Francesco a Bologna. “Eccellenza, non si meravigli se ho delle espressioni terra terra, ma io mi sento un parroco”, questo il senso delle parole rivolte in confidenza. Aveva parlato, il papa, delle chiacchiere che si fanno nella comunità cristiana come di un atto terroristico. “Chiacchierare è questo. Pensateci”, il monito, non nuovo, di Bergoglio venuto da Cesena. Parole semplici, sì, che possono apparire terra terra, capaci invece di aprire nuove strade di conversione.
 (fonte: Avvenire, articolo di Francesco Zanotti 02/10/2017)




Il testo integrale del discorso di Papa Francesco

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Mi piace iniziare la mia visita a Cesena incontrando la cittadinanza, in questo luogo così significativo per la vita civile e sociale della vostra città. Una città ricca di civiltà e carica di storia, che tra i suoi figli illustri ha dato i natali anche a due Papi: Pio VI, di cui ricordiamo il terzo centenario della nascita, e Pio VII.

Da secoli questa Piazza costituisce il punto d’incontro dei cittadini e l’ambito dove si svolge il mercato. Essa merita dunque il suo nome: Piazza del Popolo, o semplicemente “la Piazza”, perché è del popolo, spazio pubblico in cui si prendono decisioni rilevanti per la città nel suo Palazzo Comunale e si avviano iniziative economiche e sociali. La piazza è un luogo emblematico, dove le aspirazioni dei singoli si confrontano con le esigenze, le aspettative e i sogni dell’intera cittadinanza; dove i gruppi particolari prendono coscienza che i loro desideri vanno armonizzati con quelli della collettività. Io direi – permettetemi l’immagine –: in questa piazza si “impasta” il bene comune di tutti, qui si lavora per il bene comune di tutti. Questa armonizzazione dei desideri propri con quelli della comunità fa il bene comune. In questa piazza si apprende che, senza perseguire con costanza, impegno e intelligenza il bene comune, nemmeno i singoli potranno usufruire dei loro diritti e realizzare le loro più nobili aspirazioni, perché verrebbe meno lo spazio ordinato e civile in cui vivere e operare.

La centralità della piazza manda dunque il messaggio che è essenziale lavorare tutti insieme per il bene comune. E’ questa la base del buon governo della città, che la rende bella, sana e accogliente, crocevia di iniziative e motore di uno sviluppo sostenibile e integrale.

Questa piazza, come tutte le altre piazze d’Italia, richiama la necessità, per la vita della comunità, della buona politica; non di quella asservita alle ambizioni individuali o alla prepotenza di fazioni o centri di interessi. Una politica che non sia né serva né padrona, ma amica e collaboratrice; non paurosa o avventata, ma responsabile e quindi coraggiosa e prudente nello stesso tempo; che faccia crescere il coinvolgimento delle persone, la loro progressiva inclusione e partecipazione; che non lasci ai margini alcune categorie, che non saccheggi e inquini le risorse naturali – esse infatti non sono un pozzo senza fondo ma un tesoro donatoci da Dio perché lo usiamo con rispetto e intelligenza. Una politica che sappia armonizzare le legittime aspirazioni dei singoli e dei gruppi tenendo il timone ben saldo sull’interesse dell’intera cittadinanza.

Questo è il volto autentico della politica e la sua ragion d’essere: un servizio inestimabile al bene all’intera collettività. E questo è il motivo per cui la dottrina sociale della Chiesa la considera una nobile forma di carità. Invito perciò giovani e meno giovani a prepararsi adeguatamente e impegnarsi personalmente in questo campo, assumendo fin dall’inizio la prospettiva del bene comune e respingendo ogni anche minima forma di corruzione. La corruzione è il tarlo della vocazione politica. La corruzione non lascia crescere la civiltà. E il buon politico ha anche la propria croce quando vuole essere buono perché deve lasciare tante volte le sue idee personali per prendere le iniziative degli altri e armonizzarle, accomunarle, perché sia proprio il bene comune ad essere portato avanti. In questo senso il buon politico finisce sempre per essere un “martire” al servizio, perché lascia le proprie idee ma non le abbandona, le mette in discussione con tutti per andare verso il bene comune, e questo è molto bello.

Da questa piazza vi invito a considerare la nobiltà dell’agire politico in nome e a favore del popolo, che si riconosce in una storia e in valori condivisi e chiede tranquillità di vita e sviluppo ordinato. Vi invito ad esigere dai protagonisti della vita pubblica coerenza d’impegno, preparazione, rettitudine morale, capacità d’iniziativa, longanimità, pazienza e forza d’animo nell’affrontare le sfide di oggi, senza tuttavia pretendere un’impossibile perfezione. E quando il politico sbaglia, abbia la grandezza d’animo di dire: “Ho sbagliato, scusatemi, andiamo avanti”. E questo è nobile! Le vicende umane e storiche e la complessità dei problemi non permettono di risolvere tutto e subito. La bacchetta magica non funziona in politica. Un sano realismo sa che anche la migliore classe dirigente non può risolvere in un baleno tutte le questioni. Per rendersene conto basta provare ad agire di persona invece di limitarsi a osservare e criticare dal balcone l’operato degli altri. E questo è un difetto, quando le critiche non sono costruttive. Se il politico sbaglia, vai a dirglielo, ci sono tanti modi di dirlo: “Ma, credo che questo sarebbe meglio così, così…”. Attraverso la stampa, la radio… Ma dirlo costruttivamente. E non guardare dal balcone, osservarla dal balcone aspettando che lui fallisca. No, questo non costruisce la civiltà. Si troverà in tal modo la forza di assumersi le responsabilità che ci competono, comprendendo al tempo stesso che, pur con l’aiuto di Dio e la collaborazione degli uomini, accadrà comunque di commettere degli sbagli. Tutti sbagliamo. “Scusatemi, ho sbagliato. Riprendo la strada giusta e vado avanti”.

Cari fratelli e sorelle, questa città, come tutta la Romagna, è stata tradizionalmente terra di accese passioni politiche. Vorrei dire a voi e a tutti: riscoprite anche per l’oggi il valore di questa dimensione essenziale della convivenza civile e date il vostro contributo, pronti a far prevalere il bene del tutto su quello di una parte; pronti a riconoscere che ogni idea va verificata e rimodellata nel confronto con la realtà; pronti a riconoscere che è fondamentale avviare iniziative suscitando ampie collaborazioni più che puntare all’occupazione dei posti. Siate esigenti con voi stessi e con gli altri, sapendo che l’impegno coscienzioso preceduto da un’idonea preparazione darà il suo frutto e farà crescere il bene e persino la felicità delle persone. Ascoltate tutti, tutti hanno diritto di far sentire la loro voce, ma specialmente ascoltate i giovani e gli anziani. I giovani, perché hanno la forza di portare avanti le cose; e gli anziani, perché hanno la saggezza della vita, e hanno l’autorità di dire ai giovani – anche ai giovani politici –: “Guarda ragazzo, ragazza, su questo sbagli, prendi quell’altra strada, pensaci”. Questo rapporto fra anziani e giovani è un tesoro che noi dobbiamo ripristinare. Oggi è l’ora dei giovani? Sì, a metà: è anche l’ora degli anziani. Oggi è l’ora in politica del dialogo fra i giovani e gli anziani. Per favore, andate su questa strada!

La politica è sembrata in questi anni a volte ritrarsi di fronte all’aggressività e alla pervasività di altre forme di potere, come quella finanziaria e quella mediatica. Occorre rilanciare i diritti della buona politica, la sua indipendenza, la sua idoneità specifica a servire il bene pubblico, ad agire in modo da diminuire le disuguaglianze, a promuovere con misure concrete il bene delle famiglie, a fornire una solida cornice di diritti–doveri – bilanciare tutti e due – e a renderli effettivi per tutti. Il popolo, che si riconosce in un ethos e in una cultura propria, si attende dalla buona politica la difesa e lo sviluppo armonico di questo patrimonio e delle sue migliori potenzialità. Preghiamo il Signore perché susciti buoni politici, che abbiano davvero a cuore la società, il popolo e il bene dei poveri. A Lui, Dio di giustizia e di pace, affido la vita sociale e civile della vostra città. Grazie.

Guarda il video


INCONTRO CON IL CLERO, I CONSACRATI, I LAICI DEI CONSIGLI PASTORALI, 
I MEMBRI DELLA CURIA E I RAPPRESENTANTI DELLE PARROCCHIE


Prima di arrivare in Cattedrale, Francesco fa una breve sosta, senza scendere dall’auto, davanti al Palazzo del Ridotto, dove il Sindaco di Cesena, Paolo Lucchi, scopre una targa che inaugura il “Largo Pio VI”.
Tante persone lo attendono nella Piazza del Duomo, da mesi la cittadella romagnola si stava preparando ad accogliere il Pontefice. Sono più di 900 i volontari per l’evento e tantissimi i bambini che hanno preparato un coro per l’accoglienza.
“La nostra Cattedrale è gremita, oggi, dai rappresentanti laici delle novantacinque parrocchie della Diocesi – commenta il Vescovo della Diocesi Monsignor Douglas Regattieri - sono qui come membri dei consigli delle diciannove unità e delle sei zone pastorali. La sfida di lavorare pastoralmente insieme, che prende anche il nome di sinodalità, è ancora tutta lì, davanti a loro, ma non si avviliscono per gli insuccessi, per le fatiche e per le delusioni”.

Al termine dell’incontro il Papa si reca nella Cappella della Madonna del Popolo per adorare il Santissimo Sacramento e venerare l’immagine della Madonna. E nella Sagrestia incontra gli ospiti della Casa di Accoglienza.






Il testo integrale del discorso di Papa Francesco

Cari fratelli e sorelle!

Vi ringrazio per la vostra accoglienza e vi saluto cordialmente, ad iniziare dal vostro Vescovo Mons. Douglas Regattieri. La mia presenza oggi in mezzo a voi esprime anzitutto vicinanza al vostro impegno di evangelizzazione. Questa è la principale missione dei discepoli di Cristo: annunciare e testimoniare con gioia il Vangelo.

L’evangelizzazione è più efficace quando è attuata con unità di intenti e con una collaborazione sincera tra le diverse realtà ecclesiali e tra i diversi soggetti pastorali, che trovano nel Vescovo il sicuro punto di riferimento e di coesione. Corresponsabilità è una parola-chiave, sia per portare avanti il lavoro comune nei campi della catechesi, dell’educazione cattolica, della promozione umana e della carità; sia nella ricerca coraggiosa, davanti alle sfide pastorali e sociali, di forme nuove di cooperazione e presenza ecclesiale sul territorio. E’ già una efficace testimonianza di fede il fatto stesso di vedere una Chiesa che si sforza di camminare nella fraternità e nell’unità. Se non c’è questo, le altre cose non servono. Quando l’amore in Cristo è posto al di sopra di tutto, anche di legittime esigenze particolari, allora si diventa capaci di uscire da se stessi, di decentrarsi a livello sia personale che di gruppo e, sempre in Cristo, andare incontro ai fratelli.

Le piaghe di Gesù rimangono visibili in tanti uomini e donne che vivono ai margini della società, anche bambini: segnati dalla sofferenza, dal disagio, dall’abbandono e dalla povertà. Persone ferite dalle dure prove della vita, che sono umiliate, che si trovano in carcere o in ospedale. Accostando e curando con tenerezza queste piaghe, spesso non solo corporali ma anche spirituali, veniamo noi purificati e trasformati dalla misericordia di Dio. E insieme, pastori e fedeli laici, sperimentiamo la grazia di essere umili e generosi portatori della luce e della forza del Vangelo. Mi piace ricordare, a proposito di questo primo dovere della diaconia con i poveri, l’esempio di san Vincenzo de Paoli, che 400 anni fa iniziava in Francia una vera “rivoluzione” della carità. Anche a noi oggi è chiesto di inoltrarci con ardore apostolico nel mare aperto delle povertà del nostro tempo, consapevoli però che da soli non possiamo fare nulla. «Se il Signore non costruisce la casa, invano si affaticano i costruttori» (Sal 127,1).

Pertanto, è necessario riservare adeguato spazio alla preghiera e alla meditazione della Parola di Dio: la preghiera è la forza della nostra missione – come più recentemente ci ha dimostrato anche santa Teresa di Calcutta. L’incontro costante con il Signore nella preghiera diventa indispensabile sia per i sacerdoti e per le persone consacrate, sia per gli operatori pastorali, chiamati ad uscire dal proprio “orticello” e andare verso le periferie esistenziali. Mentre la spinta apostolica ci conduce ad uscire – ma sempre uscire con Gesù –, sentiamo il bisogno profondo di rimanere saldamente uniti al centro della fede e della missione: il cuore di Cristo, pieno di misericordia e di amore. Nell’incontro con Lui, veniamo contagiati dal suo sguardo, quello che posava con compassione sulle persone che incontrava nelle strade di Galilea. Si tratta di recuperare la capacità di “guardare”, la capacità di guardare! Oggi si possono vedere tanti volti attraverso i mezzi di comunicazione, ma c’è il rischio di guardare sempre meno negli occhi degli altri. È guardando con rispetto e amore le persone che possiamo fare anche noi la rivoluzione della tenerezza. E io invito voi a farla, a fare questa rivoluzione della tenerezza.

Tra quanti hanno più bisogno di sperimentare questo amore di Gesù, ci sono i giovani. Grazie a Dio, i giovani sono parte viva della Chiesa – la prossima Assemblea del Sinodo dei Vescovi li coinvolge direttamente – e possono comunicare ai coetanei la loro testimonianza: giovani apostoli dei giovani, come scrisse il beato Paolo VI nell’Esortazione apostolica Evangelii nuntiandi (cfr n. 72). La Chiesa conta molto su di loro ed è consapevole delle loro grandi risorse, della loro attitudine al bene, al bello, alla libertà autentica e alla giustizia. Hanno bisogno di essere aiutati a scoprire i doni di cui il Signore li ha dotati, incoraggiati a non temere dinanzi alle grandi sfide del momento presente. Per questo incoraggio a incontrarli, ad ascoltarli, a camminare con loro, perché possano incontrare Cristo e il suo liberante messaggio di amore. Nel Vangelo e nella coerente testimonianza della Chiesa i giovani possono trovare quella prospettiva di vita che li aiuti a superare i condizionamenti di una cultura soggettivistica che esalta l’io fino a idolatrarlo – quelle persone si dovrebbero chiamare “io, me, con me, per me e sempre con me” – e li apra invece a propositi e progetti di solidarietà. E per spingere i giovani, c’è bisogno oggi di ripristinare il dialogo tra i giovani e gli anziani, i giovani e i nonni. Si capisce che gli anziani vanno in pensione, ma la loro vocazione non va in pensione, e loro devono dare a tutti noi, specialmente ai giovani, la saggezza della vita. Dobbiamo imparare a far sì che i giovani colloquino con gli anziani, che vadano da loro. Il profeta Gioele ha una bella frase nel capitolo III, versetto 1: “I vecchi sogneranno e i giovani profetizzeranno”. E questa è la ricetta rivoluzionaria di oggi. Che i vecchi non entrino in quell’atteggiamento che dice: “Ma, sono cose passate, tutto è arrugginito…”, no, sogna! Sogna! E il sogno del vecchio farà che il giovane vada avanti, che si entusiasmi, che sia profeta. Ma sarà proprio il giovane a far sognare il vecchio e poi a prendere questi sogni. Mi raccomando, voi, nelle vostre comunità, nelle vostre parrocchie, nei vostri gruppi, fate in modo che ci sia questo dialogo. Questo dialogo farà miracoli.

Una Chiesa attenta ai giovani è una Chiesa famiglia di famiglie. Vi incoraggio nel vostro lavoro con le famiglie e per la famiglia, che vi sta impegnando in questo anno pastorale nella riflessione sull’educazione all’affettività e all’amore. E torno sull’argomento dei vecchi, perché l’ho a cuore. Un giovane che non ha imparato, che non sa accarezzare un anziano, gli manca qualcosa. E un anziano che non ha la pazienza di ascoltare i giovani, gli manca qualcosa. Tutti e due devono aiutarsi ad andare avanti insieme. L’educazione all’affettività e all’amore. E’ un lavoro che il Signore ci chiede di fare in modo particolare in questo tempo, che è un tempo difficile sia per la famiglia come istituzione e cellula-base della società, sia per le famiglie concrete, che sopportano buona parte del peso della crisi socio-economica senza ricevere in cambio un adeguato sostegno. Ma proprio quando la situazione è difficile, Dio fa sentire la sua vicinanza, la sua grazia, la forza profetica della sua Parola. E noi siamo chiamati ad essere testimoni, mediatori di questa vicinanza alle famiglie e di questa forza profetica per la famiglia. E anche qui mi fermo su un’altra cosa. Quando io confesso e viene una donna o un uomo giovane e mi dice che è stanco, che perde anche la pazienza con i figli perché ha tanto da fare, io, la prima domanda che faccio è: “Quanti figli ha?”, e dicono due, tre… E poi faccio un’altra domanda: “Lei gioca con i suoi figli?”. E tante volte ho sentito dai genitori, soprattutto dai papà: “Padre, quando io esco di casa loro ancora dormono, e quando torno sono a letto”. Questa situazione socio-economica chiude il bel rapporto dei genitori con i figli. Dobbiamo lavorare perché questo non avvenga, perché i genitori possano perdere il tempo giocando con i loro figli. Questo è importante!

Cari sacerdoti… Voi non avete figli… sì, c’è uno là, greco-cattolico, che ne ha; ma voi non ne avete, e si dice che quando Dio non dà figli, il diavolo dà nipoti! Cari sacerdoti, a voi in modo speciale è affidato il ministero dell’incontro con Cristo; e questo presuppone il vostro incontro quotidiano con Lui, il vostro essere in Lui. Vi auguro di riscoprire continuamente, nelle diverse tappe del cammino personale e ministeriale, la gioia di essere preti. Non perdete questa gioia! Non perdetela. Forse vi aiuterà leggere i quattro numeri finali della Evangelii nuntiandi del Beato Paolo VI: parla di questo. La gioia. Non perdere la gioia. Tante volte la gente trova sacerdoti tristi, tutti ammusoniti, con la faccia da peperoncino all’aceto, e a me alcune volte viene da pensare: ma tu con cosa hai fatto colazione? Caffelatte o aceto? No. La gioia, la gioia! E se tu trovi il Signore, sarai gioioso. La gioia di essere preti, di essere chiamati dal Signore a seguirlo per portare la sua parola, il suo perdono, il suo amore, la sua grazia. La gioia di finire la giornata stanchi: questo è bello! E non avere bisogno delle pastiglie per dormire. Sei stanco, vai a letto e dormi da solo. È una chiamata che non finisce mai di stupirci, la chiamata del Signore. Ogni giorno essa ci viene rinnovata nella celebrazione eucaristica e nell’incontro con il popolo di Dio a cui siamo inviati. Il Signore vi aiuti a lavorare con gioia nella sua vigna come operai accoglienti, pazienti e soprattutto misericordiosi. Come era Gesù. E che possiate contagiare nelle persone e nelle comunità lo spirito missionario.

Cari fratelli e sorelle della diocesi di Cesena-Sarsina, non scoraggiatevi di fronte alle difficoltà. Siate tenaci nel rendere testimonianza al Vangelo, camminando insieme: sacerdoti, consacrati, diaconi e fedeli laici. A volte ci saranno incomprensioni, ma quando ci sono incomprensioni, parlatene, o parlate con il parroco, perché vi aiuti. Ma mai le chiacchiere! Le chiacchiere distruggono una comunità: una comunità religiosa, una comunità parrocchiale, una comunità diocesana, una comunità presbiterale. Le chiacchiere sono un atto “terroristico”. Sì, chiacchierare è un terrorismo, perché tu vai, butti la chiacchiera – che è una bomba –, distruggi l’altro e te ne vai contento. Chiacchierare è questo. Pensateci. Cosa dice Gesù? “Se tu hai qualcosa contro tuo fratello, vai, diglielo in faccia” (cfr Mt18,15). Sii coraggioso, sii coraggiosa. E se non hai il coraggio di dirlo, morditi la lingua. E così andrà bene. Nel vostro cammino sentitevi sempre accompagnati e sostenuti dalla promessa del Signore, cioè la forza dello Spirito Santo. Vi ringrazio di cuore di questo incontro e affido ciascuno di voi e le vostre comunità, i progetti e le speranze alla Vergine Santa, che voi invocate con un titolo molto bello: “Madonna del popolo” – non populista!, è madre del popolo, è brava. Vi benedico di cuore e vi chiedo per favore di pregare per me. Adesso vi do la benedizione.

[Benedizione]



Saluto davanti alla Cattedrale

Vi auguro buona domenica! Saluto il coro: canta tanto bene; come anche la corale dentro la cattedrale. Tutti e due saluto. Grazie tante.

E qui ci sono i giovani: alzino la mano, bambini e giovani! Cosa devono fare i giovani? Avete sentito cosa ho detto [nel discorso in cattedrale]? Cosa devono fare?... Parlare con?... [rispondono: “Parlare con gli anziani”] Parlare con gli anziani. Ascoltare, parlare con gli anziani. Così diventerete rivoluzionari.

Ciao! Grazie, e il Signore vi benedica!

Guarda il video