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mercoledì 18 ottobre 2017

PAPA FRANCESCO E IL CATECHISMO SENZA LA PENA DI MORTE di Enzo Bianchi

IL CATECHISMO SENZA LA PENA DI MORTE 
di Enzo Bianchi


La pena di morte «è in sé stessa contraria al Vangelo». Non sfuma le parole papa Francesco nell' affermare «l' inammissibilità » della pena capitale. L' occasione per quella che è ben più di una riflessione su come «custodire la dottrina cristiana» facendo al contempo «proseguire» il cammino della Chiesa è il venticinquesimo anniversario del Catechismo della Chiesa cattolica, voluto da papa Giovanni Paolo II. Non a caso papa Francesco pronuncia il suo discorso l' 11 ottobre, anniversario dell' apertura del concilio Vaticano II, e cita quello tenuto cinquantacinque anni prima da Giovanni XXIII, che «aveva voluto il concilio, soprattutto per permettere che la Chiesa giungesse a presentare con un linguaggio rinnovato la bellezza della sua fede in Gesù Cristo». Rievocare la prima edizione del Catechismo serve quindi a ribadire l' importanza di armonizzare sempre due istanze decisive: da un lato, «custodire il tesoro prezioso» della dottrina cristiana e, d' altro lato, farla progredire così che il cammino della chiesa prosegua.

L' esempio che Francesco usa per dimostrare che conservare la dottrina implica la disponibilità a modificarne alcune espressioni è un tema delicato e controverso: la pena di morte. Se in un passato neanche troppo lontano la forma estrema di pena era addirittura prevista nel codice penale dello Stato pontificio - e di questo Francesco fa ammenda e si assume le responsabilità - il Catechismo del 1992 non aveva ritenuto di dover prendere le distanze da questa pena, ritenendola possibile solo in casi estremi. L' edizione riveduta del 1997 restringe ulteriormente i casi in cui può essere tollerato comminare la morte come «unica via praticabile per proteggere efficacemente dall' aggressore ingiusto la vita di esseri umani», ma non vi è sconfessione assoluta e radicale. A vent' anni di distanza papa Francesco - che già aveva bollato l' ergastolo come «pena di morte nascosta» perché «priva la persona non solo della libertà ma anche della speranza» - va alla radice del problema:
«Si deve affermare con forza che la condanna alla pena di morte è una misura disumana che umilia la dignità personale ». La pena di morte è «in sé stessa contraria al Vangelo perché viene deciso volontariamente di sopprimere una vita umana. È inammissibile perché attenta all' inviolabilità e dignità della persona».

Di conseguenza bisognerà trovare il modo di trasporre nel Catechismo questo sviluppo decisivo della comprensione del dettato evangelico. Bisognerebbe inoltre che anche nel dialogo interreligioso si affrontasse con rinnovata consapevolezza questo tema, perché l' accettazione della pena capitale da parte di una religione ostacola il cammino di umanizzazione cui ogni dialogo sincero dovrebbe tendere. E in questo senso emerge il terzo elemento del discorso di Francesco: il criterio di fondo che deve guidare la chiesa nel suo compito di annunciare il messaggio cristiano.
La condanna della pena di morte da parte dei cristiani non viene da un loro adeguarsi alla mentalità mondana - anzi, lo "spirito del tempo" sembra andare sempre più in direzione opposta - bensì da quella che dovrebbe essere l' unica fonte del loro pensare e del loro agire: il Vangelo. Tanto basta perché la pena di morte sia indifendibile cristianamente. L' insegnamento muta quando si approfondisce la comprensione del Vangelo, perché «la parola di Dio non può essere conservata in naftalina - secondo la colorita espressione usata da Francesco - come se si trattasse di una vecchia coperta da proteggere contro i parassiti». La parola di Dio «è una realtà dinamica che progredisce e cresce perché è tesa verso un compimento che gli uomini non possono fermare». Un compimento che nemmeno gli uomini religiosi di ogni tempo, che si vogliono difensori della tradizione come se fosse una realtà statica, possono fermare.
(Fonte: La Repubblica" - 14.10.2017)



 A nessuno può essere tolta non solo la vita
Papa Francesco

DISCORSO 
AI PARTECIPANTI ALL'INCONTRO PROMOSSO
 DAL  PONTIFICIO CONSIGLIO 
PER LA PROMOZIONE DELLA NUOVA EVANGELIZZAZIONE


Vaticano - Aula del Sinodo
Mercoledì, 11 ottobre 2017

"... il nostro Catechismo si pone alla luce dell’amore come un’esperienza di conoscenza, di fiducia e di abbandono al mistero. Il Catechismo della Chiesa Cattolica, nel delineare i punti strutturali della propria composizione, riprende un testo del Catechismo Romano; lo fa suo, proponendolo come chiave di lettura e di applicazione: «Tutta la sostanza della dottrina e dell’insegnamento dev’essere orientata alla carità che non avrà mai fine. Infatti, sia che si espongano le verità della fede o i motivi della speranza o i doveri della attività morale, sempre e in tutto va dato rilievo all’amore di nostro Signore. Così da far comprendere che ogni esercizio di perfetta virtù cristiana non può scaturire se non dall’amore, come nell’amore ha d’altronde il suo ultimo fine» (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 25).

In questo orizzonte di pensiero mi piace fare riferimento a un tema che dovrebbe trovare nel Catechismo della Chiesa Cattolica uno spazio più adeguato e coerente con queste finalità espresse. Penso, infatti, alla pena di morte. Questa problematica non può essere ridotta a un mero ricordo di insegnamento storico senza far emergere non solo il progresso nella dottrina ad opera degli ultimi Pontefici, ma anche la mutata consapevolezza del popolo cristiano, che rifiuta un atteggiamento consenziente nei confronti di una pena che lede pesantemente la dignità umana. Si deve affermare con forza che la condanna alla pena di morte è una misura disumana che umilia, in qualsiasi modo venga perseguita, la dignità personale. E’ in sé stessa contraria al Vangelo perché viene deciso volontariamente di sopprimere una vita umana che è sempre sacra agli occhi del Creatore e di cui Dio solo in ultima analisi è vero giudice e garante. Mai nessun uomo, «neppure l’omicida perde la sua dignità personale» (Lettera al Presidente della Commissione Internazionale contro la pena di morte, 20 marzo 2015), perché Dio è un Padre che sempre attende il ritorno del figlio il quale, sapendo di avere sbagliato, chiede perdono e inizia una nuova vita. A nessuno, quindi, può essere tolta non solo la vita, ma la stessa possibilità di un riscatto morale ed esistenziale che torni a favore della comunità.

Nei secoli passati, quando si era dinnanzi a una povertà degli strumenti di difesa e la maturità sociale ancora non aveva conosciuto un suo positivo sviluppo, il ricorso alla pena di morte appariva come la conseguenza logica dell’applicazione della giustizia a cui doversi attenere. Purtroppo, anche nello Stato Pontificio si è fatto ricorso a questo estremo e disumano rimedio, trascurando il primato della misericordia sulla giustizia. Assumiamo le responsabilità del passato, e riconosciamo che quei mezzi erano dettati da una mentalità più legalistica che cristiana. La preoccupazione di conservare integri i poteri e le ricchezze materiali aveva portato a sovrastimare il valore della legge, impedendo di andare in profondità nella comprensione del Vangelo. Tuttavia, rimanere oggi neutrali dinanzi alle nuove esigenze per la riaffermazione della dignità personale, ci renderebbe più colpevoli.

Qui non siamo in presenza di contraddizione alcuna con l’insegnamento del passato, perché la difesa della dignità della vita umana dal primo istante del concepimento fino alla morte naturale ha sempre trovato nell’insegnamento della Chiesa la sua voce coerente e autorevole. Lo sviluppo armonico della dottrina, tuttavia, richiede di tralasciare prese di posizione in difesa di argomenti che appaiono ormai decisamente contrari alla nuova comprensione della verità cristiana. D’altronde, come già ricordava san Vincenzo di Lérins: «Forse qualcuno dice: dunque nella Chiesa di Cristo non vi sarà mai nessun progresso della religione? Ci sarà certamente, ed enorme. Infatti, chi sarà quell’uomo così maldisposto, così avverso a Dio da tentare di impedirlo?» (Commonitorium, 23.1: PL 50). E’ necessario ribadire pertanto che, per quanto grave possa essere stato il reato commesso, la pena di morte è inammissibile perché attenta all’inviolabilità e dignità della persona.
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Il discorso integrale delI'11 ottobre 2017 


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Servizio CTV