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venerdì 17 novembre 2017

"FINE-VITA" - Il pensiero di p. Alberto Maggi

Il messaggio di Papa Francesco ai partecipanti della World Medical Association sulla controversa questione del «fine vita» ha il merito di aver riacceso il dibattito sul fine-vita.
Le sue parole sagge e cariche come sempre di umanità hanno fatto chiarezza sul pensiero della Chiesa su una così delicata questione che ci interpella tutti.

Di seguito proponiamo l'opinione espressa sull'argomento da p. Alberto Maggi, sacerdote, teologo, biblista, frate dell’Ordine dei Servi di Maria, in un'intervista pubblicata oggi su Repubblica e soprattutto in una relazione molto precisa e dettagliata tenuta in occasione del Congresso Regionale AIPO Marche il 12 novembre 2016.


Il sacerdote-teologo
“Così lasciai detto di staccarmi la spina”
intervista a Alberto Maggi a cura di Paolo Rodari 
pubblicata su Repubblica il 18 novembre 2017 

«Ero ricoverato in ospedale per dissezione aortica. Non sapevo bene che malattia fosse. Accesi l’iPad e lessi che dava alta possibilità di morte. Parlai coi medici prima dell’operazione chirurgica che di lì a poco dovevo subire. Fui chiaro: se fossi rimasto paraplegico volevo vivere, ma se fossi incorso in danni cerebrali permanenti, come era altamente probabile, no, dovevano lasciarmi morire. Parlai anche col mio confratello Ricardo e gli dissi di far sì che le mie volontà fossero in tutto e per tutto esaudite: “Per carità — gli dissi — se succede aiutami a staccare”». 

Così padre Alberto Maggi, sacerdote e teologo, fine biblista, frate dell’Ordine dei Servi di Maria, che ha raccolto in un libro — “Chi non muore si rivede. Il mio viaggio di fede e allegria tra il dolore e la vita” — la sua esperienza a «un passo dalla morte». Non aveva paura di farla finita?

 «Assolutamente no. Dissi ai medici. Non preoccupatevi. Se muoio durante l’operazione è solo la mia parte biologica a deperire. La mia anima, invece, continuerà a vivere per sempre. Diedi disposizione anche per il funerale: dopo la Messa in convento nessuno avrebbe dovuto seguire la salma al cimitero. Il mio corpo piuttosto doveva essere consegnato alle pompe funebri mentre tutti i presenti sarebbero dovuti restare in convento a festeggiare non il povero Alberto, ma il “beato” Alberto. Ricordavo a tutti l’Apocalisse, il testo di Giovanni per il quale la morte è una beatitudine ». 

La vita non è sacra? 
«Questo è il punto: è sacra la vita o l’uomo? Se è sacra la vita si deve difendere a oltranza anche quando diviene accanimento; se, invece, è sacro l’uomo gli si deve riconoscere la sua dignità e in alcuni casi lo si può anche aiutare ad andarsene serenamente». 

Eppure, a volte, anche chi firma per farla finita, o dichiara pubblicamente le sue intenzioni in questo senso, poi si pente. 
«È vero. Infatti il paziente va sempre ascoltato perché non tutti quando si trovano a un passo dalla morte sono pronti ad andarsene. Non vedono la morte come un nuovo inizio, ma come una fine e hanno paura, vogliono restare. E anche questo loro sentire va rispettato. Ho in mente casi diversi. Ricordo in particolare un amico medico che ha avuto la Sla. Si trovava in coma. Sembrava non avesse possibilità di svegliarsi. O lo si lasciava morire sotto sedazione o gli si applicava una tracheostomia per permettergli di respirare. I familiari mi chiesero un parere. Dissi loro che senz’altro non avrebbe voluto la tracheostomia. Invece, incredibilmente, si svegliò e fu lui a chiederla ai medici. Andò avanti tra atroci sofferenze, una gamba amputata, una sacca per l’alimentazione. Lì capii che nulla è scontato su questo terreno e che il paziente va sempre ascoltato». 

Ricorda altri casi? 
«Un caso diverso fu quello di Max Fanelli, anch’egli colpito da Sla. Andai a trovarlo. Gli funzionava solamente un occhio col quale usava una macchinario per comunicare. L’occhio era appena incorso in un’infiammazione: “Tra poco non potrò più comunicare. Il mio corpo diverrà un sarcofago”, mi disse. Una cosa da impazzire. Si batté fino alla fine per una legge che non continuasse, per chi si trova in condizioni estreme, cure inutili». 

Le parole di Francesco di oggi cosa dicono? 
«Dicono della sua passione per l’umanità. Il Papa alla dottrina preferisce l’uomo. Non vuole portare gli uomini verso Dio, sennò ci sarebbe bisogno di leggi, di norme, quanto portare Dio verso gli uomini. E vuole farlo, appunto, non con una dottrina ma con una carezza, un linguaggio insomma che tutti possono capire. Una carezza la comprendono tutti, anche i cosiddetti lontani. Gesù è stato la tenerezza di Dio per i bastonati dell’umanità. Sapeva bene che anche coloro che erano abbandonati andavano accarezzati e in questo modo dava loro la possibilità di rinascere».

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SACRALITÀ DELLA VITA O DELL’UOMO?
relazione di Alberto Maggi
al Congresso Regionale AIPO Marche il 12 novembre 2016.
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Gesù e i malati
Al tempo di Gesù predomina la spiritualità farisaica, con la dottrina del merito e del castigo, e la malattia viene vista come espressione della punizione divina per il peccato...

Gesù non si occupa della dottrina, ma dell’uomo. Per questo non tratta della malattia ma si prende cura dei malati. Esclude in maniera categorica l’idea del castigo divino e soprattutto cambia il concetto del peccato: da offesa a Dio a offesa all’uomo (Mc 7,20-23)...

Gesù non elabora una teologia del male o una spiritualità della sofferenza. Lui non dà spiegazioni, agisce. Non teorizza, lui risana. Là dove c’è morte lui comunica vita, dove c’è debolezza lui trasmette forza, dove c’è disperazione infonde coraggio...

E la Legge?
... Tra l’osservanza della Legge divina e la salute e il benessere dell’uomo Gesù non ha mai avuto dubbi ha sempre scelto quest’ultima, suscitando le proteste dei capi religiosi ... Il bene dell’uomo è per Gesù più importante dell’ubbidienza alla legge divina, e per restituire vita agli infermi Gesù ha messo in pericolo la sua ...
L’insegnamento dei vangeli è che ogni qualvolta ci si trova davanti al conflitto tra l’osservanza della dottrina e il bene concreto dell’uomo è questo che va scelto.
Associati all’azione vivificante del Padre, Gesù non invia i discepoli a convertire i peccatori, ma, come lui, a curare e a guarire, ad alleviare le sofferenze dell’umanità ...
L’invito di Gesù continua nel tempo, ed è compito della comunità dei credenti la cura dei malati rispondendo all’appello di Gesù “Ero malato e mi avete visitato” (Mt 25,36), come ben comprese la comunità cristiana primitiva ...

Sacralità e mistero della vita
La sacralità della vita fu quindi elemento importante e centrale nella comunità cristiana, che da sempre la difende dal suo inizio alla sua fine. Questa consolidata e indiscussa verità, patrimonio della fede dei credenti, ha iniziato però a scricchiolare dal secolo scorso, quando lo straordinario progresso della medicina, della scienza unita alla tecnologia, ha fatto sì che tante malattie, considerate inevitabilmente mortali, non lo fossero più, restringendo sempre più gli ambiti della mortalità, ma ponendo un problema: fin dove la scienza medica può arrivare? Fin dove la tecnica si può spingere nel sostituire parti malate con elementi artificiali?
Il problema che oggi si pone è infatti se la persona abbia o no la possibilità di decidere fin dove il rispetto della sacralità e del mistero della vita lo può e deve mantenere vivo, anche se artificialmente, e dove la sua dignità gli permetta di decidere di non prolungare cure e tecniche che protraggono la vita biologica a scapito di profonde sofferenze per l’uomo interiore.
Pertanto il dilemma è:
se è sacra la vita, questa va difesa e prolungata a oltranza;
se è sacro l’individuo, costui ha il diritto di decidere una morte dignitosa.
La risposta a questo dilemma nessuno la può dare se non la stessa persona. Nessuna legge civile, nessuna dottrina religiosa, nessuna istituzione, si può sostituire all’individuo, alle sue convinzioni etiche e religiose.
La soluzione ideale è quella dove il conflitto viene superato e si riesce a far coincidere e fondere la sacralità della vita con quella dell’individuo. Ma la complessità della psiche umana, il mutarsi delle circostanze, può far sì che una scelta che era ben chiara e consapevole non lo sia più, che alla fine il desiderio di sopravvivenza sia più forte delle proprie convinzioni e decisioni, e che si preferisca l’incertezza di una vita mantenuta artificialmente alla certezza della morte.
Pertanto non resta che accompagnare la persona in ogni suo passo, anche se a volte contraddittorio, garantendo, qualunque sia la sua scelta, il supporto non solo altamente tecnologico, ma profondamente umano della struttura che si prende cura della sua persona nella malattia, nella sua vita, e nella sua fine.


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