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sabato 17 febbraio 2018

GESÙ UOMO LIBERO di Carlo Molari

GESÙ UOMO LIBERO 
di Carlo Molari


La libertà è uno dei tratti caratteristici della persona matura. Vogliamo riflettere sulla libertà di Gesù: in quale forma e in che misura Gesù è stato uomo libero? La finalità della nostra riflessione è acquisire i criteri per imparare ad esercitare, come Gesù, la libertà dei figli di Dio.
Il cammino della libertà ha avuto tappe anche nell’ambito della specie umana e Gesù certamente rappresenta un momento significativo di questo processo che ha avuto momenti di involuzione o riflusso e ha registrato salti qualitativi molto decisi.
In questo tipo di riflessione è facile cadere nella idealizzazione e attribuire a Gesù tutte le qualità in modo eminente, prescindendo dalle condizioni storiche e dai imiti culturali del suo tempo, che invece devono essere tenuti presenti.
Sarebbe inutile partire da una definizione astratta di libertà per vederne le applicazioni in Cristo. La libertà ha qualità e dinamiche diverse secondo il grado a cui una persona è pervenuta e secondo lo stile della comunità di appartenenza. In questa prospettiva intendiamo esaminare alcuni aspetti dell’esperienza storica di Gesù, partendo dal presupposto della sua volontà umana.

Libertà umana di Gesù
La prima riflessione riguarda l’esistenza di una volontà umana in Gesù. Nel N. T. appare senza ombra di dubbio l’esercizio della libertà da parte sua. Ha riflettuto e pregato prima di fare scelte, ha cambiato progetti, si è adattato a nuove situazioni. Eppure non sono mancate le negazioni.
I numerosi sussulti del monofisismo, che si svilupparono dopo il Concilio di Calcedonia (451), si presentarono anche come negazione della libera attività umana di Gesù, soffocata dalla incombente presenza del Verbo divino. La prima forma è stata la difesa di un’unica azione divina nel Verbo incarnato e quindi la negazione di un’attività propria alla natura umana (monoenergetismo: unica operazione mya enérgheia). Una seconda forma è stata la negazione di una volontà umana (monotelismo: unica volontà mya thélema). Furono due tentativi di ricomporre la frattura provocata dalla condanna del monofisismo nel Concilio di Calcedonia, attraverso concessioni fatte agli eretici da parte di alcuni ortodossi.
II terzo Concilio di Costantinopoli (680, quinto ecumenico) affrontò i due problemi ed affermò sia la libera attività della natura divina che quella della natura umana. A questo proposito riprese i quattro avverbi di Calcedonia affermando che l’unione delle due nature avviene: senza mutazione, senza confusione, senza separazione e senza divisione. Il Concilio era stato preceduto dal Sinodo del Laterano celebrato da papa Martino I nel 649 e successivamente dal Sinodo del 680 con papa Agatone, la cui lettera fu letta nel terzo concilio di Costantinopoli, il quale sancì: «Piamente proclamiamo secondo la dottrina dei SS. Padri due naturali volizioni o volontà (theléseis etoi thelémata) in Lui, e due natura i operazioni (enérgheias) senza divisione senza mutazione, senza separazione senza confusione, e due volontà naturali non in contrasto, si badi bene, come hanno detto gli empi eretici, ma la sua volontà umana docile e non restia né recalcitrante, ma piuttosto sottomessa alla sua divina e onnipotente volontà». In altre parole: una volta ammesso il dogma che in Cristo v’è oltre alla natura divina, anche quella umana nella sua integrità, ne segue che questa è dotata di una volontà umana, oltre quella divina. Nei secoli successivi altre formule resero difficile la comprensione fra le chiese che utilizzavano modelli diversi.

Fattore di ambiguità: la visione beatifica
Anche in ambito teologico occidentale vi è stata molta difficoltà a mantenere la chiara distinzione tra le due attività e tra le due volontà del Verbo incarnato. II fattore principale di confusione è stata la teoria che attribuiva a Gesù, fin dall’inizio della sua concezione, la visione beatifica e la scienza infusa. Scriveva Pietro Parente nei primi anni ’50: «Prescindendo dai sistemi teologici, si deve dire che la difficoltà non è in un punto piuttosto che in un altro, ma è nella complessità degli elementi che vi concorrono: Unione Ipostatica e conseguente impeccabilità, Grazia, visione beatifica. Ma soprattutto va tenute conto della condizione singolare di Cristo, compressore e viatore insieme, e però non va equiparato ai beati che sono già in cielo. Questa duplicità di condizione fisica e psicologica attenua almeno le difficoltà avanzata contro la libertà per via della visione beatifica» (Libertà di Gesù Cristo, in Enciclopedia Cattolica 7 (1951) 1285 1291, qui 1286).
Superata questa teoria, la teologia oggi è molto più decisa nell’affermare la libera volontà umana di Gesù. Vi sono alcuni avvenimenti e circostanze nei quali appare in modo chiaro il grado di libertà alla quale Gesù era pervenuto vivendo il rapporto di abbandono fiducioso in Dio. La croce è in questo senso l’evento centrale della libertà di Cristo, l’espressione suprema delle sua capacità di amare.

Il dato prioritario è il rapporto vissuto con Dio.
Il rapporto con il Padre è il fondamento: le dinamiche di libertà in Gesù nascevano dal rapporto che egli viveva con Dio, dalla fiducia che esercitava nel Padre: la libertà di Figlio. L’unione con Dio libera da ogni potere soggiogante, conduce all’amore liberato e liberante, ama i nemici, non reagisce istintivamente, offre liberamente la sua vita: Gv. 10,17.
Libertà nei confronti dei vincoli famigliari. La scelta che egli compie di dedicare tutta l’esistenza alla predicazione del Regno sconcerta suoi che decidono di «andare a prenderlo: poiché dicevano: “è fuor di sé”» (Mc 3, 21). Gesù indica quale criterio segue: «chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?… Chi compie la volontà di Dio, costui è mio fratello, sorella e madre» (Mc 3, 35).
La possibilità di accostare i peccatori e offrire loro il perdono è il segno della ricchezza interiore, della capacità di non essere invischiato dal male. 
La libertà del perdonare deve essere caratteristica dei figli: «siate misericordiosi come il Padre vostro che è nei cieli» (Lc 6,36).
Libertà nei confronti della “tradizione degli uomini” (Mc 7,7) o dei “precetti di uomini” (Mt. 15,9 che cita Is. 29,13). Gesù non seguiva le leggi di purità e non aveva difficoltà a trasgredire alcune leggi di fronte a un bene maggiore.

Conclusione
Gesù non solo ha vissuto ma ha anche insegnato o meglio indotto e suscitato libertà. Il valore fondamentale è la condizione di figli: «I figli sono esenti» (Mt 17, 26). «Se rimanete fedeli alla mia parola, sarete davvero miei discepoli, conoscerete la verità e la verità vi farà liberi…. Se il Figlio vi farà liberi sarete liberi davvero» (Gv. 8, 31 s., 36). L’insegnamento di Gesù ha avuto sviluppi concreti nella prassi delle prime comunità cristiane (Gv. 8, 32. 36) e nella predicazione di Paolo (Gal 5,1; 5,1 3; 2 Cor 3,17), con una differenza: mentre Paolo ricorre alla metafora dell’adozione, («avete ricevuto lo Spirito che rende figli adottivi» Rom 8,15) Giovanni parla di generazione («chiunque ama è stato generato da Dio e conosce Dio» 1Gv 4, 10).

(Fonte:  “Oreundici” - gennaio 2018)