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lunedì 9 aprile 2018

Continuano gli attacchi subdoli e pretestuosi a Papa Francesco - Dopo i Dubia ora una Declaratio sull’Amoris laetitia


Abbiamo ricevuto insistentemente il testo della dichiarazione conclusiva del Convegno “Chiesa dove vai?"; raduno annunciato anche con lo scopo di illustrare una "correzione fraterna" a Papa Francesco, per ora inesistente. Per dovere di cronaca pubblichiamo questo testo sottolineando però un dettaglio non da poco: la "Declaratio" – che poteva essere presentata come Dichiarazione semplicemente - ci è arrivata da più parti ma senza firmatari. Sino a questo momento non ci risulta che qualcuno abbia intenzione di dare la faccia apertamente con la sua firma in calce. Se questo documento, per ora anonimo, avrà più avanti firmatari conosciuti aggiorneremmo la nostra informazione. Non risultano nemmeno le firme di due cardinali relatori molto attivi nell'organizzazione del convegno.

E' interessante notare che sull'Amoris laetitia, prima definito documento con contenuti eretici, ora si dice che ha avuto "interpretazioni contraddittorie". (Luis Badilla)

Declaratio
A causa di interpretazioni contraddittorie dell’Esortazione apostolica Amoris laetitia, tra i fedeli nel mondo si diffondono sconcerto e confusione.
L’urgente richiesta da parte di circa un milione di fedeli, più di 250 studiosi e anche di cardinali di una risposta chiarificatrice del Santo Padre a queste domande non è stata finora ascoltata.
Nel grave pericolo venutosi a creare per la fede e l’unità della Chiesa noi, membri battezzati e cresimati del Popolo di Dio, siamo chiamati a riaffermare la nostra fede cattolica.
Ci autorizza e ci incoraggia a farlo il Concilio Vaticano II, che nella Lumen gentium al n. 33 afferma: «Così ogni laico, in virtù dei doni che gli sono stati fatti, è testimonio e insieme vivo strumento della stessa missione della Chiesa “secondo la misura del dono del Cristo” (Ef 4,7)».
Ci incoraggia a farlo anche il beato John Henry Newman, che nel suo scritto si può dire profetico On Consulting the Faithful in Matter of Doctrine, già nell’anno 1859 indicava l’importanza della testimonianza di fede da parte dei laici.
Perciò noi testimoniamo e confessiamo in accordo con l’autentica tradizione della Chiesa che:
il matrimonio tra due battezzati, rato e consumato, può essere sciolto solo dalla morte.
Perciò i cristiani che, uniti da un matrimonio valido, si uniscono a un’altra persona mentre il loro coniuge è ancora in vita, commettono il grave peccato di adulterio.
Siamo convinti che si tratta di un comandamento morale assoluto, che obbliga sempre e senza eccezioni.
Siamo anche convinti che nessun giudizio soggettivo di coscienza può rendere buona e lecita un’azione intrinsecamente cattiva.
Siamo convinti che il giudizio sulla possibilità di amministrare l’assoluzione sacramentale non si fonda sull’imputabilità o meno del peccato commesso, ma sul proposito del penitente di abbandonare un modo di vita contrario ai comandamenti divini.
Siamo convinti che i divorziati risposati civilmente e non disposti a vivere nella continenza, trovandosi in una situazione oggettivamente in contrasto con la legge di Dio, non possono accedere alla Comunione eucaristica.
Il nostro Signore Gesù Cristo dice: «Se rimanete nella mia parola siete davvero miei discepoli, conoscerete la verità e la verità vi farà liberi» (Gv 8,31-32).
Con questa fiducia confessiamo la nostra fede davanti al supremo pastore e maestro della Chiesa insieme ai vescovi e chiediamo loro di confermarci nella fede.
(fonte: Il Sismografo)

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Nella giornata di sabato 7 aprile in un convegno a Roma è stata redatta una lettera in riferimento all'Amoris laetitia nella quale si parla di «grave pericolo venutosi a creare per la fede e l’unità della Chiesa» a causa di «interpretazioni contraddittorie» dell’Amoris laetitia, tali che «tra i fedeli nel mondo si diffondono sconcerto e confusione crescenti». 
Di seguito riportiamo un'intervista al teologo Giuseppe Lorizio che replica al documento e un articolo dedicato a questo convegno.

Il teologo: «È una dichiarazione inutile, nessuno cambia le verità di fede»
(di Luciano Moia)

«Che valore dare a questa dichiarazione? Del tutto inutile. Nessuna delle verità di fede che la tradizione ci consegna su Eucaristia e matrimonio viene rivoluzionata da Amoris laetitia. Quindi non si vede la necessità di ribadire verità che nessuno mette in dubbio». Ne è convinto monsignor Giuseppe Lorizio, docente di teologia fondamentale alla Lateranense. «Ma voglio dirlo in maniera serena, non polemica, confrontandomi su alcuni aspetti evocati durante il convegno di ieri».

Cominciamo da un punto teologico fondamentale come il “sensus fidelium”. È stato detto, ricordando un testo del beato Newman, che sarebbe necessario nei momenti di crisi ricorrere alla consultazione dei fedeli laici. Siamo in uno di quei momenti?
Direi proprio di no. Anche perché la consultazione durante il periodo sinodale è già stata fatta in modo ampio e accurato. L’esito è stato chiarissimo. Non se ne può avviare una alternativa. Questo è davvero un punto di debolezza. Ma sono evidenti anche i risultati della ricezione.

Si riferisce all’accoglienza di «Amoris laetitia» nelle comunità?
Certo. Per limitarci all’Italia, quando oltre 150 diocesi avviano iniziative importanti per promuovere e tradurre in prassi pastorale l’Esortazione, vuol dire che non c’è confusione come è stato detto ma gioiosa gratitudine per il cammino sinodale compiuto dalla Chiesa. L’Ufficio famiglia della Cei ha messo insieme un dossier di 200 pagine con tutto quanto fatto in questi due anni. Sono fatti concreti. Come si fa a ignorare questa realtà? Questo vuol dire ascoltare il “sensus fidelium”.
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Il convegno. Lo sconcerto di due prelati nella forma di una «declaratio»
(di Mimmo Muolo)

Due cardinali, Walter Brandmüller e Raymond Leo Burke, un vescovo, monsignor Athanasius Schneider, e diversi laici, tra i quali l’ex presidente del Senato Marcello Pera, sono stati ieri tra i relatori del convegno “Chiesa cattolica dove vai?” (sottotitolo una frase del cardinale Carlo Caffarra: «Solo un cieco può negare che nella Chiesa ci sia grande confusione»), sfociato nella lettura di una Declaratio. Nel testo si parla di «grave pericolo venutosi a creare per la fede e l’unità della Chiesa» a causa di «interpretazioni contraddittorie» dell’Amoris laetitia, tali che «tra i fedeli nel mondo si diffondono sconcerto e confusione crescenti». Per questo i proponenti ribadiscono l’indissolubilità del matrimonio e riaffermano che «i cristiani che, uniti da un matrimonio valido, si uniscono a un’altra persona mentre il loro coniuge è ancora in vita, commettono il grave peccato di adulterio». Dunque «i divorziati risposati civilmente e non disposti a vivere nella continenza, trovandosi in una situazione oggettivamente in contrasto con la legge di Dio, non possono accedere alla Comunione eucaristica». Tutto questo evidentemente sottintendendo che l’Esortazione di papa Francesco quanto meno renderebbe non assoluta questa regola.

Tutto il convegno, del resto, è stato costruito su uno scoperto quanto rischioso filo del rasoio. Ricordare le “regole del gioco” (ad esempio in materia di plenitudo potestatis del Papa), facendo intendere che in questo frangente si lavora per aggirarle. Oppure richiamarsi (come ha fatto Brandmüller, citando un testo del 1859 del cardinale Newman) al sensus fidei dei fedeli (di cui pure c’è ampia traccia in Evangelii gaudium), sottolineando da un lato che esso «richiede la santità» e che dunque «non lo si può determinare democraticamente» e dall’altro che ce ne sarebbe di più in manifestazioni spontanee come Manif pour tous che nei questionari compilati in vista del Sinodi. 

Anche Burke si è mosso su un crinale simile.
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Ancora una volta una reazione piuttosto ottusa di fronte al grande testo di “Amoris Laetitia”. Con la pretesa di rappresentare molti, addirittura di agire “in persona ecclesiae”, ma con l’unica sicurezza di parlare “in persona ipsius loquentis”, un gruppo di laici, vescovi e cardinali – sempre quelli, in servizio già da due anni – si sono espressi con una triste “formula di fede” intorno al matrimonio. Nel suo cuore le “6 proposizioni” suonano così:

Perciò noi testimoniamo e confessiamo in accordo con l’autentica tradizione della Chiesa che:

1) il matrimonio tra due battezzati, rato e consumato, può essere sciolto solo dalla morte.

2) Perciò i cristiani che, uniti da un matrimonio valido, si uniscono a un’altra persona mentre il loro coniuge è ancora in vita, commettono il grave peccato di adulterio.

3) Siamo convinti che esistono comandamenti morali assoluti, che obbligano sempre e senza eccezioni.

4) Siamo anche convinti che nessun giudizio soggettivo di coscienza può rendere buona e lecita un’azione intrinsecamente cattiva.

5) Siamo convinti che il giudizio sulla possibilità di amministrare l’assoluzione sacramentale non si fonda sull’imputabilità o meno del peccato commesso, ma sul proposito del penitente di abbandonare un modo di vita contrario ai comandamenti divini.

6) Siamo convinti che i divorziati risposati civilmente e non disposti a vivere nella continenza, trovandosi in una situazione oggettivamente in contrasto con la legge di Dio, non possono accedere alla Comunione eucaristica.

Sostanzialmente ritroviamo qui i contenuti dei “5 dubia” tradotti dalla forma di “domande poste alla autorità” alla forma di una “dichiarazione/confessione” con pretese di autorevolezza, presunta e non poco presuntuosa.

Non mi soffermo se non sulle proposizioni 1 e 5, che presentano, in modo assai chiaro, una lettura della tradizione cattolica pesantemente condizionata da due fattori: da un lato dalla “lotta contro lo stato moderno”; dall’altro dalla perdita di coscienza della ampiezza e della complessità della tradizione penitenziale della Chiesa. Proprio coloro che pretendono di essere “fedeli alla tradizione” si lasciano schiacciare dalla prospettiva più recente e dimenticano le cose precedenti, con tutta la loro sapienza.

Infatti, nel momento in cui, a partire dalla seconda metà del XIX secolo, la Chiesa ha potuto illudersi di dover identificare “ordine matrimoniale” e “ordine pubblico”, ha gradualmente irrigidito il trattamento di questa materia, facendola diventare quasi il “banco di prova” della propria autorità. Per garantire i diritti di Dio, ha sempre più esasperato i propri diritti in campo pubblico, spesso entrando direttamente in conflitto con gli ordinamenti statali e perdendo la memoria delle sue prassi tradizionali.
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