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martedì 17 aprile 2018

Francesco e i “santi della porta accanto” di mons. Bruno Forte

Francesco e i “santi della porta accanto”
di mons. Bruno Forte
Arcivescovo di Chieti-Vasto


Datata 19 Marzo 2018 e pubblicata lo scorso 9 Aprile, l’Esortazione Apostolica di Papa Francesco Gaudete et Exultate ha come obiettivo quello di “far risuonare ancora una volta la chiamata alla santità, cercando di incarnarla nel contesto attuale, con i suoi rischi, le sue sfide e le sue opportunità” (n. 2). 

La prima domanda che il Papa si pone è quella su che cosa debba intendersi per “chiamata alla santità”: si tratta del progetto di vita voluto da Dio per ognuno di noi, in base al quale si possa essere come Lui ci desidera, pienamente umani e protesi verso la meta della comunione con Lui, iniziata in questa vita e portata a compimento nella città celeste. 
Papa Francesco vuole presentare la concretezza e l’accessibilità a tutti di questo progetto, tanto che fra i santi “può esserci la nostra stessa madre, una nonna o altre persone vicine. Forse la loro vita non è stata sempre perfetta, però, anche in mezzo a imperfezioni e cadute, hanno continuato ad andare avanti e sono piaciute al Signore” (n. 3). 
È in questo senso che Francesco parla dei “santi della porta accanto”: “Mi piace vedere la santità nel popolo di Dio paziente: nei genitori che crescono con tanto amore i loro figli, negli uomini e nelle donne che lavorano per portare il pane a casa, nei malati, nelle religiose anziane che continuano a sorridere. In questa costanza per andare avanti giorno dopo giorno vedo la santità della Chiesa militante. Questa è tante volte la santità ‘della porta accanto’, di quelli che vivono vicino a noi e sono un riflesso della presenza di Dio, o, per usare un’altra espressione, ‘la classe media della santità’” (n. 7). 

La santità così intesa è per Papa Francesco “il volto più bello della Chiesa. Ma anche fuori della Chiesa Cattolica e in ambiti molto differenti, lo Spirito suscita segni della sua presenza, che aiutano gli stessi discepoli di Cristo” (n. 9). 

La santità cui siamo tutti chiamati è insomma umile, feriale, accessibile a ognuno, e non ha bisogno di garanzie di appartenenza, tanto che la si può trovare dappertutto, anche fuori della comunità ecclesiale. Essa si costruisce attraverso piccoli gesti: “Per esempio: una signora va al mercato a fare la spesa, incontra una vicina e inizia a parlare, e vengono le critiche. Ma questa donna dice dentro di sé: No, non parlerò male di nessuno. Questo è un passo verso la santità. Poi, a casa, suo figlio le chiede di parlare delle sue fantasie e, anche se è stanca, si siede accanto a lui e ascolta con pazienza e affetto. Ecco un’altra offerta che santifica. Quindi sperimenta un momento di angoscia, ma ricorda l’amore della Vergine Maria, prende il rosario e prega con fede. Questa è un’altra via di santità. Poi esce per strada, incontra un povero e si ferma a conversare con lui con affetto. Anche questo è un passo avanti” (n. 16). Con il linguaggio semplice della quotidianità Papa Francesco invita tutti a rispondere al disegno che ci fa veramente uomini, quel disegno che è appunto la chiamata alla santità.

Per realizzare questa risposta quello che conta, afferma ancora il Papa, è “compiere azioni ordinarie in un modo straordinario” (n. 17), con tutto l’amore di cui siamo capaci. In tal senso, si deve pensare a uno stile di santità “che impregni tanto la solitudine quanto il servizio, tanto l’intimità quanto l’impegno evangelizzatore, così che ogni istante sia espressione di amore donato sotto lo sguardo del Signore. In questo modo, tutti i momenti saranno scalini nella nostra via di santificazione” (n. 31). 

Si può comprendere, di conseguenza, quali siano i nemici della santità: la presunzione di ridurla a un processo puramente intellettuale (gnosticismo) e quella di raggiungerla con le nostre sole forze, secondo la pretesa dell’eresia di Pelagio, monaco teologo che operò fra il IV e il V secolo (pelagianesimo). “Lo gnosticismo è una delle peggiori ideologie, poiché, mentre esalta indebitamente la conoscenza o una determinata esperienza, considera che la propria visione della realtà sia la perfezione” (n. 40): esso rende la santità un lusso riservato a pochi e alla fine inconsistente. Quanti, invece, hanno una mentalità “pelagiana”, “benché parlino della grazia di Dio con discorsi edulcorati, in definitiva fanno affidamento unicamente sulle proprie forze e si sentono superiori agli altri” (n. 49). Francesco insiste invece sul fatto che non si può essere santi senza l’aiuto di Dio: “La Chiesa ha insegnato numerose volte che non siamo giustificati dalle nostre opere o dai nostri sforzi, ma dalla grazia del Signore che prende l’iniziativa” (n. 52). Non sono i nostri meriti a salvarci, ma la grazia dell’Altissimo: “Nei confronti di Dio in senso strettamente giuridico non c’è merito da parte dell’uomo. Tra Lui e noi la disuguaglianza è smisurata. La sua amicizia ci supera infinitamente, non può essere comprata da noi con le nostre opere e può solo essere un dono della sua iniziativa d’amore” (n. 54). In tal modo Francesco evidenzia come l’assoluto primato della grazia divina, che sta al centro e al cuore della riforma protestante, sia anche l’ispirazione più profonda della fede e della morale cattolica! E questo è ancor più importante ricordarlo in un’epoca come la nostra in cui la pretesa del fare tutto da sé è fascinosa, con conseguenze spesso drammatiche di fallimento e di infelicità.

Nel descrivere, poi, lo stile di vita della santità, il Papa rimanda a Gesù, che “ha spiegato con tutta semplicità che cos’è essere santi, e lo ha fatto quando ci ha lasciato le Beatitudini. Esse sono come la carta d’identità del cristiano” (n. 63). Alla base c’è la coscienza di essere tutti oggetto dell’infinita misericordia di Dio: “Occorre pensare che tutti noi siamo un esercito di perdonati” (n. 82). Questa consapevolezza libera da pretese e azzardi pieni di superbia, e dona gioia e pace al cuore: “Il santo è capace di vivere con gioia e senso dell’umorismo. Senza perdere il realismo, illumina gli altri con uno spirito positivo e ricco di speranza” (n. 122). E ciò perché nella sua vera essenza “la santità è fatta di apertura abituale alla trascendenza, che si esprime nella preghiera e nell’adorazione” (n. 147). Questa visione positiva e serena non ha, però, nulla di ingenuo: “La vita cristiana è un combattimento permanente. Si richiedono forza e coraggio per resistere alle tentazioni del diavolo e annunciare il Vangelo. Questa lotta è molto bella, perché ci permette di fare festa ogni volta che il Signore vince nella nostra vita” (n. 158). Nella tensione che tutto ciò comporta risulta decisivo il cammino del discernimento, nutrito di preghiera: esso “richiede di partire da una disposizione ad ascoltare: il Signore, gli altri, la realtà stessa che sempre ci interpella in nuovi modi. Solamente chi è disposto ad ascoltare ha la libertà di rinunciare al proprio punto di vista parziale e insufficiente, alle proprie abitudini, ai propri schemi” (n. 172). 

Allora, ci si apre a riconoscere Dio all’opera nella nostra vita e nulla può più impedirci di vivere nel Suo amore, sperimentando quella libertà donata, che è nel più profondo la Sua grazia e il dono della santità cui Egli chiama. Una promessa per la solitudine di cui siamo tutti più o meno malati al nostro tempo segnato dall’ambizione e dalla fretta, una sfida ad abbandonare le nostre presunzioni, più o meno frutto di pregiudizi ideologici, per abbandonarci all’amore di Dio, che solo non conosce confini.

(fonte: Il Sole 24 Ore 15/04/2018)