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giovedì 24 maggio 2018

Il “corpo santo” di Giovanni XXIII, il “Papa buono”, torna per 18 giorni nella sua terra natale - "La nostra vita è pellegrinaggio" - Papa Francesco: "San Giovanni XXIII un uomo e un Santo che non conosceva la parola nemico e cercava sempre ciò che unisce”


La vita è pellegrinaggio
· A Bergamo le spoglie di Giovanni XXIII ·

Da giovedì 24 maggio fino a domenica 10 giugno il “corpo santo” di Giovanni XXIII lascia il Vaticano e torna nella sua terra natale per essere esposto alla venerazione dei fedeli. Una peregrinatio di diciotto giorni con un calendario ricco di appuntamenti. Ogni giornata sarà caratterizzata da un tema spirituale. Un modo, ha spiegato il vescovo di Bergamo, Francesco Beschi, per ripercorrere i tratti salienti della vita del “Papa buono”, così da far risuonare nuovamente le sue parole. E trarne insegnamento per l’oggi. 

Dopo l’accoglienza delle istituzioni e dei fedeli nel centro di Bergamo, le spoglie del Pontefice nel pomeriggio di giovedì 24 raggiungeranno il carcere di via Gleno. Successivamente l’urna farà tappa in cattedrale, poi il seminario, l’ospedale cittadino, il santuario della Cornabusa in valle Imagna, il convento di Baccanello, infine, Sotto il Monte, il paese natio di Papa Roncalli divenuto in pochi anni un “santuario a cielo aperto”, come mette in evidenza il libro scritto dal parroco, don Claudio Dolcini, insieme a Marco Roncalli (Un paese, un santo. Sotto il Monte Giovanni XXIII, Brescia, Morcelliana, 2018, pagine 104, euro 10). 
Proprio a Sotto il Monte domenica 3 giugno, cinquantacinquesimo anniversario della morte del Pontefice, l’arcivescovo di Milano, Mario Delpini, presiederà una messa con tutti i vescovi della Lombardia. Sabato 9 giugno, sarà il segretario di Stato, cardinale Pietro Parolin, a presiedere la celebrazione conclusiva. 

Anticipiamo la presentazione al volume, impreziosito da un ricco corredo iconografico, che il direttore della Fondazione Papa Giovanni XXIII firma insieme a Valter Dadda («La nostra vita è pellegrinaggio». San Giovanni XXIII, Gorle, Velar, 2018, pagine 127).

Spesso i titoli dei libri raccolti nella biblioteca di una persona lasciano intuire i suoi interessi, rivelano particolari preziosi della sua anima. Nello stesso modo, i luoghi che hanno visto nascere, crescere e maturare Papa Giovanni, sono indizi sicuri per cogliere la sua santità, semplice e straordinaria. Questi luoghi hanno segnato in profondità la sua fisionomia umana e cristiana. Egli vi si recava spesso e quando non gli era possibile raggiungerli fisicamente, li richiamava alla memoria. Da quei ricordi fiorivano sentimenti di dolcezza, desideri di bontà, pensieri di pace. Ne troviamo frequenti attestazioni nelle sue note personali: «Mi godo in questi giorni la mia solitudine nella camera che ho fatto preparare per me all’ultimo piano... La poesia di quei luoghi e di quei ricordi mi avvolge e mi intenerisce» (14 agosto 1952); «mi è grandemente piacevole poter tornare in quei luoghi della mia fanciullezza» (29 luglio 1955); «la visione di luoghi che mi furono cari e famigliari si dilunga dai miei occhi, volgendoli alle consolazioni superne!» (4 agosto 1956); «tutto ho in mente come fosse di ieri: luoghi, persone, cose. E dal pio ricordo traggo motivo di insegnamento e di incoraggiamento. Deus meus misericordia mea» (10 agosto 1948).

Illustrando le tappe principali della sua “geografia spirituale”, questo libro vuol essere d’aiuto a pellegrini devoti, ammiratori curiosi, famiglie in difficoltà, anziani e ammalati, giovani in ricerca, uomini e donne di buona volontà perché possano fissare le date importanti della vita di Angelo Giuseppe Roncalli, posare lo sguardo sul suo volto, avere tra mano le parole più significative del suo insegnamento, e soprattutto percepire la sua calda umanità, per calpestarne le orme e imitarne la santità.

Nella tradizione cristiana è proprio questo il senso del pellegrinaggio, eminente espressione della pietà popolare: facilitare l’incontro con l’umanità concreta di un santo attraverso il linguaggio dei sensi. Vedere le povere stanze di Sotto il Monte dove il futuro Papa è venuto alla luce; gustare il sapore della polenta che ogni giorno rallegrava la tavola della sua numerosa famiglia; udire il dolce suono delle campane che di prima mattina o sul fare della sera chiamavano alla preghiera; sentire il profumo dei fiori lungo il sentiero che si inerpica fino alla torre di San Giovanni; toccare i quaderni che Angelo, giovane seminarista, vergava fitti fitti con il pennino; sfogliare lentamente le pagine di libri antichi che consultava nella biblioteca civica di Bergamo, immaginare i lontani villaggi bulgari che egli raggiungeva a cavallo; rivederlo benedicente, mentre attraversava in gondola i canali di Venezia; contemplare in silenzio il suo corpo ormai glorificato.

«La nostra vita è pellegrinaggio». Così Papa Giovanni XXIII si espresse il 4 ottobre 1962, parlando alla folla assiepata nella piazza del Santuario di Loreto, dove si era recato per invocare la Vergine Maria affinché proteggesse il concilio Vaticano II che doveva aprirsi la settimana seguente. Egli amava sentirsi un pellegrino, viandante sulle strade del mondo e in cammino verso il Cielo. In un appunto del 1955 annotava che la pratica del pellegrinaggio accomuna l’esperienza religiosa di tutti i popoli, favorisce l’incontro tra le persone e stimola la ricerca di Dio: «L’uomo cerca l’uomo, più spesso Dio in mezzo agli uomini». Certo, il pellegrinaggio da solo non dice ancora la fede; qualcuno — ricorda Roncalli — ha perfino affermato che «di rado si santificano quelli che vanno in giro a fare pellegrinaggi», come ammonisce il libro dell’Imitazione di Cristo. Eppure «fare pellegrinaggi è esercizio di umana convivenza intesa al vicendevole incoraggiamento verso le cose celesti» (10 marzo 1955).

Auguriamo a chi sfoglierà e leggerà queste pagine di incontrare non un Papa Giovanni “di carta”, ma vivo, “in carne e ossa”; non un Papa nostalgico del passato, ma capace di aprire prospettive per il futuro; non soltanto un Papa buono, ma anche guida sapiente nel discernere i segni dei tempi. Chissà che da questo incontro sorga poi il desiderio di conoscerlo meglio, di pregarlo con fede e di amarlo ancora di più.
di Ezio Bolis

Vedi la scheda del libro La nostra vita è pellegrinaggio


 
L’urna di Papa Giovanni XXIII davanti all’altare
della Gloria prima della partenza per Bergamo
Il furgone che trasporta la salma e che sta
risalendo l’Italia per arrivare a Bergamo














#GiovanniXXIII: l’attenzione agli ultimi e la tappa al carcere di Bergamo

A poche settimane dalla sua elezione, il 26 dicembre 1958, Papa Giovanni XXIII si recò al carcere romano di Regina Coeli. Quella storica visita viene rievocata a Bergamo con la tappa delle sue spoglie presso il carcere di via Gleno

Il pellegrinaggio di Papa Roncalli a Bergamo entra nel vivo. Uno dei luoghi simbolo della giornata d’apertura è il carcere di via Gleno, dove l’urna contenente le spoglie del Santo sosterà per alcune ore. Ed è proprio l’attesa all’interno della struttura il tema centrale della puntata odierna del nostro docuweb. In compagnia della direttrice, Cosima Buccoliero, e del cappellano, don Fausto Resmini, abbiamo varcato la soglia dell’istituto per documentare i preparativi intervistando alcune persone detenute.

L’attualità del messaggio

Ciò che appare evidente è l’attualità del messaggio di Giovanni XXIII e in particolare di quelle parole pronunciate a braccio nel 1958 all’interno del carcere romano di Regina Coeli il giorno di Santo Stefano. Parole custodite sotto forma di file digitali negli archivi di Vatican Media e che oggi aiutano a ricostruire una sorta di dialogo a distanza tra il Papa e i detenuti. Questi ultimi dicono di sentirsi perdonati e di essere pronti a ripartire dagli errori commessi. 

La preparazione

Don Fausto racconta che a tutti è bastato ascoltare e leggere alcuni discorsi di Papa Roncalli per rendersi conto della sua semplicità. Ad attendere l’evento anche gli operatori impiegati nella struttura. Ciascuno ripete che Papa Giovanni è un Papa che non si dimentica. Lo stesso Roncalli quando entrò nella cosiddetta rotonda del carcere di Regina Coeli, trasformata per l’occasione in cappella, disse: “questo incontro, state pur sicuri, resterà profondo nella mia anima”.

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Papa a Eco di Bergamo: Giovanni XXIII, esempio del profumo di pulito del Vangelo

In un’intervista all’Eco di Bergamo, Francesco ricorda la figura di Giovanni XXIII, i motivi della peregrinatio dell’urna col corpo del Santo nella diocesi di Bergamo, la missione della Chiesa nel mondo contemporaneo

Un uomo e un Santo “che non conosceva la parola nemico”, che “cercava sempre ciò che unisce”, consapevole che “la Chiesa è chiamata a servire l’uomo in quanto tale e non solo i cattolici; a difendere anzitutto e dovunque i diritti della persona umana e non solamente quelli della Chiesa cattolica”. È San Giovanni XXIII nella parole di Papa Francesco, in un’intervista rilasciata all'Eco di Bergamo, in occasione del ritorno “provvisorio” delle spoglie di Angelo Giuseppe Roncalli nella sua terra natìa, a Sotto il Monte e nella diocesi di Bergamo, da oggi al 10 giugno.

I motivi della peregrinatio dell’urna

“Un dono e un’occasione” per un nuovo cammino di fede, sottolinea il Pontefice, e con una gioia che Francesco vuole condividere “specialmente” con tutti coloro che “non sono mai potuti venire a Roma a pregare sulla sua tomba che si trova nella Basilica di San Pietro”, anziani, poveri, malati, affinché si sentano interrogati da Papa Roncalli che “ci invita a guardare ciò che conta davvero”: “quel Crocifisso che aveva messo davanti al suo letto, con cui lui parlava e che ascoltava, che appunto guardava e dal quale si sentiva guardato”, esattamente come - racconta Francesco - anch’egli fa.

L’incontro con Gesù Cristo

In fondo, spiega, “il cristianesimo non è un ideale da seguire, una filosofia cui aderire o una morale da applicare”, bensì “un incontro con Gesù Cristo che ci fa riconoscere nella carne dei fratelli e delle sorelle la sua stessa presenza”, un andare al “cuore” del Vangelo, a sentire “il profumo di pulito del Vangelo”. Francesco esorta quindi a “dividere il pane con l’affamato, a curare gli ammalati, gli anziani, quelli che non possono darci niente, proprio niente in contraccambio”. E la storia di Angelo Giuseppe Roncalli, sottolinea, è “costellata di questi gesti di vicinanza” con chi soffriva, chi era nel bisogno, fossero cattolici, ortodossi o ebrei.

La missione della Chiesa

D’altra parte, aggiunge, “la Chiesa è per sua natura missionaria” e deve “uscire” per testimoniare il “fascino” del Vangelo “se non vuole ammalarsi di autoreferenzialità”, con una missione che non è “diffusione di una ideologia religiosa” né “la proposta di un’etica sublime”, proponendo “verità fredde” o “indottrinamento con metodi discutibili”: “le periferie - osserva il Papa - sono sempre di meno un concetto geografico e sempre di più un concetto esistenziale”. Mediante la missione della Chiesa, “è Gesù Cristo che continua ad evangelizzare”, diventando “sempre nuovamente nostro contemporaneo”. Ecco perché, evidenzia, “tutti siamo invitati a uscire, a raggiungere le periferie del disagio, della sofferenza, dell'ignoranza, del peccato”, lavorando “con la testimonianza”. Il Pontefice richiama quindi un lavoro pastorale che, “se è il caso”, abbandoni “il comodo criterio pastorale del ‘si è fatto sempre così’ ripensando insieme gli obiettivi, le strutture, lo stile e i metodi dell'evangelizzazione, il coordinamento fra gli istituti missionari”.

Accoglienza disinteressata ai migranti

In un’epoca in cui, di fronte all’emergenza migranti, si costruiscono muri che altro non fanno che “chiudere” i cuori, Francesco sottolinea come la vera accoglienza debba essere “totalmente disinteressata” e ci sia oggi “tanto lavoro da fare” per “creare una nuova cultura, una nuova mentalità, educare le nuove generazioni a pensare, a pensarsi come una unica famiglia umana, una comunità senza confini”.

No alla logica delle corporazioni, anche nella Chiesa

Di fronte all’“imbarbarimento della società”, l’esortazione è a guardare alle persone e alla verità, perché “è sempre l'uomo con la sua libera responsabilità che può fare delle parole, della comunicazione, il luogo della comprensione e dell’incontro oppure dell’opposizione e della guerra fratricida”. Anche nella Chiesa, nota il Papa, “quando non si vive la logica della comunione ma delle corporazioni, può avvenire che si intraprendano vere e proprie strategie di guerra contro qualcuno per il potere, che a volte si esprime in termini economici, altre in termini di ruoli”. Quindi “sono proprio le persone ad essere l'antidoto contro le falsità, non le strategie”.

Logica del Vangelo guidi i governanti

Nel cinquantacinquesimo dell’Enciclica di Giovanni XXIII Pacem in terris (11 aprile 1963), il Pontefice ricorda quella “proposta di pace come impegno permanente”. “E' vero - aggiunge - che oggi si combattono più guerre di allora, anche perché i media ce ne mostrano le immagini in diretta che provengono da tante parti del mondo; ed è vero che si combattono con le armi, ma anche in modi meno visibili sempre guidati da meccanismi di sopraffazione; eppure le parole di Papa Roncalli restano valide”. Rispondendo alle domande del quotidiano, Francesco si riconosce preoccupato per “i disequilibri, che sono sempre legati” ad uno “sconsiderato sfruttamento: degli uomini e delle risorse della natura”, però - mette in luce - “il vero compito della Chiesa non è far cambiare i governi, ma far entrare la logica del Vangelo nel pensiero e nei gesti dei governanti”. Perché la pace “non va legata all’assenza di guerra” bensì “allo sviluppo integrale delle persone e dei popoli”: bisogna comprendere che “l'impegno per i gruppi sociali e gli stati è vivere rapporti di giustizia e solidarietà che non possono essere solo parole”, ma il superamento concreto “da parte di tutti di ogni forma di egoismo, individualismo, interesse di gruppo, a qualunque livello”.

Società e Chiesa hanno bisogno dei giovani

Ciò implica una nuova prospettiva sui giovani, a cui il Papa ha voluto dedicare il Sinodo del prossimo ottobre: “la società ha bisogno dei giovani, come la Chiesa”, ribadisce Francesco. E’ loro, con le storie che portano dentro, che “la Chiesa desidera avvicinare” per restituire “l’entusiasmo per il Vangelo”. Il Pontefice guarda alla disoccupazione giovanile e dice che “è un peccato sociale e la società è responsabile di questo”. “Una vera cultura del lavoro - afferma - non vuole dire solo saper produrre, ma relazionarci ai modelli di consumo sostenibile”: se si svende “il lavoro al consumo” si svendono, prosegue, anche tutte le “sue parole sorelle: dignità, rispetto, onore, libertà”.

È menzogna l’equazione tra terrorismo e islamismo

Nella prospettiva della cultura dell’incontro, Francesco pone pure il ruolo delle religioni, soprattutto di fronte a quell’equazione che è “una menzogna e una sciocchezza” tra terrorismo e islamismo. L’invito è a promuovere una “vera educazione a comportamenti di responsabilità”, anche rispetto alla cura del Creato. Sollecitato poi ad una riflessione sull’avvenire del cristianesimo in Occidente, il Pontefice nota come ciò porti “a vedere più motivi di inquietudine che ragioni di speranza, ma anche capire che questa identificazione assoluta del cristianesimo con la cultura occidentale non ha più senso”. Il cristianesimo ha “dentro di sé la forza per rigenerarsi nella sua natura evangelica”: “credo - riferisce - non abbiano torto pensatori e teologi che dicono che il cristianesimo futuro o sarà più concretamente cattolico, universale, pienamente ecclesiale, rispettoso delle culture, l'Africa, l'Asia, l'America Latina... o rischierà l'irrilevanza quanto alla proposta del Vangelo e alla salvezza del mondo”: dunque il richiamo conclusivo è al “primato di carità, impegno per la giustizia, per la pace”.