Benvenuto a chiunque è alla "ricerca di senso nel quotidiano"



sabato 20 aprile 2024

Pace: la pienezza della vita

Cristiana Scandura
Pace: la pienezza della vita

Gesù aveva dei nemici, ma Lui non era nemico di nessuno.


La pace è dono di Dio, quindi un dono da chiedere insistentemente al Signore nella preghiera, ma al contempo è opera dell’uomo. È dono messianico ed opera umana.

Purtroppo, l’umanità di oggi vive grandi divisioni e forti conflitti che gettano ombre cupe sul suo futuro. Vaste aree del nostro pianeta sono coinvolte in guerre e tensioni crescenti, mentre il pericolo che i conflitti si allarghino sempre di più genera non poche apprensioni nell’animo umano.

Ma non possiamo permettere che nel nostro cuore prevalgano la tristezza, la rassegnazione e il fatalismo, che non portano a nulla di buono. Piuttosto dobbiamo far crescere il nostro impegno per promuovere la pace a partire dal luogo in cui abitiamo e nelle relazioni che viviamo.

La pace implica il coinvolgimento di tutto l’uomo nella sua relazione con Dio, con se stesso e con il prossimo. Promuovere la pace non è responsabilità di pochi, ma dell’intera famiglia umana. Le molteplici opere di pace, presenti nel mondo, anche se spesso non fanno rumore, testimoniano l’innata vocazione dell’umanità alla pace. In ogni persona il desiderio di pace è un’aspirazione profonda ed essenziale e coincide con il desiderio di una vita umana piena, felicemente realizzata.

Nel discorso sulle Beatitudini, Gesù mette in relazione la felicità con la giustizia, con la pace, con la mitezza, con il cuore puro e limpido, con la misericordia. Le guerre nascono dal desiderio competitivo di avere ciò che appartiene agli altri, si può trattare della terra, del petrolio o di altre ricchezze.

Cristo oppone al verbo generativo di violenza, che è il verbo “prendere”, un altro verbo, il verbo “dare”. Al meccanismo perverso del desiderio competitivo, Egli oppone la logica alternativa del dono: “Non c’è amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici” (Gv 15,13).

Di solito il cristiano che affronta con radicalità evangelica il tema della pace è compatito, anche Gesù deve esserlo stato. Eppure Gesù ha vinto eliminando il concetto stesso di inimicizia, amando per primo, in perdita, senza aspettarsi il contraccambio. Gesù aveva dei nemici, ma Lui non era nemico di nessuno. Da qui sgorga la pace: vincendo il male con il bene.
(fonte: Vino Nuovo 16/04/2024)


venerdì 19 aprile 2024

«La mia uscita dal coma. Ora capisco le fatiche, il dolore e la bellezza»

Giulio Sensi
«La mia uscita dal coma.
Ora capisco le fatiche, il dolore e la bellezza»

Giulio Sensi, comunicatore sociale e collaboratore di Buone Notizie l’11 novembre scorso ha perso conoscenza ed è caduto dalla bicicletta da corsa. È uscito dal coma a gennaio, dopo una assenza di due mesi



Tutti proviamo a rimanere attivi, ma non è sempre facile. Possiamo capire che ci può capitare qualsiasi cosa e abbiamo la possibilità di uscirne in molti modi. Io, per esempio, l’11 novembre sono caduto dalla bicicletta da corsa, ho perso conoscenza in modo inspiegabile. Mai prima mi era successo niente di simile. Andavo forte e spensierato, avevo il casco, ma ho battuto la testa. Ho avuto trauma notevole che non ho potuto prevenire perché non ero più presente da un momento all’altro. Certo, sono stato sfortunato. L’assenza poi è durata due mesi. Sono scivolato in una situazione brutta. Ho rischiato di non farcela e i medici erano più o meno pessimisti. O meglio: realisti. Mi ha colpito un coma di quasi trenta giorni. Poi a inizio gennaio ho ripreso coscienza, avevo già recuperato l’azione, ma non ricordo niente.

Sono stato curato bene dalla sanità pubblica e provo gratitudine. Ho una parte del cervello che cicatrizza, ma sono tornato a pensare e a ricordare tutto quello che ho vissuto prima. A muovermi senza difficoltà. A capire e a pensare. A fare le cose come prima. Sono ancora io. Vivo con un trauma, ma rivivo. Allora ho capito cosa mi è successo. Ho provato e provo dolore a sapere che tantissime persone erano state male a conoscere come stavo, avevano sofferto a sapere che potevo non guarire o ne sarei potuto uscire segnato per sempre. Per due mesi non ho visto mia figlia di quasi sette anni e lei era triste perché non poteva vivermi. Sto male a pensarlo.

Ma ho imparato una cosa bella che mi arricchisce. La condivido con le migliaia di persone che si sono commosse quando hanno avuto la notizia che ero tornato, grazie soprattutto al sostegno della mia compagna, di mia sorella, del mio gemello e delle persone a me vicine. Dei medici, dei fisioterapisti, delle logopediste, degli psicologi e delle infermiere. Vedete: chiunque può entrare in difficoltà per tante ragioni. Ma dobbiamo avere la dignità e la capacità di guardare con comprensione. L’Italia è piena di situazioni di fragilità e disagio. Tutti i Paesi ne sono pieni. Ciò non divide il mondo fra i normali e i non normali, ma disegna tante comunità diverse e ugualmente ricche.

Ce l’ho fatta, ma se non ce l’avessi fatta avrei potuto comunque essere accolto con umanità: questo avrebbe segnato il mio futuro e quello della mia comunità. E soprattutto ora ho ancora più voglia di guardare al mondo e alle sue vulnerabilità con passione e comprensione. Di raccontarle con verità. Sembra una cosa piccola, ma è enorme. La sapevo anche prima e cercavo di esercitarla, ma quando sulla difficoltà ci sbatti la testa puoi anche imparare molte più cose. Oppure non imparare niente, ma un mondo più bello non si costruisce con la pietà di tutti. Si fa piano piano e prima di tutto con la nostra. Si sta male, ma si riparte e se anche non si riparte siamo persone e dobbiamo essere accettate. Sempre. La vita lotta. Combattiamo anche noi per rispettare la nostra e quella delle altre persone. Così possiamo costruire un mondo più giusto.
(fonte: Corriere della Sera - Le buone notizie 11/04/2024)


'Basta favori ai mercanti di armi' Difendiamo la trasparenza sulla produzione e l’export di armi

Basta favori ai mercanti di armi!
Difendiamo la trasparenza sulla produzione e l’export di armi

80 organizzazioni lanciano la mobilitazione in difesa della legge 185/1990 che il governo vuole smantellare

foto ANSA

17 aprile 2024 Incontro presso la sede di Libera a Roma 
con Rete Italiana Pace Disarmo, Banca Etica, Don Luigi Ciotti e Padre Alex Zanotelli

Gli esponenti di oltre 80 organizzazioni della società civile italiana si sono ritrovati presso la sede di Libera a Roma per rilanciare la mobilitazione in difesa della legge 185 del 1990 che disciplina il commercio e l’export di armi italiane.

Questa legge – che aveva posto l’Italia all’avanguardia nel panorama europeo – è oggi oggetto di una radicale proposta di revisione avanzata dal Governo che mira a eliminare i principali presidi di trasparenza e di controllo parlamentare sulla produzione e sull’export di armi italiane verso il resto del mondo. Le modifiche sono già state approvate dal Senato e sono ora all’esame della Camera.

“Non esiste pace senza disarmo. Alla cattiva politica, quella che vuole togliere una serie di pilastri fondamentali di trasparenza, si può rispondere assumendoci più responsabilità – ha detto Don Luigi Ciotti Nel mondo oggi ci sono 59 guerre; c’è una follia distruttiva. Bisogna ribadire con forza che il diritto alla sicurezza che tutti reclamano deve essere soprattutto sicurezza dei diritti, intesa come libertà, dignità e la vita delle persone. Non dimentichiamo che il mercato delle armi è il più soggetto a fenomeni di corruzione e che dove ci sono le guerre, le mafie fanno affari mentre il traffico delle droghe e delle armi vanno sempre a braccetto”. Don Ciotti ha concluso citando Papa Francesco: “Tutti i conflitti nuovi pongono in rilievo le conseguenze letali di una continua rincorsa alla produzione di sempre più sofisticati armamenti, talvolta giustificate adducendo il motivo che se una pace oggi è possibile non può essere che la pace fondata sull’equilibrio delle forze. Occorre scardinare tale logica e proseguire sulla strada del disarmo integrale”.

Padre Alex Zanotelli ha ribadito che: “Siamo prigionieri del complesso industriale militare” citando i dati relativi alle spese militari in continua crescita rispetto negli ultimi anni e che, di conseguenza, hanno fatto notevolmente aumentare anche il commercio internazionale di armi (+86% per l’Italia negli ultimi cinque anni).

Teresa Masciopinto, presidente di Fondazione Finanza Etica, a nome del Gruppo Banca Etica ha ricordato come le modifiche alla legge 185 mirino anche a cancellare la possibilità di sapere quali banche finanziano la produzione e l’export di armi, mentre Francesco Vignarca di Rete Italiana Pace e Disarmo ha ricordato che la legge 185 sia nata 34 anni fa da una forte mobilitazione delle reti della società civile che oggi si stanno riattivando per difenderla e come le modifiche proposte alla legge non porteranno maggiore sicurezza.

Francesca Rispoli di Libera ha infine ricordato che un primo passo per difendere la legge è firmare la petizione disponibile sul sito https://retepacedisarmo.org/petizione-basta-favori-ai-mercanti-di-armi-fermiamo-lo-svuotamento-della-legge-185-90/

A sostegno della mobilitazione “Basta favori ai mercanti di armi!” sono intervenuti all’evento di questa mattina a Roma anche Raul Caruso, professore di Economia Internazionale presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano; Riccardo Noury, portavoce Amnesty International Italia; Alfio Nicotra, co-presidente Un ponte per e Consiglio nazionale AOI; Greta Barbolini, presidenza nazionale ARCI; Vincenzo Larosa, delegato dalla presidenza Azione Cattolica; Stefano Regio, presidente Federazione Lazio CNCA; Laura Milani, presidente CNESC e Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII; Gabriele Verginelli, per Legacoop; Emilia Romano, presidente Oxfam Italia, don Tonio dell’Olio, presidente Pro Civitate Christiana; Pierangelo Milesi, delegato Pace della Presidenza ACLI; Giuseppe Daconto, Centro Studi di Confcooperative; Maximilian Ciantelli, presidente Mani Tese Firenze; Alfredo Scognamiglio, del Movimento dei Focolari Italia; Maurizio Simoncelli, vicepresidente di Archivio Disarmo.

Sono intervenuti anche l’on. Laura Boldrini (PD) e l’on. Riccardo Ricciardi (M5S) che hanno illustrato gli emendamenti presentati dall’opposizione alle proposte di modifica di legge.

La registrazione dell’incontro è disponibile a questo link.

per informazioni

Rete italiana Pace e Disarmo | Francesco Vignarca – francesco.vignarca@retepacedisarmo.org

Libera | Francesca Rispoli – francesca.rispoli@libera.it

Fondazione Finanza Etica – Gruppo Banca Etica | Barbara Setti – setti.fondazione@bancaetica.org
(fonte: CNCA 17/04/2024)

Vito Mancuso La speranza ci rende altruisti

Vito Mancuso
La speranza ci rende altruisti

La Stampa 31 marzo 2024

La situazione è grave, ma l'essere umano è fatto per andare oltre. Per Hannah Arendt possiamo pensare oltre ai limiti della nostra conoscenza


È possibile oggi sperare? La situazione è tale che la scritta posta da Dante sulla porta dell’inferno, “Lasciate ogni speranza voi ch’entrate”, verrebbe collocata da molti all’interno dei reparti di ostetricia quale benvenuto ai nuovi arrivati. Siamo così in preda all’ansia che avvertiamo il mondo come una nave alla deriva carica di disperazione destinata presto a sprofondare nei gorghi del nulla. Dominati da questi neri sentimenti, è logico che il nostro cuore si restringa e che noi ci rapportiamo agli altri solo in funzione del nostro interesse, lo sguardo avido, freddo, calcolatore: ritorniamo allo stato di raccoglitori-cacciatori, ma senza nessuna meraviglia originaria. Io credo, però, che il compito del pensiero responsabile sia di opporsi a questa disperazione e per quanto mi riguarda nei reparti di ostetricia quale frase di benvenuto per i nuovi arrivati appenderei quest’altra frase di Dante: “Se tu segui tua stella, non puoi fallire a glorioso porto”. Occorre tornare a coltivare speranza e ad avere fiducia nella navigazione nella vita …

È un atteggiamento razionale? No, non lo è. Come tutte le cose esistenzialmente importanti della vita, anche questa scelta a favore della speranza non è “razionale”. Lo stesso vale per l'amore, l’amicizia, la passione, l'entusiasmo, il desiderio, l'ispirazione: nessuno di questi ambiti vive di sola ragione. Irrazionale, però, non vuol dire necessariamente falso, perché la verità non coincide sempre con ciò che è razionale, così da poter sempre essere afferrata e definita dalla ragione. È piuttosto l'esattezza a coincidere con il razionale, ma la verità è più dell'esattezza: è anche forza, energia, impeto, passione. È questa condizione onniavvolgente della mente e del cuore a meritare il nome di verità, la quale, quindi, ha strettamente a che fare con la speranza. Ha scritto Adorno nei Minima moralia: “Senza speranza l’idea della verità sarebbe difficilmente concepibile”.

Di solito si ritiene che la speranza sia un atteggiamento esclusivamente cristiano, ma non è vero. Gli antichi romani veneravano la dea Spes, le dedicavano templi e ne celebravano la festa il 1° agosto. Per questo Kant collocò la speranza tra le questioni decisive della vita: “Ogni interesse della mia ragione si concentra nelle tre domande che seguono: 1. Che cosa posso sapere? 2. Che cosa debbo fare? 3. Che cosa mi è lecito sperare?”. L’uso della prima persona singolare da parte del filosofo segnala che qui non sono in gioco disquisizioni accademiche, ma l’esistenza concreta. Nella nostra epoca il filosofo marxista dissidente Ernst Bloch ha scritto Il principio speranza, di Adorno ho già detto e di molti altri non cristiani potrei dire. Quanto al cristianesimo, esso considera la speranza una virtù teologale, altrettanto fondamentale quanto la fede e la carità.

Ma è soprattutto una celebre pagina di Eschilo a sottolineare l’importanza della speranza per tutti gli esseri umani: Prometeo è incatenato per ordine di Zeus, un’aquila gli mangia il fegato che di notte gli ricresce per poi essere nuovamente divorato, e una corifea gli chiede il motivo di questa terribile condizione. Prometeo le risponde: “Gli uomini avevano sempre, fissa, davanti agli occhi, la morte: io ho fatto cessare quello sguardo”. Domanda: “E quale rimedio hai trovato per questo male?”. Risposta: “Ho fatto abitare dentro di loro le cieche speranze”. E conclude: “E poi procurai a loro il fuoco”. Prima del fuoco Prometeo dà agli uomini le speranze, che sono dette “cieche” non perché fatue, ma perché la speranza per definizione non vede e non sa come andrà a finire e per questo, appunto, spera. Ma per quanto cieca, essa è forte e conferisce forza, come si capisce dal fatto che lo stesso utilizzo del fuoco ne richiede la presenza. Non a caso Aristotele definiva la speranza “il sogno di un uomo sveglio”.

In cosa avere speranza? Io sono convinto che la stella seguendo la quale possiamo ritrovare speranza sia l’amore. È l’amore la sorgente della speranza nella vita. Ma che cos’è l’amore? Da sentimento privato occorre, molto più profondamente, considerarlo logica cosmica. Novant’anni fa il gesuita francese Pierre Teilhard de Chardin, esiliato in Cina dalla Chiesa a causa delle sue idee sul peccato originale, a un amico che gli aveva chiesto di esprimere in sintesi il suo credo, rispose così: “Se a seguito di un qualche capovolgimento interiore, io dovessi perdere la mia fede in Cristo, la mia fede in un Dio personale, la mia fede nello Spirito, a me sembra che io continuerei invincibilmente a credere nel Mondo. Il Mondo (il valore, l’infallibilità e la bontà del Mondo), ecco in ultima analisi la prima, l’ultima e la sola cosa in cui io credo. È di questa fede che io vivo. Ed è a questa fede che io, lo sento, nell’ora della morte, oltrepassando tutti i dubbi, mi abbandonerò”.

La domanda sull’essenza dell’amore trova qui la sua risposta: l’amore è la logica relazionale che ha reso e che rende possibile il mondo, dapprima il formarsi degli elementi e del pianeta, poi il sorgere della vita, dell’intelligenza, della libertà, infine di quella libertà che si dedica gratuitamente a un’altra libertà e così raggiunge la pienezza dell’amore. L’amore esprime la logica della relazione che fa sì che le cose esistano, dato che non esiste nulla che non sia ontologicamente un sistema e in quanto tale risultanza di relazione e di armonia.

L’esito più alto del processo cosmico in cui siamo inseriti si chiama mente, pura energia di consapevolezza, e si chiama anche cuore, pura energia operativa che riproduce la medesima dinamica di armonia all’origine dell’esistenza. Mente + cuore: questo è il risultato più alto del processo cosmico. Questo possiamo essere noi: una mente che sa e un cuore che ama. Questo va insegnato ai bambini e ripetuto ai giovani, e mai dimenticato fino all’ultimo giorno dell’esistenza. La sorgente della speranza è la consapevolezza della (possibile) ricchezza della nostra umanità.

Questa forza cosmica ci riguarda in quanto oggetto, perché ne siamo il risultato, e ci riguarda in quanto soggetto, perché possiamo a nostra volta esercitarla. Essa è la dimensione generatrice dell’essere, che gli antichi greci chiamavano Logos e l’ebraismo Hochmà, seguendo la quale ognuno di noi da caos può diventare mondo. Lo può diventare anche nel senso dell’aggettivo, mondo cioè nel senso di pulito. Inserito in questo processo, ognuno di noi può essere mondo: lo può essere nel senso del sostantivo che rimanda a organizzazione e nel senso dell’aggettivo che rimanda a pulizia. Il senso dell’esistere viene così compendiato dal termine greco per mondo, “cosmo”, da cui cosmesi: il senso della vita è fare esperienza di bellezza, fisica e morale. Si può ragionevolmente sperare in tutto ciò? Si può. Anzi, oggi si deve, e si deve insegnare a farlo, se non vogliamo naufragare nel nichilismo.

I problemi di oggi sono tali da sfiduciare chiunque eserciti il raziocinio: la guerra mondiale sempre più incombente, il cambiamento climatico sempre più devastante, le migrazioni sempre più massicce, la tecnologia sempre più padrona delle anime, e si potrebbe continuare. Ma, annotava Hannah Arendt, “negli uomini esiste un’inclinazione, forse un bisogno, a pensare al di là dei limiti della conoscenza”. È a causa di ciò che si origina la speranza, da sempre connessa all’essenza del pensiero umano. Per Isidoro di Siviglia, un dotto del VII secolo esperto di etimologie, il termine latino “spes” viene da “pes”, piede; fondata o no, l’etimologia è suggestiva: la speranza è ciò che fa camminare nella vita. Senza speranza non si cammina. La speranza, infatti, è performativa: occorre sperare per realizzare. Lo vide già Eraclito: “Se uno non spera, non potrà trovare l’insperabile”. Speranze e fuoco, fiducia e tecnica, sapienza e scienza, devono tornare a essere strettamente connesse nella società e ancor prima nella singola esistenza. Quanto a tecnica, non siamo mai stati così forti. Se ritroveremo una speranza alla sua altezza, forse riusciremo a rivedere la nostra stella e a “non fallire a glorioso porto”.
(fonte: sito dell'autore)


giovedì 18 aprile 2024

Assolto il modello Riace - Mimmo Lucano "voleva solo aiutare gli ultimi"

Tonio dell'Olio
Assolto il modello Riace

PUBBLICATO IN MOSAICO DEI GIORNI 17 APRILE 2024

L'assoluzione di Mimmo Lucano dalle accuse infamanti è molto di più che una sentenza nei confronti di una persona. Il vero processo si è celebrato contro un modello di accoglienza e contro la scelta di restare umani. A Riace si tocca con mano che non è vero che la strada obbligata sia il respingimento ma che l'accoglienza diffusa è persino più conveniente.

Il meticciato non è una contaminazione pericolosa che ci fa smarrire l'identità, ma una via maestra per il riconoscimento dell'umanità altrui. È per questo che Mimmo Lucano dice che ha vissuto questo penoso cammino come una mortificazione dell'anima. Ed è per questo che da parte del mondo dell'informazione si sarebbe dovuto approfondire e dar modo di riflettere concedendo lo stesso spazio che a suo tempo si è dato per dimostrare inutilmente la sua colpevolezza. La sua assoluzione sta lì a dirci che dobbiamo scegliere tra Riace e Cutro, tra Riace e la via albanese. Con meno soldi si può far molto meglio e nel rispetto della vita delle persone si può dare un futuro migliore a chi arriva e a chi c'è già.

*******************

Riace, Mimmo Lucano 
"voleva solo aiutare gli ultimi"

Depositate le motivazioni del provvedimento della corte d'Appello di Reggio Calabria, che smantella le accuse all'ex sindaco del borgo dell'accoglienza: nessun profitto, solo solidarietà


A Riace l’accoglienza non era un business, ma una mission diretta a "perseguire un modello […] non limitato al solo soddisfacimento di bisogni primari, ma finalizzato all'inserimento sociale dell'ospite di ciascun progetto". Un modello da esportare e non da condannare. Potrebbero riassumersi così le motivazioni della sentenza di secondo grado del processo Xenia, in cui i giudici della corte d’Appello di Reggio Calabria hanno smontato pezzo dopo pezzo l’impianto portato avanti dall’accusa e poi confermato dal tribunale di Locri con la condanna per 16 imputati, a più riprese definita "abnorme". La condanna più pesante, a 13 anni e 2 mesi di carcere, era stata pronunciata nei confronti di Mimmo Lucano, ex sindaco di Riace, un tempo noto come “il borgo dell’accoglienza”. Verdetto ribaltato lo scorso 11 ottobre dai giudici di Appello.

A un’attenta lettura, per i magistrati di secondo grado anche le prove raccolte da chi accusava Lucano mettono in luce "lo spirito di fondo che ha mosso l'imputato, certo di poter alimentare una economia della speranza, funzionale a quella che più volte Lucano ha definito essere la sua mission, ovvero poter aiutare gli ultimi". Nei confronti dell’ex sindaco di Riace rimane una condanna a 18 mesi (con pena sospesa) per un presunto falso relativo a un solo atto, firmato nel 2017, sui 57 – invece – contestati dalla procura di Locri. Ma soprattutto rimane un calvario lungo cinque anni, quelli trascorsi dal blitz della Guardia di finanza a cui era seguito l’arresto e l’avvio di una lunga fase cautelare, nonché il rammarico per quello che Riace era e sarebbe potuta continuare a essere.

Mimmo Lucano non cercava visibilità

Come ribadito anche dal collegio giudicante presieduto da Elisabetta Palumbo, nel processo iniziato il 25 maggio 2022 e celebrato in Appello, si è fatta attenzione alla "non comune complessità e delicatezza delle vicende trattate". Non a caso, a inizio gennaio la corte aveva richiesto una proroga di 90 giorni per il deposito delle motivazioni. La sentenza ha riletto le prove dando un’interpretazione molto diversa da quella offerta in primo grado. Il collegio presieduto dal giudice Fulvio Accurso, nel provvedimento pronunciato a fine settembre 2021, aveva definito Lucano il "dominus indiscusso" di un’associazione a delinquere, finalizzata a strumentalizzare il sistema di accoglienza a Riace, nel periodo interessato dalle indagini che va da gennaio 2014 a settembre 2017, quando nel borgo erano attivi i progetti Sprar (sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati), Cas (centri di accoglienza straordinaria) e Msna (minori stranieri non accompagnato). Si parlava di "mala gestio" dei progetti dettata dalla volontà degli imputati, e in particolare di Lucano, di accaparrarsi risorse pubbliche o da un "movente politico".

Secondo i giudici di primo grado, Lucano era mosso dalla ricerca di visibilità. Una tesi ripresa dalla propaganda della destra, ma smentita in appello

Secondo i giudici di primo grado, l’ex sindaco era divorato dal "demone ossessivo della ricerca di una sempre maggiore visibilità". Un assist per la propaganda di destra. All’indomani della sentenza, Giorgia Meloni si era infatti scagliata sui propri social contro "l’idolo della sinistra immigrazionista" sostenendo che "i soldi pubblici destinati agli immigrati finivano alle solite cooperative rosse e nelle case pagate dallo Stato per l’accoglienza ci dormivano i vip radical chic e i cantanti quando andavano a fare le passerelle a Riace. Insomma, la solita mangiatoia progressista sulla pelle dei disperati". E, tuttavia, scrivono i giudici di Reggio Calabria a distanza di tre anni: "Che Lucano mai avesse (neppure) pensato di guadagnare sui rifugiati è circostanza" che emerge dai suoi stessi dialoghi intercettati, come quello in cui "egli stesso sottolineava come, proprio grazie al suo intervento, altre persone avevano cambiato approccio, ponendosi verso la tematica dell'accoglienza senza alcuna finalità predatoria". Piuttosto "egli era convinto che proprio l'assenza di qualsiasi finalità predatoria gli aveva procurato non poche inimicizie". Di quel “demone”, insomma, non è stata trovata traccia sui conti correnti dell’allora sindaco di Riace che, nel frattempo, ha anche rifiutato le candidature alle elezioni politiche e al parlamento europeo.

Nessuna associazione a delinquere

I giudici hanno riscontrato un "disordine amministrativo e contabile, ma anche l'assenza di un governo complessivo delle azioni" necessario a dimostrare un progetto criminale

Così, partendo dagli stessi presupposti e dalle stesse prove, la corte d’Appello è arrivata a conclusioni opposte rispetto al tribunale di Locri, a cominciare dalla presunta esistenza – già in realtà smentita dai giudici in fase cautelare – di una associazione a delinquere necessaria a dimostrare anche una lunga serie di reati-fine: dalla truffa al peculato. Tutto smontato. "La sentenza appellata – si legge nelle motivazioni dei giudici di secondo grado – non consente di derivare, dall’analisi delle singole condotte, indicatori sicuri della avvenuta strutturazione di mezzi e persone, secondo un coordinamento complessivo che trascenda le singole azioni". In altri termini, non ci sarebbe stato un disegno unitario e perverso dietro la gestione dell’accoglienza a Riace da parte dell’amministrazione di Lucano e delle associazioni. Ma più che altro un agire caotico dei soggetti coinvolti, che esclude l’esistenza di un’associazione a delinquere. "Le relazioni ispettive, le prove per testi e financo le stesse conversazioni intercettate delineano un disordine amministrativo e contabile, ma anche l’assenza di un governo complessivo delle azioni, nonché l’inesorabile procedere delle associazioni in ordine sparso". Anche il linguaggio delle conversazioni, secondo i giudici, non usato nella forma "criptica o convenzionale" dagli allora indagati, per "evitare di essere compresi da temuti ignoti ascoltatori", basta di per sé a smentire l’esistenza di un sodalizio criminale.

Il Viminale sapeva dei migranti che restavano a lungo

"Non giova al tema d'accusa neppure l'analisi del trattenimento dei migranti oltre i termini" previsti dai progetti. La Corte d’Appello si è soffermata anche sul tema dei cosiddetti “lungopermanenti”, a cui è stato riservato ampio spazio durante i processi. Nella ricostruzione del tribunale di Locri, i migranti sarebbero stati trattenuti nei progetti Sprar e Cas oltre i tempi e i modi consentiti dalla legge, nascondendo le informazioni a prefettura e Viminale per ottenere un profitto quantificato in oltre 2 milioni di euro. La corte d’Appello ha smentito questa ricostruzione e ha aggiunto: da parte del Viminale e della prefettura c’era "la piena consapevolezza della presenza dei 'lungopermanenti' a Riace" che potrebbe risalire già al 2014, anno di inizio delle indagini. A questo proposito, è stata citata una circolare ministeriale del 2015 secondo cui "in mancanza di posti per effettuare il passaggio nello Sprar – situazione effettivamente verificatasi – il richiedente restava in accoglienza nei centri governativi (anche se aperti in via temporanea)".

Su questa base, alcune delle associazioni che gestivano i progetti nel borgo avevano inviato comunicazioni ad hoc sia al servizio centrale che alla prefettura. Dato già emerso dalle relazioni ispettive volute dall’allora prefetto reggino Michele di Bari, che determinarono la "decurtazione delle somme erogate per il periodo successivo". Inoltre, nel momento in cui alle persone veniva comunicata la possibilità che avrebbero dovuto abbandonare il progetto "venivano inscenate proteste che richiedevano l’intervento della forza pubblica". Da un lato, dunque, il ministero dell’Interno e la prefettura erano a conoscenza della situazione, dall’altra il Comune viveva una sorta di stasi. "In presenza dei presupposti di legge costoro andavano, al limite, espulsi, con provvedimento di competenza prefettizia e non certo del sindaco" o dei legali rappresentanti delle associazioni. Per i migranti del progetto Cas, invece, "la competenza all’espulsione spettava ai prefetti". A più riprese, Lucano, che oggi si dice "sollevato" da una sentenza che salvaguarda le idee prima ancora della persona, aveva ribadito la consapevolezza di quanto avvenisse a Riace da parte di ministero dell’Interno e prefettura: "Se a Riace è esistita un’associazione a delinquere, allora ne hanno fatto parte".

A Riace nessun profitto, solo solidarietà

"L'assoluta mancanza di qualsivoglia fine di profitto, l'indiscutibile intento solidaristico, gli sforzi per portare avanti la propria idea di accoglienza sono indicatori meritevoli di considerazione"

In molti hanno parlato dell’indagine Xenia come di un atto politico e simbolico. Di certo, i giudici d’Appello non hanno condiviso la chiave di lettura che ha legato le azioni dell’ex sindaco di Riace a una "logica predatoria delle risorse pubbliche, ad appetiti di natura personale, a meccanismi illeciti e perversi fondati sulla cupidigia e sull'avidità", escludendo qualsiasi connotazione altruistica dalla personalità di Lucano "nei fatti sacrificata agli appetiti di chi poteva fare incetta di quelle somme senza alcuna forma di pudore". Viceversa, "il collegio ritiene che la personalità dell'appellante (Mimmo Lucano, ndr), il contesto in cui ha sempre operato, caratterizzato da un continuo afflusso di migranti, l'assoluta mancanza di qualsivoglia fine di profitto, l'indiscutibile intento solidaristico, gli sforzi per portare avanti la propria idea di accoglienza siano indicatori meritevoli di considerazione".

(fonte: la via libera, articolo di Francesco Donnici 15/04/2024)

*******************

Siria, torture e morti in detenzione nel nordest. Rapporto di Amnesty

Siria, torture e morti in detenzione nel nordest.
Rapporto di Amnesty

Oltre 56 mila persone arrestate dopo la sconfitta territoriale del gruppo armato Stato islamico subiscono violazioni o muoiono a causa delle condizioni inumane. 30 mila minorenni in almeno 27 centri di detenzione e nei due campi di Al-Hol e Roj. Le responsabilità degli Usa


Nel nordest della Siria, oltre 56 mila persone arrestate dopo la sconfitta territoriale del gruppo armato Stato islamico subiscono violazioni o muoiono, a causa delle condizioni inumane di detenzione. È quanto denuncia Amnesty International nel rapporto appena pubblicato, Conseguenze. Ingiustizia, torture e morti in detenzione nel nordest della Siria. Le autorità della regione autonoma sono responsabili della massiccia violazione dei diritti umani di circa 11.500 uomini, 14.500 donne e 30 mila minorenni detenuti in almeno 27 centri di detenzione e nei due campi di Al-Hol e Roj.

Come ricorda Amnesty, le autorità autonome sono il principale partner del governo statunitense e di altri membri della coalizione che ha sconfitto lo Stato islamico. “Gli Usa sono ampiamente coinvolti nel sistema detentivo – denuncia l'organizzazione”.

Trascorsi più di cinque anni dalla sconfitta territoriale dello Stato islamico, decine di migliaia di persone restano detenute arbitrariamente e a tempo indeterminato, molte delle quali in condizioni inumane, sottoposte a pestaggi, scariche elettriche e violenza di genere e obbligate a rimanere in posizioni dolorose. Altre migliaia di persone risultano vittime di sparizione forzata. Le donne sono state illegalmente separate dai loro figli. Tra le persone detenute ci sono anche vittime dello Stato islamico, tra cui decine, se non centinaia di yazidi, donne e ragazze vittime di matrimoni forzati e minorenni arruolati a forza.

“Le autorità autonome hanno commesso crimini di guerra, tortura e trattamento crudele e probabilmente anche quello di uccisione - ha dichiarato Agnés Callamard, segretaria generale di Amnesty International - I minori, le donne e gli uomini che si trovano nei campi e nelle strutture detentive subiscono una crudeltà e una violenza scioccanti. Il governo statunitense ha avuto un ruolo centrale nella creazione e nel mantenimento di questo sistema detentivo, che ha prodotto centinaia di morti evitabili. Ora deve avere un ruolo nel cambiarlo – continua Callamard - Questo sistema viola i diritti umani di persone sospettate di affiliazione allo Stato islamico e non fornisce giustizia alle vittime e alle persone sopravvissute ai crimini dello Stato islamico”.

Se da un lato è vero che “la minaccia dello Stato islamico a livello globale resta concreta”, dall'altro “le violazioni dei diritti umani in corso nel nordest della Siria non fanno altro che alimentare ulteriore rabbia. Una generazione di bambine e bambini non ha conosciuto che ingiustizia. Le autorità autonome, che fanno parte della coalizione guidata dagli Usa, e le Nazioni Unite devono porre rimedio a queste violazioni e porre fine al ciclo di violenza”, ha sottolineato Callamard.

Le responsabilità degli Usa

Nel 2014 il dipartimento della Difesa degli Usa ha istituito una coalizione anti-Stato islamico. Ne facciano parte 29 stati e gli Usa sono responsabili della strategia, della pianificazione, del finanziamento e dell’attuazione della missione. Attraverso i finanziamenti del Congresso, la coalizione guidata dagli Usa ha ristrutturato i centri di detenzione esistenti, ne ha costruiti di nuovi e visita frequentemente gli uni e gli altri. Il dipartimento della Difesa ha fornito centinaia di milioni di dollari alle Fds e alle forze di sicurezza a loro affiliate. La coalizione guidata dagli Usa ha anche un ruolo importante nelle operazioni congiunte che terminano con la consegna alle Fds di persone arrestate e nei rimpatri di detenuti in paesi terzi, tra i quali l’Iraq.

Tra le persone detenute ci sono siriani, iracheni e cittadini di altri 74 stati. La maggior parte di loro è stata catturata nei primi mesi del 2019, durante la fase finale dei combattimenti con lo Stato islamico. Sono trattenute in due tipi di strutture: edifici chiusi, definiti “strutture detentive”, e campi all’aperto.

“Il governo statunitense ha contribuito all’istituzione e all’espansione di un sistema di detenzione per lo più illegale, caratterizzato da condizioni sistematicamente inumane e degradanti, da uccisioni illegali e dall’ampio uso della tortura. Anche se gli Usa possono aver fornito aiuto per migliorare le condizioni di prigionia o mitigare le violazioni dei diritti umani, questi interventi sono risultati insufficienti rispetto a quanto chiesto dal diritto internazionale - afferma Callamard - La coalizione guidata dagli Usa, insieme alla più ampia comunità internazionale, ha anche abbandonato le vittime dei crimini dello Stato islamico e le loro famiglie, che attendono ancora indagini efficaci e giustizia. Persone rastrellate dopo la sconfitta territoriale dello Stato islamico sono detenute illegalmente da anni. Le autorità autonome, il governo degli Usa e altri stati membri della coalizione, così come le Nazioni Unite, devono lavorare tutti insieme e dare priorità a sviluppare urgentemente una strategia per far sì che questo sistema vergognoso rispetti il diritto internazionale e per identificare soluzioni per chiamare finalmente a rispondere del loro operato gli autori delle atrocità commesse dallo Stato islamico. È necessario condurre un rapido processo di valutazione per identificare le persone detenute che dovrebbero essere immediatamente scarcerate, soprattutto le vittime dei crimini dello Stato islamico e i gruppi a rischio; e nel frattempo assicurare la fine delle violazioni dei diritti umani e indagini indipendenti sulle torture le uccisioni”, ha concluso Callamard.

L'impegno di Amnesty International

I ricercatori di Amnesty International si sono recati nel nordest della Siria in tre occasioni, tra settembre 2022 e agosto 2023, per condurre interviste nei due campi e in dieci strutture detentive. Amnesty International ha messo ampiamente al corrente delle proprie conclusioni le autorità autonome e il governo Usa, che hanno risposto in forma scritta.

Le autorità autonome hanno sottolineato le difficili condizioni in cui si trovano, compresi i conflitti armati in corso. Hanno criticato “la comunità internazionale e i partner globali” per non aver “dato seguito ai loro obblighi giuridici e morali” e sottolineato che gli stati che hanno loro cittadini nel sistema di detenzione e la comunità internazionale le hanno lasciate sole “nel gestire le conseguenze” dei combattimenti contro lo Stato islamico.

Da parte sua, il dipartimento di Stato Usa ha risposto descrivendo gli sforzi fatti per affrontare “le drammatiche sfide umanitarie e di sicurezza” nel nordest della Siria e ha precisato che i gruppi e le singole persone che fanno parte delle Fds con cui collabora “sono sottoposti a una rigorosa valutazione”. L’unica soluzione è, secondo le autorità statunitensi, “il rimpatrio e il ritorno delle persone sfollate e detenute nei rispettivi paesi di origine”, in modo che gli autori di crimini “siano chiamati a risponderne in procedimenti giudiziari, da parte delle autorità competenti, che rispettino i diritti umani”.
(fonte: Redattore Sociale 17/04/2024)

*********************

Leggi il testo integrale del rapporto dal sito di Amnesty International


IL CARDINALE RAVASI: «ESISTE ANCHE UNA PREGHIERA MUTA, UNA DELLE PIÙ BELLE MAI ESISTITE»

IL CARDINALE RAVASI:
«ESISTE ANCHE UNA PREGHIERA MUTA,
UNA DELLE PIÙ BELLE MAI ESISTITE»

Il porporato sulle radici bibliche della preghiera: «I Salmi e le orazioni della Vergine Maria non sono solo una lode al Signore ma rappresentano anche la totalità della nostra esperienza intrisa di sofferenza e gioia»


Gianfranco Ravasi è uno dei cardinali più colti ed eclettici della Chiesa cattolica. Biblista, teologo, poliglotta, volto mediatico (per cinque lustri ha portato le Scritture ogni domenica mattina nelle case degli italiani in quella che Aldo Grasso definì “l’ultima oasi nel deserto della Tv”), è stato presidente del Pontificio Consiglio della Cultura dal 2007 al 2022. È una miniera di citazioni, da Kierkegaard a Teresa d’Avila, da Lutero a Bonhoeffer a Nietzsche, attraverso le quali ci conduce a esplorare la preghiera, esperienza capitale della vita cristiana spesso trascurata o soffocata da quelli che il cardinale definisce «alienazioni e miracolismi».

L’occasione dell’intervista è il libro La preghiera della Bibbia (San Paolo) che apre la collana di volumi dedicati all’Anno della preghiera indetto da papa Francesco in vista del Giubileo. Nel volume, Ravasi si sofferma su due grandi polmoni della preghiera nella Bibbia: i Salmi, la voce orante per eccellenza della Scrittura, e le preghiere alla Vergine Maria.

Eminenza, cosa significa pregare?

«Partirei da due testimonianze molto suggestive. La prima è quella del filosofo dell’Ottocento Kierkegaard che diceva: “Perché io respiro? Perché altrimenti morrei. Così con la preghiera”. Essa è un elemento strutturale, quasi vitale dell’esperienza cristiana. La seconda è di un altro filosofo, Wittgenstein, il quale affermava lapidariamente che “pregare è pensare al senso della vita”, cogliendo un aspetto più laico, quello del momento del silenzio, del guardare nella coscienza. La preghiera, dunque, non ha solo un movimento verticale, quello del rivolgersi a Dio, ma anche uno orizzontale, entrare in sé stessi. La meditazione unisce preghiera e scavo nella coscienza».

Nel volume si parte dai Salmi dove s’intrecciano spiritualità e vita.

«Quello dei Salmi è il terzo libro biblico più ampio, dopo i testi di Geremia e della Genesi. Essi, da un lato, sono una rappresentazione profonda dell’esistenza umana e la loro preghiera non fa decollare dalla realtà verso cieli mitici, come invece accade in certe forme di devozione che sono alienazione e miracolismo. I Salmi, infatti, sono intrisi di lacrime, sorrisi, sofferenze, speranze, ringraziamenti. Un’anatomia dell’anima, secondo la definizione del riformatore Calvino. Dall’altro, permettono la contemplazione di Dio e di lodarlo. Non a caso, gli ebrei li definiscono telim, lodi a Dio. Uniscono, dunque, verticale e orizzontale. La selezione di diciassette Salmi presente nel libro è ben calibrata per offrire tutte le iridescenze e i colori del Salterio».

I Salmi rappresentano la forma più alta della preghiera biblica?

«Le rispondo con la citazione di un filosofo che ha respinto in maniera radicale il cristianesimo come Nietzsche, il quale affermava che “tra ciò che noi proviamo alla lettura di Pindaro o Petrarca e la lettura dei Salmi c’è la stessa differenza tra la terra straniera e la patria”. Mentre un grande teologo come Dietrich Bonhoeffer, ucciso sotto il nazismo, affermava questo: “Sorprende a prima vista che nella Bibbia ci sia un libro di preghiera. La Bibbia non è tutta una parola di Dio rivolta a noi? Le preghiere sono parole umane. Come mai si trovano nella Bibbia? Se la Bibbia contiene un libro di preghiera dobbiamo dedurre che la Parola di Dio non è solo quella che Lui vuole rivolgere a noi ma è anche quella che lui vuole sentirsi rivolgere da noi”».

Ma come si impara a pregare?

«Questo e gli altri libri che seguiranno hanno proprio lo scopo di insegnare a pregare restando radicati nella Scrittura. Gesù stesso durante la sua vita terrena è stato un modello di preghiera. L’evangelista Luca lo presenta alla vigilia della Passione, sotto le fronde del Getsemani, mentre prega in maniera drammatica perché è desolato e si rivolge al Padre nel momento del dolore. È legittimo che quando sei travolto dalla tempesta tu ti rivolga a Dio. Non per nulla un terzo dei Salmi del Salterio sono suppliche e lamenti. Addirittura, c’è uno che si lamenta perché ha la febbre e un altro dell’inappetenza affermando che il cibo che mette in bocca gli sembra cenere».

L’altro filone è quello della tradizione mariana.

«Nella vita della Vergine Maria la preghiera assume una forma esistenziale completa. Parto da un dato di fatto molto curioso. Nei Vangeli, la Madonna parla soltanto sei volte pronunciando 154 parole in tutto e sempre con frasi brevissime: “Avvenga di me come tu hai detto”, “Fate tutto quello che Egli vi dirà”. Ebbene, di queste 154 parole, ben 102 appartengono a una sola preghiera: il Magnificat. È un canto per solista e coro e un ottimo modello di preghiera personale e comunitaria perché da un lato c’è l’esperienza personale, contrassegnata dalla ripetizione dell’aggettivo possessivo “mio”, e dall’altro quella dei fedeli che elencano le sette azioni di Dio: “Ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili”. Infine, c’è un’altra preghiera di Maria che è senza parole e si svolge sul Calvario, ai piedi della Croce, dove parla solo Gesù e le dice: “Donna, ecco il tuo figlio”. Maria resta in silenzio. Questo significa che esiste anche una preghiera muta e Dio la ascolta quando sale a Lui nel momento estremo della desolazione e del dolore. Non a caso, Lutero, commentando il libro di Giobbe affermava che “Dio gradisce di più le bestemmie dell’uomo disperato che non le lodi compassate del benpensante la domenica mattina nel culto”».
(fonte: Famiglia Cristiana, articolo di Antonio Sanfrancesco 10/04/2024)

mercoledì 17 aprile 2024

Papa Francesco «La temperanza è la virtù della giusta misura... qualità tanto preziosa quanto rara. Tutto, infatti, nel nostro mondo spinge all’eccesso.» Udienza Generale 17/04/2024 (foto, testo e video)

UDIENZA GENERALE

Piazza San Pietro
Mercoledì, 17 aprile 2024


Anche oggi il Papa ha cominciato l’udienza generale in piazza San Pietro facendo salire a bordo della papamobile quattro bambini, maschi e femmine, che si sono goduti il giro tra i settori delimitati dal colonnato del Bernini, fino al termine del tragitto che caratterizza il momento che precede la catechesi. Il Santo Padre si è accomiatato da ognuno dei suoi piccoli ospiti e poi ha proseguito il cammino sulla jeep bianca scoperta fino alla sua postazione al centro del sagrato, che ha raggiunto camminando con l’aiuto di un bastone. Oggi piazza San Pietro è gremita fino all’inverosimile, complice anche la mite mattinata romana. Le lunghe file dal lato del Sant’Uffizio e di via della Conciliazione si sono snodate fino all’ingresso di Papa Francesco nella piazza e anche oltre.
Con la temperanza, tema della catechesi del Papa all'udienza generale di oggi in Piazza San Pietro, si conclude la riflessione sulle quattro virtù cardinali a cui Francesco ci ha accompagnato nelle ultime settimane svelando le loro radici e la loro ricchezza per la nostra vita. "Per i greci - osserva il Papa - la pratica della virtù aveva come obbiettivo la felicità". "Non è vero che la temperanza rende grigi e privi di gioie", afferma Francesco che descrive che cos'è la temperanza e chi è la persona temperante attingendo anche questa volta al pensiero degli antichi e rifacendosi al Catechismo della Chiesa Cattolica.












_______________________________________

Il testo qui di seguito include anche parti non lette che sono date ugualmente come pronunciate.


Catechesi. I vizi e le virtù. 15. La temperanza


Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Oggi parlerò della quarta e ultima virtù cardinale: la temperanza. Con le altre tre, questa virtù condivide una storia che risale molto indietro nel tempo e che non appartiene ai soli cristiani. Per i greci la pratica delle virtù aveva come obbiettivo la felicità. Il filosofo Aristotele scrive il suo più importante trattato di etica indirizzandolo al figlio Nicomaco, per istruirlo nell’arte del vivere. Perché tutti cerchiamo la felicità eppure così pochi la raggiungono? Questa è la domanda. Per rispondere ad essa Aristotele affronta il tema delle virtù, tra le quali ha uno spazio di rilievo la enkráteia, cioè la temperanza. Il termine greco significa letteralmente “potere su se stessi”. La temperanza è un potere su se stessi. Questa virtù è dunque la capacità di autodominio, l’arte di non farsi travolgere da passioni ribelli, di mettere ordine in quello che il Manzoni chiama il “guazzabuglio del cuore umano”.

Il Catechismo della Chiesa Cattolica ci dice che «la temperanza è la virtù morale che modera l’attrattiva dei piaceri e rende capaci di equilibrio nell’uso dei beni creati». «Essa – prosegue il Catechismo – assicura il dominio della volontà sugli istinti e mantiene i desideri entro i limiti dell’onestà. La persona temperante orienta al bene i propri appetiti sensibili, conserva una sana discrezione, e non segue il proprio istinto e la propria forza assecondando i desideri del proprio cuore» (n. 1809).

Dunque, la temperanza, come dice la parola italiana, è la virtù della giusta misura. In ogni situazione, si comporta con saggezza, perché le persone che agiscono mosse sempre dall’impeto o dall’esuberanza alla fine sono inaffidabili. Le persone senza temperanza sono sempre inaffidabili. In un mondo dove tanta gente si vanta di dire quello che pensa, la persona temperante preferisce invece pensare quello che dice. Capite la differenza? Non dire quello che mi viene in mente, così… No, pensare a quello che devo dire. Non fa promesse a vanvera, ma assume impegni nella misura in cui li può soddisfare.

Anche con i piaceri, la persona temperante agisce con giudizio. Il libero corso delle pulsioni e la totale licenza accordata ai piaceri, finiscono per ritorcersi contro noi stessi, facendoci precipitare in uno stato di noia. Quanta gente che ha voluto provare tutto con voracità si è ritrovata a perdere il gusto di ogni cosa! Meglio allora cercare la giusta misura: ad esempio, per apprezzare un buon vino, assaporarlo a piccoli sorsi è meglio che ingurgitarlo tutto d’un fiato. Tutti sappiamo questo.

La persona temperante sa pesare e dosare bene le parole. Pensa a quello che dice. Non permette che un momento di rabbia rovini relazioni e amicizie che poi solo con fatica potranno essere ricostruite. Specialmente nella vita famigliare, dove le inibizioni si abbassano, tutti corriamo il rischio di non tenere a freno tensioni, irritazioni, arrabbiature. C’è un tempo per parlare e un tempo per tacere, ma entrambi richiedono la giusta misura. E questo vale per tante cose, ad esempio lo stare con gli altri e lo stare da soli.

Se la persona temperante sa controllare la propria irascibilità, non per questo la vedremo perennemente con il volto pacifico e sorridente. Infatti, qualche volta è necessario indignarsi, ma sempre nella giusta maniera. Queste sono le parole: la giusta misura, la giusta maniera. Una parola di rimprovero a volte è più salutare rispetto a un silenzio acido e rancoroso. Il temperante sa che nulla è più scomodo del correggere un altro, ma sa anche che è necessario: altrimenti si offrirebbe libero campo al male. In certi casi, il temperante riesce a tenere insieme gli estremi: afferma i principi assoluti, rivendica i valori non negoziabili, ma sa anche comprendere le persone e dimostra empatia per esse. Dimostra empatia.

Il dono del temperante è dunque l’equilibrio, qualità tanto preziosa quanto rara. Tutto, infatti, nel nostro mondo spinge all’eccesso. Invece la temperanza si sposa bene con atteggiamenti evangelici quali la piccolezza, la discrezione, il nascondimento, la mitezza. Chi è temperante apprezza la stima degli altri, ma non ne fa l’unico criterio di ogni azione e di ogni parola. È sensibile, sa piangere e non se ne vergogna, ma non si piange addosso. Sconfitto, si rialza; vincitore, è capace di tornare alla vita nascosta di sempre. Non cerca gli applausi, ma sa di avere bisogno degli altri.

Fratelli e sorelle, non è vero che la temperanza rende grigi e privi di gioie. Anzi, fa gustare meglio i beni della vita: lo stare insieme a tavola, la tenerezza di certe amicizie, la confidenza con le persone sagge, lo stupore per le bellezze del creato. La felicità con la temperanza è letizia che fiorisce nel cuore di chi riconosce e dà valore a ciò che più conta nella vita. Preghiamo il Signore perché ci dia questo dono: il dono della maturità, della maturità dell’età, della maturità affettiva, della maturità sociale. Il dono della temperanza.

Guarda il video della catechesi

_________________________

Saluti
...
* * *

Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare...

Il mio pensiero va infine ai malati, agli anziani, agli sposi novelli e ai giovani, specialmente ai tanti studenti che ci rallegrano con la loro presenza. A ciascuno il mio augurio perché, partendo dalla Città Eterna e tornando nei rispettivi ambienti di vita, portiate la testimonianza di un impegno rinnovato di fede operosa, contribuendo così a far risplendere nel mondo la luce di Cristo risorto.

E anche il nostro pensiero, di tutti noi, in questo momento va alle popolazioni in guerra. Pensiamo alla Terra Santa, alla Palestina, a Israele. Pensiamo all’Ucraina, la martoriata Ucraina. Pensiamo ai prigionieri di guerra: che il Signore muova la volontà per liberarli tutti. E parlando dei prigionieri, mi vengono in mente coloro che sono torturati. La tortura dei prigionieri è una cosa bruttissima, non è umana. Pensiamo a tante torture che feriscono la dignità della persona, e a tanti torturati. Il Signore aiuti tutti e benedica tutti.

E a tutti voi la mia benedizione!

Guarda il video integrale


Giancarla Codrignani ELEZIONI EUROPEE: SOLO UN DOVERE O UN INTERESSE?

Giancarla Codrignani

ELEZIONI EUROPEE:
SOLO UN DOVERE O UN INTERESSE?


Agosto 1941: faceva caldo, c’era la guerra ma nessuno pensava ai bombardamenti e la gente era andata in villeggiatura.

A Ventotene, dove il regime chiamava “villeggiatura” il confino, Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni pubblicavano (nel senso che le mogli in visita ai reclusi l’avrebbero portato fuori per la diffusione clandestina) un loro Manifesto per un’Europa libera e unita.

Lo spirito di Ventotene si è indebolito

Ottantatré anni dopo, nel 2024 fa già caldo, è tornata la guerra, le destre trovano larghi consensi in elettorati che vanno sempre meno a votare e in Italia sono al governo gli eredi del regime che mandò a Ventotene i patrioti antifascisti. Purtroppo sembra che i più giovani non abbiano la minima idea della vitalità morale e politica di patrioti come Altiero Spinelli che, scampato al fascismo e alla seconda guerra mondiale, pazientemente attese la realizzazione – nel 1979 – del primo Parlamento europeo.

C’era ancora la CEE, Comunità Economica Europea, non c’era la moneta unica, ma le idee di Spinelli circolavano, la gente votava e – a tappe contrastate, ma effettive – l’Europa riuscì a diventare l’Unione Europea che oggi, nel 2024, stava arrivando a celebrare ottant’anni di pace. Non era mai successo.

Il contesto geopolitico

Invece, non solo la spinta propulsiva della democrazia si è affievolita, ma siamo ripiombati in guerre che non restano lontane e indifferenti, ma ci riguardano da vicino e danno un brivido di angoscia quando ci si rende conto che da anni papa Francesco avverte che stiamo già dentro la terza guerra mondiale. Abbiamo celebrato la terza Pasqua di guerra russo-ucraina: a prescindere dal diritto dell’Ucraina a sentirsi europea e occidentale mentre lo zar dell’Oriente Putin lo giudica impossibile perché la “Santa Russia” nel 988 nacque a Kiev, non solo è una guerra derivata dal conflitto Est/Ovest di una volta, ma nei metodi è tornata alla prima guerra mondiale con i missili al posto dei cannoni e aspetta Caporetto.

Altra la guerra – uscita dall’incubazione della risoluzione Onu del 1947 che divideva la Palestina in due parti, una per gli arabi e una per gli ebrei – che perpetua lo scontro “inopinatamente” voluto dall’impossibile accordo a carico di chi riceveva il diritto a occupare un territorio e chi ne era il titolare perché ci era nato. Fin dall’origine – per giunta nell’impossibilità delle Nazioni Unite sia di rendere esecutive le risoluzioni di condanna degli abusi, sia di superare i veti americani nel Consiglio di Sicurezza – era necessario un mediatore terzo per negoziare passo dopo passo la difficile convivenza: toccava all’Europa, che nel suo desolante ritardo non ha ancora l’unità politica che le consenta di intervenire. D’altra parte dei paesi membri dell’Ue nessuno ha mai preso l’iniziativa sapendola arbitraria. Ormai non si piange sul latte versato: ci si tiene la responsabilità di dover provvedere nella situazione estrema. Gli arabi sembrano cauti nel prender posizione dopo aver visto abortire gli accordi di Abramo che sembravano chiudere una situazione insostenibile.

La Cina è altrettanto prudente in una situazione che può allargarsi “a piacere” e degenerare. Gli huthi hanno preso posizione a sostegno di Hamas bloccando il mar Rosso, ma il Medioriente intero, Libano e Siria compresi è nevrotizzato. Gli Usa per la prima volta non sono ricorsi al veto a favore di Israele, sia perché negli Usa la lobby araba non è meno potente della lobby ebraica, sia perché il sostegno a Israele è inaccettabile.

Infatti il pogrom compiuto da un’Hamas carico di odio e ferocia il 7 febbraio ha riportato gli israeliani anche ostili al governo attuale alla loro coscienza profonda di ebrei e al rimosso delle persecuzioni. Dio – l’interrogativo tragico “dov’era ad Aushwitz?” – non c’entra più, se non nelle dichiarazioni dei leader: sia Netaniahu (la Bibbia dice “c’è un tempo per la pace e un tempo per la guerra”; io dico che questo è il tempo della guerra) che Sinwar (dallo statuto di Hamas: “Dio è la nostra guida, Muhammad il nostro leader, il jihad il nostro metodo”) nominano invano lo stesso Dio, come se fossimo ancora uomini delle crociate, quando agivamo a parti rovesciate. E Macron fa capire a Putin che l’Europa può mobilitare le sue truppe sul fronte ucraino e, se lui minaccia il nucleare, la Francia è pronta.

L’incerto contesto interno

In un contesto così andiamo a votare un nuovo Parlamento europeo. La depressione fa il suo effetto e per ora la sinistra – per chiarire: tutti quelli che non sono di destra, ma ci tengono a dichiararsi antifascisti – non alza la voce a sostenere i propri pericolanti diritti, distratta dai propri leader, tutti alle prese con le liste dei candidati. Il cittadino deve tuttavia capire che, se in una congiuntura economico-finanziaria ancora positiva, l’Italia vede crescere le disuguaglianze, subisce tagli micidiali alla sanità ormai privatizzata, assiste a misure di riarmo impensabili solo due anni fa all’uscita dalla pandemia, significa che la guerra sta già presentando il conto e non bisogna più farsene solo una ragione.

Non si fa la resistenza quando si arriva a Ventotene, ma quando c’è tempo per non andare in rovina. Opportuna una lettura del Manifesto di Altiero Spinelli, che, da parlamentare europeo, continuò fino alla morte a battersi nel lento evolversi dell’Unione, sconfitta dietro sconfitta, delusione dopo delusione. Serve per rinfrescare le idee sui principi, i diritti e i doveri, ma anche per imparare a “fare politica” da un punto di vista comunitario e riconoscersi, davvero, cittadini non solo italiani, ma anche europei in attesa di diventare – se prevarrà la pace – cittadini del mondo.

Infatti perfino i migliori, gli inattaccabili dal consumismo, gli antifascisti diffidano di un’altra istituzione che non conta nulla, nella quale il singolo elettore conta ancor meno.

Invece sono proprio gli interessi, quelli materiali che toccano la vita quotidiana, a sollecitare il voto europeo. L’Europa, almeno per l’agroalimentare, è il mercato più grande del mondo, superiore agli Usa; ma se gli emiliani dovessero produrre il parmigiano per grattugiarlo sulle lasagne, finirebbero per non potersi più permettere neppure le lasagne.

C’è bisogno, però, di mantenere il massimo di unità: se a giugno in Francia vincesse Le Pen e in Italia Meloni, il nuovo Parlamento avrebbe grosse difficoltà ad arginare il Consiglio (dei Capi di Stato e di governo) con una maggioranza reazionaria. Eppure le destre trovano larghi consensi, la gente non sa se andrà a votare; senza un pensiero al fatto che in Italia il governo in carica, eletto da due terzi dell’elettorato, lascia non rappresentato un terzo del paese.

Le questioni che ci attendono

Perdere la speranza non giova: basta chiederlo agli inglesi che, scontenti dell’UE, vorrebbero tornarci dentro di corsa.

Se al tempo del covid l’Europa non avesse distribuito i vaccini gratis, le bare si sarebbero moltiplicate. Abbiamo la moneta unica in 20 Stati membri: manca una legislazione fiscale comune che, in qualche modo già elaborata da Draghi, dovrà essere uno dei compiti del prossimo Parlamento. Che sono tanti.

Se l’Onu ha la palla al piede del veto al Consiglio di Sicurezza, l’UE è intrigata dal principio dell’unanimità: entrambe dovrebbero tentare una politica internazionale dei diritti umani, anche nei confronti della Nato. Anche l’Europa aspetta le elezioni americane; ma sa che, chiunque vinca, a giugno deve rafforzare le proprie istituzioni.

La complessità delle innovazioni tecnologiche chiede regole condivise per evitare arbitri di poteri ancora incontrollabili: a Bologna, centro europeo per la meteorologia, Leonardo è uno dei quattro massimi elaboratori mondiali in grado di svolgere 250mila mld. di operazioni in un minuto. Potrà servire alla sanità se l’assistenza sanitaria personalizzerà ognuno dei nostri 60 milioni di individui, ma intanto gli italiani stanno perdendo il diritto a restare in salute e ad essere curati se malati.

Il futuro sarà pure inedito, ma incoraggia a pensare il meglio se lo si vuole vedere possibile. La questione climatica impone sia la progettazione sia la condivisione delle politiche: nemmeno i nazionalisti possono più praticare l’autarchia.

Ma anche in Europa c’è bisogno di miglior giustizia: la produzione e il lavoro lo esigono, ma anche i diritti umani, la nonviolenza educativa, la lotta alla violenza di genere, le questioni debitorie, le politiche migratorie, tutte politiche all’ordine del giorno nei singoli paesi che chiedono una condivisione dentro la volontà comune dell’intero continente. Dove corre pericolo la democrazia, che in queste elezioni è tutt’uno con l’Europa.
[L’immagine che correda l’articolo è ripresa dal sito: https://www.perlapace.it/]
(fonte: Viandanti 06/04/2024)