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domenica 17 settembre 2017

"Fin dal primo giorno desideravo che venisse questo momento del nostro incontro... vorrei abbracciarvi e vorrei piangere con voi..." VIAGGIO APOSTOLICO IN COLOMBIA 6-11 SETTEMBRE 2017 /6 (Cronaca, testi, foto e video)

VIAGGIO APOSTOLICO DI SUA SANTITÀ FRANCESCO
IN COLOMBIA
6-11 SETTEMBRE 2017

Venerdì 8 settembre 2017
VILLAVICENCIO-BOGOTÁ

15.40Grande Incontro di preghiera per la Riconciliazione Nazionale nel Parque Las Malocas
17.20Sosta alla Croce della Riconciliazione nel Parque de los Fundadores
18.00Partenza in aereo per Bogotá
18.45Arrivo nell’area militare (CATAM) dell’Aeroporto di Bogotá
Parole del Santo Padre alla Nunziatura Apostolica


Nella giornata di papa Francesco a Villavicencio, la seconda del suo viaggio apostolico in Colombia, si è svolto il suggestivo Grande incontro di preghiera per la riconciliazione nazionale. Un atto liturgico celebrato significativamente alla presenza del Cristo mutilato di Bojaya, quel che resta del crocifisso di una chiesa della regione del Choco sul Pacifico che venne fatta saltare in aria dalle Farc nel 2002 provocando 72 morti.
Giustiza, pace, verità e misericordia: sono i quattro pilastri da cui ripartire per una vera riconciliazione nazionale. Quattro pilastri rappresentati da quattro testimonianze, nel Parque Las Malocas a Villavicencio, dove Papa Francesco arriva in serata, dopo il pranzo, un momento di riposo, e la benedizione della statua della Virgen de Chirajara e dei circa 140 sacerdoti della diocesi, che saluta uno ad uno. È in quel parco, in una struttura che può ospitare fino a 6 mila persone, che avviene il Grande Incontro per la Riconciliazione Nazionale a Villavicencio.
È l’incontro che conclude la giornata, dedicata al tema “Riconciliarci con i Colombiani, con Dio, con la natura”. E il parco, che si trova nella zona est di Villavicencio ed è molto frequentato dai turisti, permette di familiarizzare con gli ambienti degli llanos, le pianure che si estendono nel Nord della Colombia e del Venezuela, attraversate dal fiume Orinoco. Attraverso quelli llanes è stata portata la Croce della Riconciliazione, che è situata nel Parque de Los Fundadores, il più grande parco di Villavicencio dove Papa Francesco si trasferisce al termine della cerimonia, per una ultima preghiera.
Tra due parchi, tra il crocifisso di Boyajà – un Cristo scuro e mutilato di braccia e gambe da una bomba gettata dai guerriglieri nella chiesa del villaggio il 2 maggio 2002 – e quello della Riconciliazione ha così luogo l’ultimo atto della lunga giornata del Papa, cominciata con una Messa e due beatificazioni importanti: il “Cura di Armero” e il vescovo Jaramillo, due sacerdoti che mai hanno fatto politica e che pure sono stati uccisi per ragioni politiche.


LITURGIA DI RICONCILIAZIONE
Parque Las Malocas (Villavicencio)
Venerdì, 8 settembre 2017

Si comincia con la lettura e rappresentazione del Salmo 85
 
Si prosegue dunque, con quattro testimonianze, ognuna seguita dall’accensione e dalla deposizione di una candela ai piedi del crocifisso, segno di quello che è stato, ma anche simbolo di un equilibrio che è sempre fragile, come lo sono tutte le paci appena raggiunte.

La verità è testimoniata da Juan Carlos Murcia Perdomo, un ex guerrigliero FARC, che ha avuto una rivoluzione di coscienza, è uscito dalla lotta armata e ha creato una fondazione, Fundrras, che oggi raccoglie settanta giovani, i quali vengono aiutati a non essere reclutati dalla lotta armata.

Deisy Sanchez Rey, reclutata a 16 anni per l’Autodifesa Armata della Colombia, incarcerata per due anni, costretta a rientrare nelle file del gruppo e poi finalmente fuori quando si smobilitò l’unità cui apparteneva. È lei che parla del tema della Giustizia. Racconta di non essersi mai allontanata dalla fede, di aver compreso di essere stata lei stessa vittima, di aver deciso di impegnarsi nella società e per questo ha studiato sociologia con l’intenzione di aiutare l’inclusione professionale di giovani vulnerabili.

La misericordia è raccontata da Luz Dary Landazury, cui una bomba ha quasi l’amputazione della gamba sinistra e decine di ferite nel corpo provocata dalla schegge, ferendo anche la figlia Luz Ariana. Ma ora la figlia sta bene, e lei sta recuperando – spiega – e pone ai piedi del crocifisso la unica stampella che le è rimasta dopo l’attentato, perché l’altra l’ha donata a una persona che ne aveva bisogno. Racconta che dopo lo scoppio della bomba “sentiva rabbia e rancore” fino a scoprire che “se mi fossi limitata a trasmettere questo odio, avrei creato altra violenza”, e così ha capito che la sua esperienza poteva essere utile ad altre vittime e ha cominciato a visitarle e aiutarle.

Pastora Mira Garcia dà la testimonianza della pace. Ha sofferto molto: il padre ucciso dalla guerriglia, il marito anche quando sua figlia aveva solo due mesi, poi la stessa figlia è stata rapita e ne ritrovò il cadavere solo sette anni dopo, e quindi anche il figlio minore è stato ucciso. È sempre stata credente, e questa sofferenza l’ha portata ad aiutare le famiglie delle vittime, già un anno prima la morte del figlio. Una storia straziante, perché tre giorni dopo averlo sepolto, ospitò un giovane che, vedendo le foto del figlio, le confessò di essere uno dei suoi assassini. Depone ai piedi della croce la camicia che la figlia Sandra Paola aveva regalato a Jorge Anibal.

Il Papa ascolta queste testimonianze, invita tutti a darsi un abbraccio di pace. 





Poi, dopo un momento di preghiera silenziosa davanti al Crocifisso di Bojayá , prende la parola.


DISCORSO DEL SANTO PADRE

Cari fratelli e sorelle!

Fin dal primo giorno desideravo che venisse questo momento del nostro incontro. Voi portate nel vostro cuore e nella vostra carne delle impronte, le impronte della storia viva e recente del vostro popolo, segnata da eventi tragici ma anche piena di gesti eroici, di grande umanità e di alto valore spirituale di fede e di speranza. Lo abbiamo ascoltato. Vengo qui con rispetto e con la chiara consapevolezza di trovarmi, come Mosè, a posare i piedi su una terra sacra (cfr Es 3,5). Una terra irrigata con il sangue di migliaia di vittime innocenti e col dolore lacerante dei loro familiari e conoscenti. Ferite che stentano a cicatrizzarsi e che ci addolorano tutti, perché ogni violenza commessa contro un essere umano è una ferita nella carne dell’umanità; ogni morte violenta ci “diminuisce” come persone.

Io sono qui non tanto per parlare ma per stare vicino a voi e guardarvi negli occhi, per ascoltarvi e aprire il mio cuore alla vostra testimonianza di vita e di fede. E, se me lo permettete, vorrei anche abbracciarvi e, se Dio me ne dà la grazia – perché è una grazia – vorrei piangere con voi, vorrei che pregassimo insieme e che ci perdoniamo – anch’io devo chiedere perdono – e che così, tutti insieme, possiamo guardare e andare avanti con fede e speranza.

Ci siamo riuniti ai piedi del Crocifisso di Bojayá, che il 2 maggio 2002 assistette e patì il massacro di decine di persone rifugiate nella sua chiesa. Questa immagine ha un forte valore simbolico e spirituale. Guardandola contempliamo non solo ciò che accadde quel giorno, ma anche tanto dolore, tanta morte, tante vite spezzate e tanto sangue versato nella Colombia degli ultimi decenni. Vedere Cristo così, mutilato e ferito, ci interpella. Non ha più braccia e il suo corpo non c’è più, ma conserva il suo volto e con esso ci guarda e ci ama. Cristo spezzato e amputato, per noi è ancora “più Cristo”, perché ci mostra ancora una volta che è venuto a soffrire per il suo popolo e con il suo popolo; e anche ad insegnarci che l’odio non ha l’ultima parola, che l’amore è più forte della morte e della violenza. Ci insegna a trasformare il dolore in fonte di vita e risurrezione, affinché insieme a Lui e con Lui impariamo la forza del perdono, la grandezza dell’amore.

Grazie a voi quattro, nostri fratelli, che avete voluto condividere la vostra testimonianza, a nome di tanti e tanti altri. Come ci fa bene – sembra egoista – ma come ci fa bene ascoltare le vostre storie! Sono commosso. Sono storie di sofferenza e di amarezza, ma anche, e soprattutto, sono storie di amore e di perdono che ci parlano di vita e di speranza, di non lasciare che l’odio, la vendetta e il dolore si impadroniscano del nostro cuore.

L’oracolo finale del Salmo 85: «Amore e verità s’incontreranno, giustizia e pace si baceranno» (v. 11) viene dopo il ringraziamento e la supplica in cui si chiede a Dio: Rinnovaci! Grazie, Signore, per la testimonianza di coloro che hanno inflitto dolore e chiedono perdono; di quanti hanno sofferto ingiustamente e perdonano. Questo è possibile solo con il tuo aiuto e con la tua presenza, ed è già un segno enorme che tu vuoi ricostruire la pace e la concordia in questa terra colombiana.

Pastora Mira, tu lo hai detto molto bene: vuoi mettere tutto il tuo dolore, e quello di migliaia di vittime, ai piedi di Gesù Crocifisso, perché si unisca al suo e così sia trasformato in benedizione e capacità di perdono per spezzare la catena della violenza che ha regnato in Colombia. E hai ragione: la violenza genera violenza, l’odio genera altro odio, e la morte altra morte. Dobbiamo spezzare questa catena che appare ineluttabile, e ciò è possibile soltanto con il perdono e la riconciliazione concreta. E tu, cara Pastora, e tanti altri come te, ci avete dimostrato che questo è possibile. Con l’aiuto di Cristo, di Cristo vivo in mezzo alla comunità, è possibile vincere l’odio, è possibile vincere la morte, è possibile cominciare di nuovo e dare vita a una Colombia nuova. Grazie, Pastora; che gran bene fai oggi a tutti noi con la testimonianza della tua vita! E’ il Crocifisso di Bojayá che ti ha dato la forza di perdonare e di amare, e ti ha aiutato a vedere nella camicia che tua figlia Sandra Paola ha regalato a tuo figlio Jorge Aníbal, non solo il ricordo della loro morte ma la speranza che la pace trionfi definitivamente in Colombia. Grazie, grazie!

Ci commuove anche quello che ha detto Luz Dary nella sua testimonianza: che le ferite del cuore sono più profonde e difficili da sanare di quelle del corpo. E’ così. E ciò che è più importante, ti sei resa conto che non si può vivere nel rancore, che solo l’amore libera e costruisce. E in questo modo hai cominciato a guarire anche le ferite di altre vittime, a ricostruire la loro dignità. Questo uscire da te stessa ti ha arricchito, ti ha aiutato a guardare in avanti, a trovare pace e serenità e anche un motivo per continuare a camminare. Ti ringrazio per la stampella che offri. Benché ti rimangano ancora ferite, ti rimangano conseguenze fisiche delle tue ferite, la tua andatura spirituale è veloce e salda. Questa andatura spirituale non ha bisogno di stampelle; ed è rapida e salda perché pensi agli altri – grazie! – e vuoi aiutarli. Questa tua stampella è un simbolo di quell’altra stampella più importante, di cui tutti abbiamo bisogno, che è l’amore e il perdono. Col tuo amore e il tuo perdono stai aiutando tante persone a camminare nella vita, e a camminare rapidamente come te. Grazie!

Voglio ringraziare anche per la testimonianza eloquente di Deisy e Juan Carlos. Ci hanno fatto comprendere che tutti, alla fine, in un modo o nell’altro, siamo vittime, innocenti o colpevoli, ma tutti vittime, da una parte e dall’altra: tutti vittime. Tutti accomunati in questa perdita di umanità che la violenza e la morte comportano. Deisy lo ha detto chiaramente: hai capito che tu stessa eri stata una vittima e avevi bisogno che ti fosse concessa un’opportunità. Quando l’hai detto, questa parola mi è risuonata nel cuore. E hai cominciato a studiare, e adesso lavori per aiutare le vittime e perché i giovani non cadano nelle reti della violenza e della droga, che è un’altra forma di violenza. C’è speranza anche per chi ha fatto il male; non tutto è perduto. Gesù è venuto per questo: c’è speranza per chi ha fatto il male. Certamente, in questa rigenerazione morale e spirituale dei carnefici la giustizia deve compiersi. Come ha detto Deisy, si deve contribuire positivamente a risanare questa società che è stata lacerata dalla violenza.

Risulta difficile accettare il cambiamento di quanti si sono appellati alla violenza crudele per promuovere i loro fini, per proteggere traffici illeciti e arricchirsi o per credere, illusoriamente, di stare difendendo la vita dei propri fratelli. Sicuramente è una sfida per ciascuno di noi avere fiducia che possano fare un passo avanti coloro che hanno procurato sofferenza a intere comunità e a tutto un paese. E’ chiaro che in questo grande campo che è la Colombia c’è ancora spazio per la zizzania. Non inganniamoci. Fate attenzione ai frutti: abbiate cura del grano e non perdete la pace a causa della zizzania. Il seminatore, quando vede spuntare la zizzania in mezzo al grano, non ha reazioni allarmistiche. Trova il modo per far sì che la Parola si incarni in una situazione concreta e dia frutti di vita nuova, benché in apparenza siano imperfetti e incompleti (cfr Esort. ap. Evangelii gaudium, 24). Anche quando perdurano conflitti, violenza, o sentimenti di vendetta, non impediamo che la giustizia e la misericordia si incontrino in un abbraccio che assuma la storia di dolore della Colombia. Risaniamo quel dolore e accogliamo ogni essere umano che ha commesso delitti, li riconosce, si pente e si impegna a riparare, contribuendo alla costruzione dell’ordine nuovo in cui risplendano la giustizia e la pace.

Come ha lasciato intravedere nella sua testimonianza Juan Carlos, in tutto questo processo, lungo, difficile, ma ricco di speranza di riconciliazione, risulta anche indispensabile accettare la verità. E’ una sfida grande ma necessaria. La verità è una compagna inseparabile della giustizia e della misericordia. Tutt’e tre unite, sono essenziali per costruire la pace e, d’altra parte, ciascuna di esse impedisce che le altre siano alterate e si trasformino in strumenti di vendetta contro chi è più debole. La verità non deve, di fatto, condurre alla vendetta, ma piuttosto alla riconciliazione e al perdono. Verità è raccontare alle famiglie distrutte dal dolore quello che è successo ai loro parenti scomparsi. Verità è confessare che cosa è successo ai minori reclutati dagli operatori di violenza. Verità è riconoscere il dolore delle donne vittime di violenza e di abusi.

Vorrei, infine, come fratello e come padre, dire: Colombia, apri il tuo cuore di popolo di Dio e lasciati riconciliare. Non temere la verità né la giustizia. Cari colombiani: non abbiate paura di chiedere e di offrire il perdono. Non fate resistenza alla riconciliazione che vi fa avvicinare, ritrovare come fratelli e superare le inimicizie. E’ ora di sanare ferite, di gettare ponti, di limare differenze. E’ l’ora di spegnere gli odi, rinunciare alle vendette e aprirsi alla convivenza basata sulla giustizia, sulla verità e sulla creazione di un’autentica cultura dell’incontro fraterno. Che possiamo abitare in armonia e fraternità, come vuole il Signore! Chiediamogli di essere costruttori di pace; che là dove c’è odio e risentimento, possiamo mettere amore e misericordia.

E tutte queste intenzioni, le testimonianze ascoltate, le cose che ognuno di voi conosce nel suo cuore, storie di decenni di dolore e di sofferenza, le voglio porre davanti all’immagine del Crocifisso, il Cristo nero di Bojayá:

O Cristo nero di Bojayá,
che ci ricordi la tua passione e morte;
insieme con le tue braccia e i tuoi piedi
ti hanno strappato i tuoi figli
che cercarono rifugio in te.

O Cristo nero di Bojayá,
che ci guardi con tenerezza
e con volto sereno;
palpita anche il tuo cuore
per accoglierci nel tuo amore.

O Cristo nero di Bojayá,
fa’ che ci impegniamo
a restaurare il tuo corpo. Che siamo
tuoi piedi per andare incontro
al fratello bisognoso;
tue braccia per abbracciare
chi ha perso la propria dignità;
tue mani per benedire e consolare
chi piange nella solitudine.

Fa’ che siamo testimoni
del tuo amore e della tua infinita misericordia.
Amen.
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Segue la recita della preghiera semplice attribuita a san Francesco di Assisi.

[Dopo la preghiera:]

Abbiamo pregato Gesù, il Cristo, il Cristo mutilato. Prima di darvi la benedizione vi invito a pregare nostra Madre, che ha avuto il cuore trafitto dal dolore: “Ave, o Maria…”

[Benedizione]
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L'incontro si è concluso con il saluto e l'abbraccio di quattro bambini e del Presidente con la consorte.

Successivamente si è recato al Parque de los fundatores dove si è raccolto in preghiera davanti alla Croce della riconciliazione nazionale alla cui base si trova una targa che riporta il numero delle vittime di sequestri, uccisioni e mine antiuomo che hanno insanguinato la regione orientale del Paese durante il lungo conflitto armato con le Farc (sono più di 472 mila). E lì davanti il Papa sosta per un minuto in preghiera silenziosa, insieme al presidente della Repubblica Manuel Santos, e circondato da 400 bambini e un gruppo di indigeni. Prima di andare, il Papa pianta un albero. È quello il segno che si spera la nascita di una nuova vita per la Colombia.




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“Grazie per l’ospedale da campo. Grazie perché le porte sono state aperte e resteranno aperte. Grazie per coloro che hanno il coraggio di entrare, per coloro che guardano da lontano e desiderano entrare e non sanno come fare. Grazie per accettare tanta privazione, sapendo che sei rimasto senza niente, e che anche se volevi fare qualcosa non sei riuscito, però voglio proclamare davanti a tutti questa frase che mai dimenticherò: ‘Dio fa sì che io perdoni’”. 
Lo ha detto papa Francesco rientrando in nunziatura a Bogotá, parlando a braccio ai gruppi di vittime della violenza, militari, agenti ed ex guerriglieri che lo attendevano di fronte alla nunziatura. Le sue parole sono state riportate, in spagnolo, dalla Sala stampa vaticana e vengono riportate dal Sir con una propria traduzione.
Riferendosi alla cerimonia di riconciliazione appena vissuta a Villavicencio, ha continuato: “Sono molti che non riescono ancora a perdonare, però oggi abbiamo ricevuto una lezione di teologia, di alta teologia: Dio fa sì che io perdoni. Basta lasciare che lo faccia”.
Ha proseguito papa Francesco: “Tutta la Colombia dovrebbe aprire le porte come le ha aperte questo ‘ospedale da campo’. E lasciare che Lui entri, e che perdoni lui in noi, al posto nostro… Fargli spazio… ‘Guarda, io non riesco… fallo te”. La riconciliazione concreta con la verità, la giustizia e la misericordia, solo Lui può realizzarla. Che lo faccia. E noi impareremo, andando dietro di Lui a realizzarla”.
Ed ha concluso, tra gli applausi: “Grazie per quello che fate. Grazie. E grazie per quello che mi avete insegnato stasera. Ai piedi della croce c’era la madre. A lei hanno strappato suo figlio, ha visto la tortura, ha visto tutto. Che Lei accompagni le donne colombiane e insegni loro la strada da seguire. Glielo chiediamo insieme: Ave Maria. Che Dio Onnipotente, Padre, Figlio e Spirito Santo, benedica tutti.




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